Il palazzo di Luca Pitti, il più grande espresso dall’Umanesimo fiorentino attorno al 1455, fu voluto dal committente come manifestazione della sua volontà di farsi Signore della città in luogo dei Medici. Nonostante l’attribuzione vasariana a Brunelleschi (priva di attestazioni documentarie) il cantiere ebbe come ‘coordinatore’ Luca Fancelli, collaboratore di Alberti per le opere mantovane dei Gonzaga, in analogia a Bernardo Rossellino per le fabbriche dei Rucellai a Firenze o di Pio II a Pienza. Probabilmente l’originaria struttura non doveva, poi, essere quella di un palazzo ‘cubico’ con cortile centrale (spazio occupato dalla trecentesca “casa vecchia” dei Pitti), ma di un ‘belvedere’ alto sulla città (come quello realizzato vent’anni dopo in Vaticano per Innocenzo VIII forse da Antonio del Pollaiolo), con grandi logge aperte: una vera e propria, moderna villa ‘cittadina’, da Alberti stesso teorizzata nel trattato come hortus suburbanus. La presenza, nell’imbotte delle aperture di facciata, di membrature (lesene con capitello composito ‘defoliato’) che saranno caratteristiche dell’architettura michelangiolesca e oltre della prima metà del Cinquecento, nonché il dato oggettivo che il Palazzo, mai finito da Luca Pitti, venisse poi acquistato attorno al 1550 da Eleonora da Toledo, sposa di Cosimo I, per farne una sontuosa ‘delizia’ con giardini (nucleo iniziale di Boboli) con la consulenza di Niccolò Tribolo e Giorgio Vasari, hanno suggerito l’ipotesi che a questa fase medicea vada fatto risalire il rivestimento bugnato del primo e del secondo piano della fronte.

Gli "horti suburbani" di Boboli, da Luca Pitti a Eleonora di Toledo: 'Belvedere' albertiano o 'delizia' vasariana? / G. Morolli. - In: OPUS INCERTUM. - ISSN 2035-9217. - STAMPA. - 4:(2008), pp. 70-91.

Gli "horti suburbani" di Boboli, da Luca Pitti a Eleonora di Toledo: 'Belvedere' albertiano o 'delizia' vasariana?

MOROLLI, GABRIELE
2008

Abstract

Il palazzo di Luca Pitti, il più grande espresso dall’Umanesimo fiorentino attorno al 1455, fu voluto dal committente come manifestazione della sua volontà di farsi Signore della città in luogo dei Medici. Nonostante l’attribuzione vasariana a Brunelleschi (priva di attestazioni documentarie) il cantiere ebbe come ‘coordinatore’ Luca Fancelli, collaboratore di Alberti per le opere mantovane dei Gonzaga, in analogia a Bernardo Rossellino per le fabbriche dei Rucellai a Firenze o di Pio II a Pienza. Probabilmente l’originaria struttura non doveva, poi, essere quella di un palazzo ‘cubico’ con cortile centrale (spazio occupato dalla trecentesca “casa vecchia” dei Pitti), ma di un ‘belvedere’ alto sulla città (come quello realizzato vent’anni dopo in Vaticano per Innocenzo VIII forse da Antonio del Pollaiolo), con grandi logge aperte: una vera e propria, moderna villa ‘cittadina’, da Alberti stesso teorizzata nel trattato come hortus suburbanus. La presenza, nell’imbotte delle aperture di facciata, di membrature (lesene con capitello composito ‘defoliato’) che saranno caratteristiche dell’architettura michelangiolesca e oltre della prima metà del Cinquecento, nonché il dato oggettivo che il Palazzo, mai finito da Luca Pitti, venisse poi acquistato attorno al 1550 da Eleonora da Toledo, sposa di Cosimo I, per farne una sontuosa ‘delizia’ con giardini (nucleo iniziale di Boboli) con la consulenza di Niccolò Tribolo e Giorgio Vasari, hanno suggerito l’ipotesi che a questa fase medicea vada fatto risalire il rivestimento bugnato del primo e del secondo piano della fronte.
2008
4
70
91
G. Morolli
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