Si tratta del contributo presentato nel gennaio 2010 a Ferrara, al Convegno internazionale intitolato Dagli Estensi al governo pontificio. La legazione di Pietro Aldobrandini, in concomitanza con la XII Settimana di Alti Studi Rinascimentali (e pubblicato con gli Atti in una sezione apposita del numero 38-39 di «Schifanoia»). In esso, sulla falsariga di altri saggi precedenti (Torquato Tasso, i Gonzaga e Francesco Osanna, per esempio, e Tasso, i Medici e i fiorentini ingegni), ci si occupa nuovamente del poeta secondo un approccio biografico, in questo caso circoscritto agli ultimi tre anni di vita in cui Tasso risulta avere intrecciato relazioni con tre esponenti del casato Aldobrandini, cioè Ippolito (papa Clemente VIII) e i nipoti Pietro e Cinzio Passeri. Al riguardo vengono consultate le tre principali biografie tassiane (quella secentesca scopertamente tendenziosa dell’amico napoletano, Giovan Battista Manso, incline a idealizzare anche a costo di travisare i fatti, e le due Vite dei due secoli seguenti redatte rispettivamente dall’abate Serassi e da Angelo Solerti), che appaiono concordi, pur nella differente articolazione generale delle varie argomentazioni, nell’affermare la primazia sugli altri due del ruolo di Cinzio Passeri. Si è pertanto proceduto alla verifica di questo dato alla luce delle testimonianze epistolari disponibili (oltre al corpus di Lettere tassiane pubblicato quarant’anni prima da Cesare Guasti, il secondo volume della Vita solertiana contenente con le Lettere inedite e disperse di Tasso quelle di Diversi a documento e illustrazione della vita e delle opere del poeta). Ne è risultata una prevedibile smentita delle favole letterarie del biografo napoletano, che tratteggiano un Cinzio Passeri fautore dell’instante richiesta del poeta a Roma nella sua casa in nome di una presunta amicizia passata; ma anche una assai più insidiosa e assai meno pronosticabile inaffidabilità delle conclusioni di Solerti, che lo descrivono generoso mecenate, pronto ad accogliere il suggerimento di Tasso di farlo chiamare a Roma dal segretario del papa, per consentirgli di prendere licenza da Matteo di Capua. Esse risultano infatti in qualche caso piegate ad adattarsi alle fole di Manso, in qualche altro, a causa di sviste probabilmente involontarie, poggiare su una lettura errata del documento prodotto: come mostra una coppia di brani epistolari, pubblicati da Solerti nel suddetto secondo volume della Vita ed estratti da altrettante lettere di Francesco Patrizi a Orazio Ariosti (entrambe conservate integralmente nel codice Classe I 172 della BC Ariostea), nei quali si riscontra che il cardinale che offre accoglienza per circa un mese al malandato Tasso appena giunto a Roma nel maggio del 1592 non è, come interpreta Solerti, Cinzio Aldobrandini (peraltro non ancora cardinale a quella data), ma Scipione Gonzaga, come si evince dal contesto delle missive non riportato nei brani solertiani. Questo risultato conforta del resto quanto emerso da una spassionata escussione di tutte le Lettere del periodo, dalle quali si ricava piuttosto l’adozione da parte di Tasso di una strategia di accasamento presso il pontefice, finalmente confacente al suo stato e non più secolare: un accasamento che gli consentisse di occuparsi, senza distrazioni, delle ultime sue fatiche (la messa a punto della Conquistata e dei Discorsi del poema eroico in vista della pubblicazione, la stesura e il completamento del Mondo creato), tutte opere in vario modo gravitanti nella sfera d’influenza dei tre esponenti della famiglia Aldobrandini, delle quali pertanto ci si occupa, ripercorrendone, attraverso i dati epistolari, il tragitto verso la stampa, anche quando osteggiata e postuma, come nel caso del poema esameronico.

Gli Aldobrandini e Torquato Tasso / C. Molinari. - In: SCHIFANOIA. - ISSN 0394-5421. - STAMPA. - 38-39 2010:(2011), pp. 215-235.

Gli Aldobrandini e Torquato Tasso

MOLINARI, CARLA
2011

Abstract

Si tratta del contributo presentato nel gennaio 2010 a Ferrara, al Convegno internazionale intitolato Dagli Estensi al governo pontificio. La legazione di Pietro Aldobrandini, in concomitanza con la XII Settimana di Alti Studi Rinascimentali (e pubblicato con gli Atti in una sezione apposita del numero 38-39 di «Schifanoia»). In esso, sulla falsariga di altri saggi precedenti (Torquato Tasso, i Gonzaga e Francesco Osanna, per esempio, e Tasso, i Medici e i fiorentini ingegni), ci si occupa nuovamente del poeta secondo un approccio biografico, in questo caso circoscritto agli ultimi tre anni di vita in cui Tasso risulta avere intrecciato relazioni con tre esponenti del casato Aldobrandini, cioè Ippolito (papa Clemente VIII) e i nipoti Pietro e Cinzio Passeri. Al riguardo vengono consultate le tre principali biografie tassiane (quella secentesca scopertamente tendenziosa dell’amico napoletano, Giovan Battista Manso, incline a idealizzare anche a costo di travisare i fatti, e le due Vite dei due secoli seguenti redatte rispettivamente dall’abate Serassi e da Angelo Solerti), che appaiono concordi, pur nella differente articolazione generale delle varie argomentazioni, nell’affermare la primazia sugli altri due del ruolo di Cinzio Passeri. Si è pertanto proceduto alla verifica di questo dato alla luce delle testimonianze epistolari disponibili (oltre al corpus di Lettere tassiane pubblicato quarant’anni prima da Cesare Guasti, il secondo volume della Vita solertiana contenente con le Lettere inedite e disperse di Tasso quelle di Diversi a documento e illustrazione della vita e delle opere del poeta). Ne è risultata una prevedibile smentita delle favole letterarie del biografo napoletano, che tratteggiano un Cinzio Passeri fautore dell’instante richiesta del poeta a Roma nella sua casa in nome di una presunta amicizia passata; ma anche una assai più insidiosa e assai meno pronosticabile inaffidabilità delle conclusioni di Solerti, che lo descrivono generoso mecenate, pronto ad accogliere il suggerimento di Tasso di farlo chiamare a Roma dal segretario del papa, per consentirgli di prendere licenza da Matteo di Capua. Esse risultano infatti in qualche caso piegate ad adattarsi alle fole di Manso, in qualche altro, a causa di sviste probabilmente involontarie, poggiare su una lettura errata del documento prodotto: come mostra una coppia di brani epistolari, pubblicati da Solerti nel suddetto secondo volume della Vita ed estratti da altrettante lettere di Francesco Patrizi a Orazio Ariosti (entrambe conservate integralmente nel codice Classe I 172 della BC Ariostea), nei quali si riscontra che il cardinale che offre accoglienza per circa un mese al malandato Tasso appena giunto a Roma nel maggio del 1592 non è, come interpreta Solerti, Cinzio Aldobrandini (peraltro non ancora cardinale a quella data), ma Scipione Gonzaga, come si evince dal contesto delle missive non riportato nei brani solertiani. Questo risultato conforta del resto quanto emerso da una spassionata escussione di tutte le Lettere del periodo, dalle quali si ricava piuttosto l’adozione da parte di Tasso di una strategia di accasamento presso il pontefice, finalmente confacente al suo stato e non più secolare: un accasamento che gli consentisse di occuparsi, senza distrazioni, delle ultime sue fatiche (la messa a punto della Conquistata e dei Discorsi del poema eroico in vista della pubblicazione, la stesura e il completamento del Mondo creato), tutte opere in vario modo gravitanti nella sfera d’influenza dei tre esponenti della famiglia Aldobrandini, delle quali pertanto ci si occupa, ripercorrendone, attraverso i dati epistolari, il tragitto verso la stampa, anche quando osteggiata e postuma, come nel caso del poema esameronico.
2011
38-39 2010
215
235
C. Molinari
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Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/592619
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