Dinanzi ad un indirizzo giurisprudenziale ingiustificatamente restrittivo del divieto d' uso imposto dall’art. 63 comma 2 c.p.p., l’autrice evidenzia la differente ratio sottesa ai due commi della disposizione. Nella situazione descritta dal primo comma, l’inutilizzabilità risulta svincolata dal comportamento contra legem dell’autorità procedente e diretta alla salvaguardia del nemo tenetur se detegere. La condizione perché il contributo proveniente dall’imputato assuma un peso probatorio è la consapevolezza in capo al narrante della qualifica rivestita, sicché qualora tale condizione non si realizzi, come nell’ipotesi ex art. 63 comma 1 c.p.p., le dichiarazioni rese non potranno essere impiegate in pregiudizio dell’imputato. Diversa la ratio ispiratrice del comma secondo della disposizione, intesa a contrastare la prassi di audire l’inquisito al di fuori dell’interrogatorio, al fine di raccogliere, non tanto elementi a suo carico, peraltro non spendibili nel giudizio perché già colpiti dal divieto d’uso ex art. 63 comma 1 c.p.p., quanto dichiarazioni compiacenti o negoziate a carico di terzi. Sotto questo profilo, l’art. 63 comma 2 c.p.p. realizza un congegno destinato ad anticipare l’area dell’incompatibilità a testimoniare. L’operatività del diritto al silenzio scatta fin dall’esordio del colloquio con l’autorità inquirente e la sua violazione comporta l’inutilizzabilità, estesa erga alios, del contributo reso. La costruzione proposta nel commento sarà in seguito condivisa dalle Sezioni unite nella sentenza 13 febbraio 1997, Carpanelli, la cui parte motiva riproduce lo schema argomentativo e - perfino - le formule lessicali impiegate dall'autrice, individuando nell'art. 63 comma 2 c.p.p."un fronte avanzato di tutela" delle incompatibilità poste dall'art. 197 comma 1 lett. a) c.p.p.
Dichiarazioni autoindizianti e loro inutilizzabilità / Alessandra Sanna. - In: GIURISPRUDENZA ITALIANA. - ISSN 1125-3029. - STAMPA. - (1996), pp. 175-184.
Dichiarazioni autoindizianti e loro inutilizzabilità
SANNA, ALESSANDRA
1996
Abstract
Dinanzi ad un indirizzo giurisprudenziale ingiustificatamente restrittivo del divieto d' uso imposto dall’art. 63 comma 2 c.p.p., l’autrice evidenzia la differente ratio sottesa ai due commi della disposizione. Nella situazione descritta dal primo comma, l’inutilizzabilità risulta svincolata dal comportamento contra legem dell’autorità procedente e diretta alla salvaguardia del nemo tenetur se detegere. La condizione perché il contributo proveniente dall’imputato assuma un peso probatorio è la consapevolezza in capo al narrante della qualifica rivestita, sicché qualora tale condizione non si realizzi, come nell’ipotesi ex art. 63 comma 1 c.p.p., le dichiarazioni rese non potranno essere impiegate in pregiudizio dell’imputato. Diversa la ratio ispiratrice del comma secondo della disposizione, intesa a contrastare la prassi di audire l’inquisito al di fuori dell’interrogatorio, al fine di raccogliere, non tanto elementi a suo carico, peraltro non spendibili nel giudizio perché già colpiti dal divieto d’uso ex art. 63 comma 1 c.p.p., quanto dichiarazioni compiacenti o negoziate a carico di terzi. Sotto questo profilo, l’art. 63 comma 2 c.p.p. realizza un congegno destinato ad anticipare l’area dell’incompatibilità a testimoniare. L’operatività del diritto al silenzio scatta fin dall’esordio del colloquio con l’autorità inquirente e la sua violazione comporta l’inutilizzabilità, estesa erga alios, del contributo reso. La costruzione proposta nel commento sarà in seguito condivisa dalle Sezioni unite nella sentenza 13 febbraio 1997, Carpanelli, la cui parte motiva riproduce lo schema argomentativo e - perfino - le formule lessicali impiegate dall'autrice, individuando nell'art. 63 comma 2 c.p.p."un fronte avanzato di tutela" delle incompatibilità poste dall'art. 197 comma 1 lett. a) c.p.p.File | Dimensione | Formato | |
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