L’intervento affronta il tema del rapporto che s’instaura nel libro di teatro italiano primo sei-centesco fra testo e apprato iconografico, con specifico riferimento al dialogo e alla frizione tra la dimensione della lettura, cui il libro è istituzionalmente dedicato, e la dimensione spet-tacolare, alla quale si lega l’altra metà della vita di questi testi. Si tratta di forme di comuni-cazione decisamente trasversali, che toccano i campi della codificazione dei generi drammatici e delle regole interne al mondo dell’editoria, con il suo lessico specifico e le sue convenzioni e necessità di produzione, legate allo specchio della pagina e al suo formato. Due esempi di particolare rilievo alle origini del fenomeno della definizione dell’immagine scenica: 1) Sullo scorcio del Cinquecento nasce a Venezia una peculiare forma di illustrazione del libro di teatro, legata all’affermarsi del dramma pastorale in Italia e in Europa, segnata-mente attraverso l’Aminta del Tasso, il Pastor fido del Guarini e la Filli di Sciro del Bonarelli. Con tali stampe, e soprattutto con l’editio maior del 1602 della fortunatissima tragicommedia guariniana, s’impone per questo specifico genere, mutuata da altri settori dell’editoria, un tipo d’illustrazione atto per atto, scena per scena, secondo la tecnica della narrazione continua in prospettiva a ,volo d’uccello‘. Questa forma analitica di visualizzazione offre al lettore „un muët trucheman“, come lo definisce ancora nel 1668 il Teppati nella sua traduzione in francese del Pastor fido, peculiarità che ha indotto settori della critica a ritenere che un tale apparato illustrativo mirasse ad istituire un diretto rapporto con il palcoscenico, la cui memoria queste stampe sembrerebbero tramandare e interpretare nella disposizione stessa delle figure in se-quenza secondo le fasi della rappresentazione. Il problema risiede nell’individuazione dei reali intenti che promuovono questa particolare forma di interrelazione fra immagine, testo e lettore attraverso la pagina a stampa. 2) A Firenze una diversa impostazione del libro di teatro conduce all’edizione del 1620 della tragedia Il Solimano del Bonarelli, illustrata da cinque acqueforti di Callot a scena fissa e a ,fuochi multipli‘, premesse ciascuna ad un atto, e relative ad una sola scena dell’atto di riferimento. Alla posteriore richiesta di chiarimenti in merito ad un progetto di rappresen-tazione seguendo la traccia di tali illustrazioni, è il Bonarelli stesso a disconoscere la concreta traducibilità scenica delle pur spettacolari incisioni, argomentando anzi che esse tradiscono la volontà dell’autore espressa nel testo: „[…] quell’incendio, che è perfezione della figura, saria diffetto dell’opera, se necessario le fosse“. Attraverso questi esempi si valuta il grado di pertinenza scenica del linguaggio icono-grafico editoriale del tempo, in un momento storico in cui le convenzioni moderne della resti-tuzione visiva del palcoscenico non si erano ancora stabilizzate.
L’illustrazione del libro di teatro come "muët truche man" o come fraintendimento e "difetto" del testo: il difficile rapporto fra due linguaggi / Laura Riccò. - STAMPA. - (2013), pp. 313-338. (Intervento presentato al convegno XXXII Romanistentag, Romanistik im dialog tenutosi a Berlino nel 25-28 Settembre 2011).
L’illustrazione del libro di teatro come "muët truche man" o come fraintendimento e "difetto" del testo: il difficile rapporto fra due linguaggi
RICCO', LAURA
2013
Abstract
L’intervento affronta il tema del rapporto che s’instaura nel libro di teatro italiano primo sei-centesco fra testo e apprato iconografico, con specifico riferimento al dialogo e alla frizione tra la dimensione della lettura, cui il libro è istituzionalmente dedicato, e la dimensione spet-tacolare, alla quale si lega l’altra metà della vita di questi testi. Si tratta di forme di comuni-cazione decisamente trasversali, che toccano i campi della codificazione dei generi drammatici e delle regole interne al mondo dell’editoria, con il suo lessico specifico e le sue convenzioni e necessità di produzione, legate allo specchio della pagina e al suo formato. Due esempi di particolare rilievo alle origini del fenomeno della definizione dell’immagine scenica: 1) Sullo scorcio del Cinquecento nasce a Venezia una peculiare forma di illustrazione del libro di teatro, legata all’affermarsi del dramma pastorale in Italia e in Europa, segnata-mente attraverso l’Aminta del Tasso, il Pastor fido del Guarini e la Filli di Sciro del Bonarelli. Con tali stampe, e soprattutto con l’editio maior del 1602 della fortunatissima tragicommedia guariniana, s’impone per questo specifico genere, mutuata da altri settori dell’editoria, un tipo d’illustrazione atto per atto, scena per scena, secondo la tecnica della narrazione continua in prospettiva a ,volo d’uccello‘. Questa forma analitica di visualizzazione offre al lettore „un muët trucheman“, come lo definisce ancora nel 1668 il Teppati nella sua traduzione in francese del Pastor fido, peculiarità che ha indotto settori della critica a ritenere che un tale apparato illustrativo mirasse ad istituire un diretto rapporto con il palcoscenico, la cui memoria queste stampe sembrerebbero tramandare e interpretare nella disposizione stessa delle figure in se-quenza secondo le fasi della rappresentazione. Il problema risiede nell’individuazione dei reali intenti che promuovono questa particolare forma di interrelazione fra immagine, testo e lettore attraverso la pagina a stampa. 2) A Firenze una diversa impostazione del libro di teatro conduce all’edizione del 1620 della tragedia Il Solimano del Bonarelli, illustrata da cinque acqueforti di Callot a scena fissa e a ,fuochi multipli‘, premesse ciascuna ad un atto, e relative ad una sola scena dell’atto di riferimento. Alla posteriore richiesta di chiarimenti in merito ad un progetto di rappresen-tazione seguendo la traccia di tali illustrazioni, è il Bonarelli stesso a disconoscere la concreta traducibilità scenica delle pur spettacolari incisioni, argomentando anzi che esse tradiscono la volontà dell’autore espressa nel testo: „[…] quell’incendio, che è perfezione della figura, saria diffetto dell’opera, se necessario le fosse“. Attraverso questi esempi si valuta il grado di pertinenza scenica del linguaggio icono-grafico editoriale del tempo, in un momento storico in cui le convenzioni moderne della resti-tuzione visiva del palcoscenico non si erano ancora stabilizzate.I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.