Saggio letto in occasione della presentazione dell’edizione critica delle Rime di Dante Alighieri a cura di D. De Robertis (Firenze, Le Lettere, 2002), organizzata dai Dipartimenti di Italianistica e di Studi sul Medioevo e il Rinascimento dell’Università di Firenze e tenutasi l’8 aprile 2003 col patrocinio della Società Dantesca Italiana rappresentata dal suo presidente, Francesco Mazzoni, e promotrice della pubblicazione del contributo (unitamente a quello di G. Tanturli, L’edizione critica delle Rime e il libro delle canzoni di Dante) in un’apposita sezione del vol. LXVIII degli «Studi Danteschi» intitolata Per Domenico De Robertis. Si richiamano le tappe salienti del quasi cinquantenario ‘viaggio’ dantesco degli studi derobertisiani, trascegliendo le riflessioni, nate in margine al lavoro maggiore delle Rime, tendenti a sottolineare dell’impresa la continuità, in connessione a quella di Michele Barbi, e l’innovazione, specialmente rappresentata dalla scelta di un ordinamento delle rime, non più storico, secondo le successive fasi della vicenda umana e intellettuale di Dante, ma formale, secondo la forma che la tradizione col suo ricco quadro documentario sembra autorizzare. Di questa classificazione per gerarchie metriche, giusta il modello dei canzonieri antichi, che, uscita l’edizione, è stata avvertita anche da provetti dantisti come un inatteso e sconcertante sovvertimento della vulgata barbiana, si rintracciano e sono invece fatti emergere gli elementi di profonda congruenza con la natura complessiva dell’operazione filologica derobertisiana, fondata sulla costante e più volte negli anni ribadita fiducia nel responso della tradizione come elemento primario della costituzione in essere di un testo antico e attenta, in assenza di un’autoriale sequela di ‘vite nove’, a sceverare con rigore Dante dalla propria tradizione. Centrale risulta nell’illustrazione di tale percorso lo studio del rapporto tra Dante e Petrarca e al suo interno l’individuazione di una domanda capitale perché investe la più generale questione dell’ordinamento delle Rime dantesche, se cioè la posizione di testa di Così nel mio parlar nella sequenza I-XV delle canzoni, certificata da quasi i tre quarti dell’intero testimoniale, dipenda dalla sua citazione esemplare al centro della canzone Lasso me di Petrarca, come inclina a credere De Robertis, o non piuttosto il contrario, che cioè Petrarca abbia ceduto alla suggestione di una tale testa di serie. Quest’ultima è appunto la tesi sostenuta nelle pagine conclusive dello studio, puntando sia sulla debolezza del ricorso a ragioni esterne per giustificare il piazzamento di Così nel mio parlar, sia sul riconoscimento, che è oltre tutto derobertisiano, della proemialità, non d’accatto, ma intrinseca della canzone dantesca, che appunto in quanto tale, come si dimostra, è percepita da Petrarca, che esibisce, con accusati richiami lessicali, quella specifica dantità petrosa nei testi liminari del Canzoniere. È degno di nota il fatto che lo stesso De Robertis (Le «Rime» alla visita di controllo, in «Studi danteschi», LXX, 2005, pp. 139-54) in seguito accolga questa tesi, ribaltando il suo primo giudizio su Così nel mio parlar in relazione alla canzone LXX di Petrarca.

L'edizione nazionale delle "Rime" di Dante a cura di Domenico De Robertis / C. Molinari. - In: STUDI DANTESCHI. - ISSN 0391-7835. - STAMPA. - 68:(2003), pp. 235-250.

L'edizione nazionale delle "Rime" di Dante a cura di Domenico De Robertis

MOLINARI, CARLA
2003

Abstract

Saggio letto in occasione della presentazione dell’edizione critica delle Rime di Dante Alighieri a cura di D. De Robertis (Firenze, Le Lettere, 2002), organizzata dai Dipartimenti di Italianistica e di Studi sul Medioevo e il Rinascimento dell’Università di Firenze e tenutasi l’8 aprile 2003 col patrocinio della Società Dantesca Italiana rappresentata dal suo presidente, Francesco Mazzoni, e promotrice della pubblicazione del contributo (unitamente a quello di G. Tanturli, L’edizione critica delle Rime e il libro delle canzoni di Dante) in un’apposita sezione del vol. LXVIII degli «Studi Danteschi» intitolata Per Domenico De Robertis. Si richiamano le tappe salienti del quasi cinquantenario ‘viaggio’ dantesco degli studi derobertisiani, trascegliendo le riflessioni, nate in margine al lavoro maggiore delle Rime, tendenti a sottolineare dell’impresa la continuità, in connessione a quella di Michele Barbi, e l’innovazione, specialmente rappresentata dalla scelta di un ordinamento delle rime, non più storico, secondo le successive fasi della vicenda umana e intellettuale di Dante, ma formale, secondo la forma che la tradizione col suo ricco quadro documentario sembra autorizzare. Di questa classificazione per gerarchie metriche, giusta il modello dei canzonieri antichi, che, uscita l’edizione, è stata avvertita anche da provetti dantisti come un inatteso e sconcertante sovvertimento della vulgata barbiana, si rintracciano e sono invece fatti emergere gli elementi di profonda congruenza con la natura complessiva dell’operazione filologica derobertisiana, fondata sulla costante e più volte negli anni ribadita fiducia nel responso della tradizione come elemento primario della costituzione in essere di un testo antico e attenta, in assenza di un’autoriale sequela di ‘vite nove’, a sceverare con rigore Dante dalla propria tradizione. Centrale risulta nell’illustrazione di tale percorso lo studio del rapporto tra Dante e Petrarca e al suo interno l’individuazione di una domanda capitale perché investe la più generale questione dell’ordinamento delle Rime dantesche, se cioè la posizione di testa di Così nel mio parlar nella sequenza I-XV delle canzoni, certificata da quasi i tre quarti dell’intero testimoniale, dipenda dalla sua citazione esemplare al centro della canzone Lasso me di Petrarca, come inclina a credere De Robertis, o non piuttosto il contrario, che cioè Petrarca abbia ceduto alla suggestione di una tale testa di serie. Quest’ultima è appunto la tesi sostenuta nelle pagine conclusive dello studio, puntando sia sulla debolezza del ricorso a ragioni esterne per giustificare il piazzamento di Così nel mio parlar, sia sul riconoscimento, che è oltre tutto derobertisiano, della proemialità, non d’accatto, ma intrinseca della canzone dantesca, che appunto in quanto tale, come si dimostra, è percepita da Petrarca, che esibisce, con accusati richiami lessicali, quella specifica dantità petrosa nei testi liminari del Canzoniere. È degno di nota il fatto che lo stesso De Robertis (Le «Rime» alla visita di controllo, in «Studi danteschi», LXX, 2005, pp. 139-54) in seguito accolga questa tesi, ribaltando il suo primo giudizio su Così nel mio parlar in relazione alla canzone LXX di Petrarca.
2003
68
235
250
C. Molinari
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