Il lavoro propone un'ipotesi: tutt'altro che secondaria rispetto alla complessità del fenomeno linguistico, la traduzione è piuttosto il movimento originario del linguaggio. Se l'animale umano è animale linguistico, il linguaggio si caratterizza già sempre come un movimento di traduzione. La traduzione infatti prima di essere interlinguistica, è un processo intralinguistico, che accade, ogni volta che si parla, all'interno della propria lingua. Punto di partenza del paper sono gli studi giovanili sul linguaggio di Walter Benjamin. A seguire il lavoro si articola attraverso un approfondimento della riflessione sulla traduzione svolta da R. Jakobson e E. Benveniste, istituendo così una connessione inconsueta con i testi benjaminiani. L'intento di tale connessione è mostrare come la traduzione vada collocata nello strato più profondo della teoria linguistica. Essa si situa nel punto di frattura tra ordine semiotico e ordine semantico, esibendo, in maniera esemplare, la peculiarità del linguaggio umano: quella di essere, al tempo stesso, un che di naturale e di storico. La questione della traduzione viene ripensata allora a partire dalla teoria dell'infanzia: se l'uomo è cronicamente in-fante, in quanto egli non è sempre già parlante ma deve ogni volta entrare nella lingua, la traduzione costituisce la possibilità stessa di questa entrata. Infine il paper tematizza il valore politico della traduzione: tradurre, in senso benjaminiano, vuol dire eliminare l'indicibile, procedere secondo un movimento di scavo all'interno del linguaggio, leggere ciò che ancora non è stato scritto, ri-scrivere la storia. The paper puts forward a hypothesis: far from being a secondary aspect of complex linguistic phenomena, translation is the original movement of language. If it is true that humans are “linguistic animals”, language is in itself an activity of translation. Translation is in fact an intra-linguistic process before being inter-linguistic, that takes place, every time speech is uttered, within one same language. The paper firstly analyses the early writings of Walter Benjamin on language. We will then look at the reflections on translation of R. Jakobson, E. Benveniste, attempting an original comparison with the works of Benjamin. The aim of this connection is to highlight how translation must be collocated at the deepest level of linguistic theory. It must be collocated at the point of fracture between the semiotic and the semantic, and shows, in a paradigmatic way, the particularity of human language: the fact that language is at the same time natural and historic. Translation is thus considered in conjunction with the theory of infancy: if man is chronically an infant, since language is not already available to man, on the contrary man must always re-enter language, then translation is this same possibility to enter language. Finally the paper deals with the political quality of translation: to translate, in the sense Benjamin intends it, is to eliminate what cannot be said, proceeding in language as if excavating, to read what has yet to be written and to re-write history.

Lost in translation. Linguistica e politica della traduzione / Marina Montanelli. - In: RIVISTA ITALIANA DI FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO. - ISSN 2036-6728. - ELETTRONICO. - 7:(2013), pp. 84-95. [10.4396/20130706]

Lost in translation. Linguistica e politica della traduzione

MONTANELLI, MARINA
2013

Abstract

Il lavoro propone un'ipotesi: tutt'altro che secondaria rispetto alla complessità del fenomeno linguistico, la traduzione è piuttosto il movimento originario del linguaggio. Se l'animale umano è animale linguistico, il linguaggio si caratterizza già sempre come un movimento di traduzione. La traduzione infatti prima di essere interlinguistica, è un processo intralinguistico, che accade, ogni volta che si parla, all'interno della propria lingua. Punto di partenza del paper sono gli studi giovanili sul linguaggio di Walter Benjamin. A seguire il lavoro si articola attraverso un approfondimento della riflessione sulla traduzione svolta da R. Jakobson e E. Benveniste, istituendo così una connessione inconsueta con i testi benjaminiani. L'intento di tale connessione è mostrare come la traduzione vada collocata nello strato più profondo della teoria linguistica. Essa si situa nel punto di frattura tra ordine semiotico e ordine semantico, esibendo, in maniera esemplare, la peculiarità del linguaggio umano: quella di essere, al tempo stesso, un che di naturale e di storico. La questione della traduzione viene ripensata allora a partire dalla teoria dell'infanzia: se l'uomo è cronicamente in-fante, in quanto egli non è sempre già parlante ma deve ogni volta entrare nella lingua, la traduzione costituisce la possibilità stessa di questa entrata. Infine il paper tematizza il valore politico della traduzione: tradurre, in senso benjaminiano, vuol dire eliminare l'indicibile, procedere secondo un movimento di scavo all'interno del linguaggio, leggere ciò che ancora non è stato scritto, ri-scrivere la storia. The paper puts forward a hypothesis: far from being a secondary aspect of complex linguistic phenomena, translation is the original movement of language. If it is true that humans are “linguistic animals”, language is in itself an activity of translation. Translation is in fact an intra-linguistic process before being inter-linguistic, that takes place, every time speech is uttered, within one same language. The paper firstly analyses the early writings of Walter Benjamin on language. We will then look at the reflections on translation of R. Jakobson, E. Benveniste, attempting an original comparison with the works of Benjamin. The aim of this connection is to highlight how translation must be collocated at the deepest level of linguistic theory. It must be collocated at the point of fracture between the semiotic and the semantic, and shows, in a paradigmatic way, the particularity of human language: the fact that language is at the same time natural and historic. Translation is thus considered in conjunction with the theory of infancy: if man is chronically an infant, since language is not already available to man, on the contrary man must always re-enter language, then translation is this same possibility to enter language. Finally the paper deals with the political quality of translation: to translate, in the sense Benjamin intends it, is to eliminate what cannot be said, proceeding in language as if excavating, to read what has yet to be written and to re-write history.
2013
7
84
95
Marina Montanelli
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