La riscoperta e valorizzazione di alcuni pseudocereali anche esotici per i nostri ambienti, ha comportato l’individuazione di specie rimaste neglette per lungo tempo. Si possono citare in proposito il grano saraceno (Fagopyrum esculentum Moench.) e la quinoa (Chenopodium quinoa Willd.) (Casini, 2002; Tallarico et al., 2008) che hanno contribuito alla creazione di piccoli mercati sia nell’ambito alimentare che in quello non alimentare. Altra specie che recentemente è riuscita a conquistare una discreta fascia di mercato è l’amaranto (Amaranthus spp.), genere originario del Messico e del Centro America che, insieme al mais, al fagiolo, alla stessa quinoa ed alle varie specie di zucca, è stato uno dei principali alimenti dei Maya e degli Atzechi (Sandre, 1950; Turchi, 1987). La coltivazione di queste piante, soprattutto in riferimento agli pseudocereali, è andata progressivamente riducendosi fino agli inizi del XX secolo, poiché proibite fino dall’epoca dei conquistadores che le vietavano poiché legate a cerimonie religiose considerate offensive alle tradizioni cristiane. Per secoli queste specie sono rimaste confinate in piccole comunità in Messico e sull’Altipiano delle Ande dove, fortunatamente, si è conservata una certa biodiversità. Fino al XVIII secolo, in Europa l’amaranto era conosciuto soltanto come infestante o come pianta ornamentale, mentre in altre aree geografiche manteneva la sua utilizzazione come ortaggio e come sostituto di alcuni cereali. La riscoperta di questa pianta come preziosa risorsa alimentare, risale agli anni Settanta, quando, alcuni studi avviati da Dowton (1973), misero in evidenza le sue notevoli proprietà nutritive delle specie più diffuse: Amaranthus cruentus L., A. hypocondriacus L., A. caudatus L. e A. edulis Speg. Soprattutto nei confronti delle prime due, la ricerca si è sviluppata in misura tale da originare un importante mercato come negli Stati Uniti, Cina e India, dove l’amaranto viene coltivato su grandi superfici ed è considerato ormai al pari di altre colture industriali (Tucker, 1986; Granado e Lòpez, 1990). Le principali caratteristiche di questa specie, di cui, oltre ai semi, si possono consumare anche le foglie a guisa di spinaci, sono l’elevato contenuto di proteine (15 - 18%), di lisina e di calcio rispettivamente con medie di 5.2 e 0.37 g/100 g di sostanza secca (Petr et al., 2003), oltre ad essere caratterizzato dall’assenza di glutine e quindi idoneo all’alimentazione dei celiaci (Ballabio et al., 2011). In particolare il contenuto di lisina, superiore ad alcuni alimenti di origine vegetale (cereali, fagioli, soia) ed animale (carne, latte, uova), conferisce a questa specie elevate potenzialità di mercato soprattutto là dove, fino a questo momento, è stata confinata quasi esclusivamente nel settore salutistico (Hackman e Mayers, 2003). L’amaranto, oltre a costituire la base di un gran numero di preparazioni alimentari, viene impiegato anche per la formulazione di barrette, snack, muesli, semi soffiati, estrusi ed altri prodotti come biscotti e pane. Per quest’ultimo impiego però, ed in generale per la produzione di paste lievitate, è necessaria la miscelazione con farine di cereali che, nel caso di produzioni destinate ai celiaci possono essere di mais, sorgo, riso o miglio. La farina di amaranto non contiene zuccheri semplici e questo, considerato l’elevato contenuto di amilopectina e di zuccheri complessi, consente il suo impiego nelle diete di obesi e diabetici. Un’utilizzazione particolare di questa specie è quella del “latte di amaranto” che, per il suo ottimo bilanciamento degli aminoacidi e per l’elevato contenuto di calcio, è indicato per l’alimentazione dei bambini, anziani e degli intolleranti il lattosio (Teutonico e Dietrich, 1985). Le foglie di alcune varietà particolarmente pigmentate, possono essere utilizzate per l’estrazione di un colorante rosso impiegato nell’industria alimentare, da non confondere però con l’E123, colorante sintetico (vietato in molte preparazioni alimentari) indicato anche come “Amaranto” proprio in considerazione della colorazione che conferisce ai preparati simile a quella della pianta. Altrettanto interessante è l’impiego dell’amaranto nel settore non alimentare, sebbene questo aspetto non risulti ancora altrettanto studiato parimenti alla sua utilizzazione come alimento. Il settore cosmetico e farmacologico beneficiano soprattutto dell’elevato tenore di squalene dell’olio, un acido grasso contenuto in media per il 4.6%. È un composto strutturalmente molto simile al β-carotene, metabolita intermedio nella sintesi del colesterolo. Recenti studi (Gonor at al., 2006; 2006; Shin et al., 2011) hanno messo in evidenza come lo squalene possa rientrare nella composizione di farmaci per la riduzione del colesterolo ematico. L’olio di amaranto, contenuto nei semi in media per il 6.0%, con il suo tenore di tocoferoli, composti generalmente indicati come “vitamina E”, insieme allo squalene, trovano impiego nell’industria cosmetica soprattutto nel settore della cura della pelle e dei capelli e, più genericamente, nei formulati anallergici. Le proprietà riconosciute sono attribuite all’elevato potere antiossidante “anti-invecchiamento”. Altra particolare utilizzazione dell’amaranto nel settore non alimentare, è quella dell’impiego dell’amido caratterizzato da granuli molto piccoli (in media inferiori a 1 µm) e di forma poliedrica (Tomita et al., 1981; Tucker, 1986). A causa delle loro dimensioni e quindi della grande superficie specifica (rapporto tra la superficie sviluppata e volume) per unità di peso, le particelle di amido possiedono un’elevata capacità di assorbimento e possono essere utilizzate come base per aerosol non allergici ed anche come sostituto del talco in cosmesi. Sebbene alcune potenzialità di questo pseudo cereale siano ormai consolidate anche al di fuori delle sue aree di origine, in Italia l’amaranto non ha ricevuto molte attenzioni. Questo, nonostante prove agronomiche, alcune delle quali poliennali, abbiamo messo in evidenza la possibilità di introduzione di questa specie nel nostro Meridione anche con buoni risultati produttivi (Alba et al., 1997; Lovelli et al., 2005; Rivelli et al., 2008). La disponibilità di genotipi presso banche internazionali di germoplasma, può consentire di valutare l’amaranto anche in altre realtà agroclimatiche sfruttando la sua caratteristica di specie rustica. Lo scopo di questo contributo è quello di presentare i risultati di una prima valutazione della possibilità di coltivazione di A. cruentus e A. hypocondriacus in Italia Centrale. Questa attività rientra in un progetto più ampio che prevede, oltre alla valutazione di genotipi di diversa provenienza, anche la caratterizzazione dell’olio e delle sostanze funzionali.

Amaranto (Amaranthus spp.). Prove di adattabilità in Toscana / Paolo Casini; Felice La Rocca. - STAMPA. - 10:(2013), pp. 155-178. (Intervento presentato al convegno Amaranto. Pseudocereale dai molteplici utilizzi tenutosi a Firenze nel 22 marzo 2013).

Amaranto (Amaranthus spp.). Prove di adattabilità in Toscana.

CASINI, PAOLO;LA ROCCA, FELICE
2013

Abstract

La riscoperta e valorizzazione di alcuni pseudocereali anche esotici per i nostri ambienti, ha comportato l’individuazione di specie rimaste neglette per lungo tempo. Si possono citare in proposito il grano saraceno (Fagopyrum esculentum Moench.) e la quinoa (Chenopodium quinoa Willd.) (Casini, 2002; Tallarico et al., 2008) che hanno contribuito alla creazione di piccoli mercati sia nell’ambito alimentare che in quello non alimentare. Altra specie che recentemente è riuscita a conquistare una discreta fascia di mercato è l’amaranto (Amaranthus spp.), genere originario del Messico e del Centro America che, insieme al mais, al fagiolo, alla stessa quinoa ed alle varie specie di zucca, è stato uno dei principali alimenti dei Maya e degli Atzechi (Sandre, 1950; Turchi, 1987). La coltivazione di queste piante, soprattutto in riferimento agli pseudocereali, è andata progressivamente riducendosi fino agli inizi del XX secolo, poiché proibite fino dall’epoca dei conquistadores che le vietavano poiché legate a cerimonie religiose considerate offensive alle tradizioni cristiane. Per secoli queste specie sono rimaste confinate in piccole comunità in Messico e sull’Altipiano delle Ande dove, fortunatamente, si è conservata una certa biodiversità. Fino al XVIII secolo, in Europa l’amaranto era conosciuto soltanto come infestante o come pianta ornamentale, mentre in altre aree geografiche manteneva la sua utilizzazione come ortaggio e come sostituto di alcuni cereali. La riscoperta di questa pianta come preziosa risorsa alimentare, risale agli anni Settanta, quando, alcuni studi avviati da Dowton (1973), misero in evidenza le sue notevoli proprietà nutritive delle specie più diffuse: Amaranthus cruentus L., A. hypocondriacus L., A. caudatus L. e A. edulis Speg. Soprattutto nei confronti delle prime due, la ricerca si è sviluppata in misura tale da originare un importante mercato come negli Stati Uniti, Cina e India, dove l’amaranto viene coltivato su grandi superfici ed è considerato ormai al pari di altre colture industriali (Tucker, 1986; Granado e Lòpez, 1990). Le principali caratteristiche di questa specie, di cui, oltre ai semi, si possono consumare anche le foglie a guisa di spinaci, sono l’elevato contenuto di proteine (15 - 18%), di lisina e di calcio rispettivamente con medie di 5.2 e 0.37 g/100 g di sostanza secca (Petr et al., 2003), oltre ad essere caratterizzato dall’assenza di glutine e quindi idoneo all’alimentazione dei celiaci (Ballabio et al., 2011). In particolare il contenuto di lisina, superiore ad alcuni alimenti di origine vegetale (cereali, fagioli, soia) ed animale (carne, latte, uova), conferisce a questa specie elevate potenzialità di mercato soprattutto là dove, fino a questo momento, è stata confinata quasi esclusivamente nel settore salutistico (Hackman e Mayers, 2003). L’amaranto, oltre a costituire la base di un gran numero di preparazioni alimentari, viene impiegato anche per la formulazione di barrette, snack, muesli, semi soffiati, estrusi ed altri prodotti come biscotti e pane. Per quest’ultimo impiego però, ed in generale per la produzione di paste lievitate, è necessaria la miscelazione con farine di cereali che, nel caso di produzioni destinate ai celiaci possono essere di mais, sorgo, riso o miglio. La farina di amaranto non contiene zuccheri semplici e questo, considerato l’elevato contenuto di amilopectina e di zuccheri complessi, consente il suo impiego nelle diete di obesi e diabetici. Un’utilizzazione particolare di questa specie è quella del “latte di amaranto” che, per il suo ottimo bilanciamento degli aminoacidi e per l’elevato contenuto di calcio, è indicato per l’alimentazione dei bambini, anziani e degli intolleranti il lattosio (Teutonico e Dietrich, 1985). Le foglie di alcune varietà particolarmente pigmentate, possono essere utilizzate per l’estrazione di un colorante rosso impiegato nell’industria alimentare, da non confondere però con l’E123, colorante sintetico (vietato in molte preparazioni alimentari) indicato anche come “Amaranto” proprio in considerazione della colorazione che conferisce ai preparati simile a quella della pianta. Altrettanto interessante è l’impiego dell’amaranto nel settore non alimentare, sebbene questo aspetto non risulti ancora altrettanto studiato parimenti alla sua utilizzazione come alimento. Il settore cosmetico e farmacologico beneficiano soprattutto dell’elevato tenore di squalene dell’olio, un acido grasso contenuto in media per il 4.6%. È un composto strutturalmente molto simile al β-carotene, metabolita intermedio nella sintesi del colesterolo. Recenti studi (Gonor at al., 2006; 2006; Shin et al., 2011) hanno messo in evidenza come lo squalene possa rientrare nella composizione di farmaci per la riduzione del colesterolo ematico. L’olio di amaranto, contenuto nei semi in media per il 6.0%, con il suo tenore di tocoferoli, composti generalmente indicati come “vitamina E”, insieme allo squalene, trovano impiego nell’industria cosmetica soprattutto nel settore della cura della pelle e dei capelli e, più genericamente, nei formulati anallergici. Le proprietà riconosciute sono attribuite all’elevato potere antiossidante “anti-invecchiamento”. Altra particolare utilizzazione dell’amaranto nel settore non alimentare, è quella dell’impiego dell’amido caratterizzato da granuli molto piccoli (in media inferiori a 1 µm) e di forma poliedrica (Tomita et al., 1981; Tucker, 1986). A causa delle loro dimensioni e quindi della grande superficie specifica (rapporto tra la superficie sviluppata e volume) per unità di peso, le particelle di amido possiedono un’elevata capacità di assorbimento e possono essere utilizzate come base per aerosol non allergici ed anche come sostituto del talco in cosmesi. Sebbene alcune potenzialità di questo pseudo cereale siano ormai consolidate anche al di fuori delle sue aree di origine, in Italia l’amaranto non ha ricevuto molte attenzioni. Questo, nonostante prove agronomiche, alcune delle quali poliennali, abbiamo messo in evidenza la possibilità di introduzione di questa specie nel nostro Meridione anche con buoni risultati produttivi (Alba et al., 1997; Lovelli et al., 2005; Rivelli et al., 2008). La disponibilità di genotipi presso banche internazionali di germoplasma, può consentire di valutare l’amaranto anche in altre realtà agroclimatiche sfruttando la sua caratteristica di specie rustica. Lo scopo di questo contributo è quello di presentare i risultati di una prima valutazione della possibilità di coltivazione di A. cruentus e A. hypocondriacus in Italia Centrale. Questa attività rientra in un progetto più ampio che prevede, oltre alla valutazione di genotipi di diversa provenienza, anche la caratterizzazione dell’olio e delle sostanze funzionali.
2013
Atti Accademia dei Georgofili
Amaranto. Pseudocereale dai molteplici utilizzi
Firenze
22 marzo 2013
Paolo Casini; Felice La Rocca
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