Nell’ottobre 2011 la Società di Studi Geografici promosse una giornata di studi dal titolo Oltre la globalizzazione: le proposte della Geografia economica con l’intento di farne, a cadenza annuale, un momento d’incontro e di scambio per la ricerca disciplinare italiana. A tre decenni dall’integrazione globale dei mercati finanziari e in un quadro di crisi sistemica, lo scopo era quello di misurare il mutamento intervenuto nei fondamenti disciplinari, le risposte che la ricerca italiana, confrontandosi con quella internazionale, era andata maturando, e quali scenari le si stessero presentando in termini di ricerca applicata e di riflessione teorico-concettuale. Il perdurare della crisi economica e l’apparente depauperamento delle fondamenta ecologiche e sociali dello sviluppo economico, ci ha spinto nel 2013 a proporre come tema centrale della Giornata di studio SSG il tema della «resilienza», un termine di interesse interdisciplinare assai diffuso negli ultimi anni per designare la capacità dei sistemi materiali, ecologici e sociali di rispondere a shock di vario tipo che vanno dai disastri naturali alle recessioni economiche, dal cambiamento climatico al terrorismo internazionale. Le scienze ecologiche, nell’ambito delle quali il termine è stato per la prima volta introdotto, la definiscono come capacità di un sistema di rispondere a una perturbazione minimizzando l’impatto e ristabilendo velocemente condizioni di equilibrio: essa dunque è singolarmente congrua agli approcci emergenti nella letteratura geografico-economica internazionale che interpretano l’economia dei luoghi dal punto di vista sistemico ed evolutivo. «Resilienza» (che nel nostro caso sarebbe egregiamente ma non del tutto esaustivamente spiegata dall’accoppiamento con l’aggettivo «territoriale») sta dunque per reattività, adattabilità, stabilità dinamica di un sistema, rappresentando un modello di lettura dei risultati attesi e al tempo stesso una metafora. Presuppone una sollecitazione e focalizza l’analisi sull’insieme delle dinamiche di persistenza che si realizzano all’interno: fornisce in tal modo un’egregia rappresentazione di ciò che, anche in occasione di perturbazioni violente e radicali quali ad esempio le crisi economiche, si osserva in realtà, ossia il vincolo schiettamente interno cui deve sottostare la successiva rielaborazione. La fortuna del termine, in questo senso, è certamente legata agli interrogativi proposti dall’accelerato mutamento degli ultimi decenni, e dal fatto che il discorso su tali mutamenti non è adeguatamente affrontabile dalle scienze sociali, e in particolare dalla geografia, se non ragionando «per sistemi». Non che l’utilizzo della categoria, o della metafora, sia privo di problemi. Il primo e più naturale è che il suo concentrarsi, per analisi e per linguaggio, sull’interno del sistema oscuri quanto avviene all’esterno, che è altrettanto importante. L’eccesso di biologismo potrebbe inoltre portare a interpretare come naturale e ricorrente il funzionamento di sistemi territorializzati o connessi in rete che sono invece aperti a una pluralità di trasformazioni possibili. Si rischia, in altre parole, di «naturalizzare» le precedenti condizioni di equilibrio – che magari la crisi dovrebbe indurre a ripensare radicalmente – e di considerare le condizioni contingenti, «esterne», globali, come un dato di fatto immutabile rispetto al quale l’unica possibilità a scala locale è l’adattamento dinamico. Le economie geografiche che si sono mostrate più resilienti di fronte alla crisi, per esempio, sono meno dipendenti da relazioni economiche transnazionali e più autonome e, soprattutto, hanno una base economica diversificata. Ma bisogna evitare che tali considerazioni si traducano in esortazioni alla chiusura immunitaria: l’auto-sufficienza non è evidentemente un orizzonte possibile, né auspicabile. Ulteriori critiche al concetto di resilienza sono state avanzate a proposito della sua presunta vaghezza e della conseguente debolezza analitica e interpretativa. In questo quadro, la geografia economico-politica ha da una parte il compito di fornire interpretazioni solide e teoricamente fondate sulle traiettorie di mutamento che interessano regioni e città di fronte a eventi che paiono recar traccia di significative discontinuità. Dall’altra è necessario riflettere criticamente su come concetti nuovi e il nuovo paesaggio economico che si sta materializzando sotto i nostri occhi, mettano in discussione le chiavi interpretative e le strategie politiche precedenti, aprendo la strada ad altre interpretazioni e a risposte innovative.
Oltre la Globalizzazione Resilienza/Resilience / Cristina Capineri; Filippo Celata; Domenico de Vincenzo; Francesco Dini; Filippo Randelli; Patrizia Romei. - ELETTRONICO. - (2014), pp. 1-317.
Oltre la Globalizzazione Resilienza/Resilience
CAPINERI, CRISTINA;CELATA, FILIPPO;DINI, FRANCESCO;RANDELLI, FILIPPO;ROMEI, PATRIZIA
2014
Abstract
Nell’ottobre 2011 la Società di Studi Geografici promosse una giornata di studi dal titolo Oltre la globalizzazione: le proposte della Geografia economica con l’intento di farne, a cadenza annuale, un momento d’incontro e di scambio per la ricerca disciplinare italiana. A tre decenni dall’integrazione globale dei mercati finanziari e in un quadro di crisi sistemica, lo scopo era quello di misurare il mutamento intervenuto nei fondamenti disciplinari, le risposte che la ricerca italiana, confrontandosi con quella internazionale, era andata maturando, e quali scenari le si stessero presentando in termini di ricerca applicata e di riflessione teorico-concettuale. Il perdurare della crisi economica e l’apparente depauperamento delle fondamenta ecologiche e sociali dello sviluppo economico, ci ha spinto nel 2013 a proporre come tema centrale della Giornata di studio SSG il tema della «resilienza», un termine di interesse interdisciplinare assai diffuso negli ultimi anni per designare la capacità dei sistemi materiali, ecologici e sociali di rispondere a shock di vario tipo che vanno dai disastri naturali alle recessioni economiche, dal cambiamento climatico al terrorismo internazionale. Le scienze ecologiche, nell’ambito delle quali il termine è stato per la prima volta introdotto, la definiscono come capacità di un sistema di rispondere a una perturbazione minimizzando l’impatto e ristabilendo velocemente condizioni di equilibrio: essa dunque è singolarmente congrua agli approcci emergenti nella letteratura geografico-economica internazionale che interpretano l’economia dei luoghi dal punto di vista sistemico ed evolutivo. «Resilienza» (che nel nostro caso sarebbe egregiamente ma non del tutto esaustivamente spiegata dall’accoppiamento con l’aggettivo «territoriale») sta dunque per reattività, adattabilità, stabilità dinamica di un sistema, rappresentando un modello di lettura dei risultati attesi e al tempo stesso una metafora. Presuppone una sollecitazione e focalizza l’analisi sull’insieme delle dinamiche di persistenza che si realizzano all’interno: fornisce in tal modo un’egregia rappresentazione di ciò che, anche in occasione di perturbazioni violente e radicali quali ad esempio le crisi economiche, si osserva in realtà, ossia il vincolo schiettamente interno cui deve sottostare la successiva rielaborazione. La fortuna del termine, in questo senso, è certamente legata agli interrogativi proposti dall’accelerato mutamento degli ultimi decenni, e dal fatto che il discorso su tali mutamenti non è adeguatamente affrontabile dalle scienze sociali, e in particolare dalla geografia, se non ragionando «per sistemi». Non che l’utilizzo della categoria, o della metafora, sia privo di problemi. Il primo e più naturale è che il suo concentrarsi, per analisi e per linguaggio, sull’interno del sistema oscuri quanto avviene all’esterno, che è altrettanto importante. L’eccesso di biologismo potrebbe inoltre portare a interpretare come naturale e ricorrente il funzionamento di sistemi territorializzati o connessi in rete che sono invece aperti a una pluralità di trasformazioni possibili. Si rischia, in altre parole, di «naturalizzare» le precedenti condizioni di equilibrio – che magari la crisi dovrebbe indurre a ripensare radicalmente – e di considerare le condizioni contingenti, «esterne», globali, come un dato di fatto immutabile rispetto al quale l’unica possibilità a scala locale è l’adattamento dinamico. Le economie geografiche che si sono mostrate più resilienti di fronte alla crisi, per esempio, sono meno dipendenti da relazioni economiche transnazionali e più autonome e, soprattutto, hanno una base economica diversificata. Ma bisogna evitare che tali considerazioni si traducano in esortazioni alla chiusura immunitaria: l’auto-sufficienza non è evidentemente un orizzonte possibile, né auspicabile. Ulteriori critiche al concetto di resilienza sono state avanzate a proposito della sua presunta vaghezza e della conseguente debolezza analitica e interpretativa. In questo quadro, la geografia economico-politica ha da una parte il compito di fornire interpretazioni solide e teoricamente fondate sulle traiettorie di mutamento che interessano regioni e città di fronte a eventi che paiono recar traccia di significative discontinuità. Dall’altra è necessario riflettere criticamente su come concetti nuovi e il nuovo paesaggio economico che si sta materializzando sotto i nostri occhi, mettano in discussione le chiavi interpretative e le strategie politiche precedenti, aprendo la strada ad altre interpretazioni e a risposte innovative.I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.