“E così, contro la volontà del capitano della nave e dei marinai, fu giocoforza venire in Giappone. In tal modo né il demonio né i suoi ministri poterono impedire la nostra venuta, e così Dio ci guidò in queste terre, dove tanto desideravamo giungere, il giorno di Nostra Signora d’Agosto dell’anno 1549. E senza poter approdare in un altro porto del Giappone, arrivammo a Kagoshima, che è la patria di Paolo di Santa Fé, e dove tutti ci ricevettero con molto amore, tanto i suoi parenti come coloro che non lo erano.” San Francesco Saverio sbarca in una delle più importanti città del sud del Giappone sette anni dopo la “scoperta” del paese del Sol Levante da parte di alcuni mercanti portoghesi fortunosamente approdati nella vicina Tanegashima, una delle principali fra le isole Ōsumi. L'area di Kagoshima diviene dunque alla metà del XVI secolo la porta principale per l'accesso al misterioso paese di Zipangu, la cui esistenza fu resa nota all'occidente dalle pagine de Il Milione di Marco Polo. E' in questa regione del Kyushu, la più meridionale delle quattro isole maggiori che compongono l'arcipelago nipponico, che per la prima volta si introducono nell'Impero del Tennō sia gli archibugi portoghesi che il proselitismo militante della Compagnia di Gesù. Da Kagoshima proviene infatti anche Bernardo. Discepolo di Francesco Saverio, egli è considerato il primo gesuita giapponese a giungere a Roma nella seconda metà del XVI secolo. Dominata dall'imponente profilo di uno dei vulcani più attivi del Giappone, il Sakurajima, che frequentemente la ricopre di nera polvere lavica, affacciata sulla grande e profonda baia di Kinko, l'antica capitale del dominio di Satsuma ha ritrovato quegli antichi legami mediterranei divenendo fin dal 1960 la prima città giapponese gemellata con una città italiana. Ambedue meridionali, ambedue con simili caratteristiche paesaggistiche e geografiche, Kagoshima condivide con Napoli non solo la presenza del profilo di un vulcano e l'affaccio su un golfo ma anche la medesima spontaneità di costumi e di carattere degli abitanti, così lontani dalla sofisticata e fredda eleganza degli abitanti di Tokyo e Kyoto. Una disponibilità al confronto con gli altri ed un culto dell'ospitalità tipici di un porto di mare del sud, o meglio, di tutti i sud del mondo. E' qui, ad una sola ora di shinkansen dal Palazzo costruito da Aldo Rossi a Fukuoka, che il caso ha ha regalato l'occasione per costruire questa piccola architettura. Prossima alla nuova stazione ferroviaria dei treni ad alta velocità, vicinissima a Napoli-Dori, la Via Napoli5, il boulevard principale della città e posta in un lotto di alto valore immobiliare in virtù della sua posizione centrale, la casa doveva costituire per la committenza un preciso esercizio di identità architettonica italiana. Cosa non facile, dovendo impiegare la tradizionale tecnologia del legno che offre spessori murari di appena 10 centimetri e non potendo nemmeno prevedere una corte od un patio, dato il costo del terreno e le non rare piogge di cenere. Si è dunque scelto di lavorare per opposizione dialettica. Inserita in un tessuto edilizio di poca qualità, costituito dalle consuete abitazioni nipponiche che mai possono condividere fra loro muri o strutture per le note esigenze sismiche e di sicurezza contro gli incendi; parzialmente circondata da alti palazzi residenziali che impediscono ogni veduta della baia e del vulcano, essa si presenta come un primo possibile nucleo di una tipologia a schiera in cui due semplici volumi accostati ospitano, l'uno gli elementi distributivi e di servizio, l'altro gli spazi principali. Compresa la tatami room, la stanza in stile giapponese canonicamente dotata di pavimento in paglia di riso e tokonoma6. Rivestita in legno scuro, come le tradizionali dimore di campagna o come le kurofune, le nere navi dei mercanti portoghesi, la casa interpreta il tema dell'oscurità delle antiche magioni descritte da Jun'ichirō Tanizaki nel Libro d'ombra, rovesciandola all'esterno; a guisa di scura concrezione lavica perforata dalla grande finestra aperta sul doppio volume. Occhio da cui traguardare gli unici alberi presenti nel vicino parco; l'ultimo brandello di paesaggio qui sopravvissuto al sempre mutevole scenario edilizio della città. Una laconica verde presenza, inquadrata e riflessa in una sorta di mirino fotografico posto nella camera da letto matrimoniale -vera e propria camera ottica- grazie al vecchio trucco dello specchio mobile che L.C. usò nel Cabanon. Un altro paesaggio è invece evocato all'interno dell'abitazione: l'immagine di un bianco villaggio mediterraneo, dove perfino l'alta sala, sagomata in negativo come una casa dentro alla casa, può diventare una piccola piazza e le pareti interne facciate di case, da cui si affacciano balconi e si ritagliano finestre. Aperte verso altre intimità o verso l'azzurro del cielo. “Then, against the will of the captain and of his sailors, we reached Japan. Neither the devil nor his ministers could have stopped us. Finally Almighty God led us to these lands which we desperately wanted to reach on the day of the Assumption of the Virgin Mary in August 1549. Without any possibility to enter any other port, we went ashore in Kagoshima: the homeland of Paulo de Santa Fé, where we were welcomed , as much by his relatives as by everyone else, with great love and affection.” Thus, Saint Francis Xavier came ashore in one of the most important cities of southern Japan, seven years after the “discovery” of the Land of the Rising Sun reported by Portuguese adventurers who had fortuitously reached Tanegashima, the main island in the Ōsumi archipelago. From that moment, Kagoshima became the main entry-point for any westerner willing to explore the mysterious land of Zipangu, the mythical country whose existence was first introduced to Europeans by Marco Polo's well known travel chronicle. Consequently this region of Kyushu, the southernmost of the four primary islands forming the Tennō's empire, saw for almost a century both the militant proselytism of the Society of Jesus and the growing profit of the Portuguese arquebus trade. It was from Kagoshima, too, where Bernardo, the Japanese disciple of Francis Xavier, came. Historians believe Bernardo to be the first Japanese to set foot in Europe, in 1553 on his way to Rome, where he arrived two years later to meet Ignatius of Loyola and supposedly Pope Marcellus II. Kagoshima, facing the broad, deep bay of Kinko, is dominated by the imposing profile of one of Japan’s most active volcanoes, Sakurajima, which frequently covered the city with its black dust. The ancient capital of the Satsuma Domain has recovered only recently its historical links with the Mediterranean, having become the first Japanese city to forge a cultural relationship with an Italian city since 1960. The bay and the hyperactive volcano, endlessly spreading black powders over the city, are the strongest features of Kagoshima's landscape and link it to Naples, its sister city. Both are southern towns, both possessing a similar morphology, these two cities seem to share also the temper of their inhabitants. Kagoshima people are flamboyant indeed and quite different from the cold elegance of Tokyo's or Kyoto's sophisticated residents. There exists a sort of Kyushu version of southern hospitality one can find in other Japanese port towns like Nagasaki or Fukuoka, for example, or maybe it would be better to say, which one can find in every other southern place in the world. Located just one hour away by bullet train from Fukuoka, the city where Aldo Rossi built his notorious Palazzo, Kagoshima offered us the chance to build a small architectural exercise in Take. In this fast-developing central neighborhood property prices are constantly rising because of its proximity to both the new Shinkansen railway station and to the main avenue of the town (named Napoli-dori). As such, Sanyo House Company asked us to design a model house especially tailored for this burgeoning area and conceived like a sort of manifesto of the Italian architectural identity. This was no easy task, though, since the technology we were obliged to use was local and had to be standardized and cheap, matching the kinds generally used by the contractor themselves; namely, a traditional anti-seismic wood structure walled with wood sandwich panels, a combination offering a thickness of only ten centimeters. Moreover no Mediterranean spatial typologies like patios or courtyards could be included in the design layout, in order to maximise the high value of the ground. Last but not least a pitched roof was considered mandatory so that the volcanic black rain could be easily washed away. To solve this conundrum, we therefore chose a dialectical approach, in an attempt to merge both the technical constraints and the conceptual possibilities. Despite being surrounded by anonymous single-family detached houses which cannot share party walls in order to respect the strict Japanese seismic and fire-protection codes, and being partly overshadowed by high apartment buildings which hide any view of the bay and the volcano, this house introduces to the Take neighborhood an interpretation of a well-known architectural typology. Two built spaces are placed one beside the other, sharing a wall and forming a possible first nucleus for a design for a row house development: the smaller space contains the hallways, the staircase, the the toilets and bathroom; the bigger one hosts the main rooms including the tatami room (or Japanese-style room) with the usual straw mat floor and the traditional tokonoma (a built-in recessed space in which pictorial scrolls -kakemono- or artistic arrangements of flowers -ikebana- are usually displayed). Conceptually blurring the uncertain territory where Japanese and European identities meet, the house and its blackened-timber facade could be read on one hand like an homage to the traditional Japanese art of preserving wood by charring it, called shou sugi ban or yakisugi; on the other hand as an enigmatic reminder of the arrival of the Kurofune, the black vessels used by the first Portuguese merchants. But there is another inevitable reference for such blackness. It is the precious obscurity kept in the traditional Japanese houses, as described by Jun'ichirō Tanizaki's in his In praise of shadows. We chose to overturn that deep interior obscurity, using it to form the exteriors of the house, now transformed in a sort of lava rock pierced by the big window of the double-height living room; a squared oculus which frames a view of the trees in the nearby park. The sole green fragment of the landscape surviving in Take, placed between the Ibusuki railway line and the Nakasu Dori bridge, generates another moment in the house. The old trick Le Corbusier conceived for the cabanon is directly quoted in the mirrored shutter of the master bedroom interior window which works like a life-size viewfinder of a livable camera obscura pointed toward the trees. We brought the darkness of traditional Japanese houses outside and placed it on the house facades. This move allowed us to work with other powerful analogies in the interiors: the memories of the whitewashed houses of the Mediterranean villages and their little piazzas. Images that form a reversed landscape can be found especially in the living room, an house-like negative space theatrically surrounded by counter-facades with balconies and windows. These open onto secret intimacies, or “the blue of the sky”.
Casa nel Kyushu, Kagoshima, Giappone / Volpe, Andrea Innocenzo. - STAMPA. - 12:(2014), pp. 142-143. (Intervento presentato al convegno Identità dell'Architettura Italiana 12° edizione tenutosi a Firenze nel 9-10 Dicembre 2014).
Casa nel Kyushu, Kagoshima, Giappone
VOLPE, ANDREA INNOCENZO
2014
Abstract
“E così, contro la volontà del capitano della nave e dei marinai, fu giocoforza venire in Giappone. In tal modo né il demonio né i suoi ministri poterono impedire la nostra venuta, e così Dio ci guidò in queste terre, dove tanto desideravamo giungere, il giorno di Nostra Signora d’Agosto dell’anno 1549. E senza poter approdare in un altro porto del Giappone, arrivammo a Kagoshima, che è la patria di Paolo di Santa Fé, e dove tutti ci ricevettero con molto amore, tanto i suoi parenti come coloro che non lo erano.” San Francesco Saverio sbarca in una delle più importanti città del sud del Giappone sette anni dopo la “scoperta” del paese del Sol Levante da parte di alcuni mercanti portoghesi fortunosamente approdati nella vicina Tanegashima, una delle principali fra le isole Ōsumi. L'area di Kagoshima diviene dunque alla metà del XVI secolo la porta principale per l'accesso al misterioso paese di Zipangu, la cui esistenza fu resa nota all'occidente dalle pagine de Il Milione di Marco Polo. E' in questa regione del Kyushu, la più meridionale delle quattro isole maggiori che compongono l'arcipelago nipponico, che per la prima volta si introducono nell'Impero del Tennō sia gli archibugi portoghesi che il proselitismo militante della Compagnia di Gesù. Da Kagoshima proviene infatti anche Bernardo. Discepolo di Francesco Saverio, egli è considerato il primo gesuita giapponese a giungere a Roma nella seconda metà del XVI secolo. Dominata dall'imponente profilo di uno dei vulcani più attivi del Giappone, il Sakurajima, che frequentemente la ricopre di nera polvere lavica, affacciata sulla grande e profonda baia di Kinko, l'antica capitale del dominio di Satsuma ha ritrovato quegli antichi legami mediterranei divenendo fin dal 1960 la prima città giapponese gemellata con una città italiana. Ambedue meridionali, ambedue con simili caratteristiche paesaggistiche e geografiche, Kagoshima condivide con Napoli non solo la presenza del profilo di un vulcano e l'affaccio su un golfo ma anche la medesima spontaneità di costumi e di carattere degli abitanti, così lontani dalla sofisticata e fredda eleganza degli abitanti di Tokyo e Kyoto. Una disponibilità al confronto con gli altri ed un culto dell'ospitalità tipici di un porto di mare del sud, o meglio, di tutti i sud del mondo. E' qui, ad una sola ora di shinkansen dal Palazzo costruito da Aldo Rossi a Fukuoka, che il caso ha ha regalato l'occasione per costruire questa piccola architettura. Prossima alla nuova stazione ferroviaria dei treni ad alta velocità, vicinissima a Napoli-Dori, la Via Napoli5, il boulevard principale della città e posta in un lotto di alto valore immobiliare in virtù della sua posizione centrale, la casa doveva costituire per la committenza un preciso esercizio di identità architettonica italiana. Cosa non facile, dovendo impiegare la tradizionale tecnologia del legno che offre spessori murari di appena 10 centimetri e non potendo nemmeno prevedere una corte od un patio, dato il costo del terreno e le non rare piogge di cenere. Si è dunque scelto di lavorare per opposizione dialettica. Inserita in un tessuto edilizio di poca qualità, costituito dalle consuete abitazioni nipponiche che mai possono condividere fra loro muri o strutture per le note esigenze sismiche e di sicurezza contro gli incendi; parzialmente circondata da alti palazzi residenziali che impediscono ogni veduta della baia e del vulcano, essa si presenta come un primo possibile nucleo di una tipologia a schiera in cui due semplici volumi accostati ospitano, l'uno gli elementi distributivi e di servizio, l'altro gli spazi principali. Compresa la tatami room, la stanza in stile giapponese canonicamente dotata di pavimento in paglia di riso e tokonoma6. Rivestita in legno scuro, come le tradizionali dimore di campagna o come le kurofune, le nere navi dei mercanti portoghesi, la casa interpreta il tema dell'oscurità delle antiche magioni descritte da Jun'ichirō Tanizaki nel Libro d'ombra, rovesciandola all'esterno; a guisa di scura concrezione lavica perforata dalla grande finestra aperta sul doppio volume. Occhio da cui traguardare gli unici alberi presenti nel vicino parco; l'ultimo brandello di paesaggio qui sopravvissuto al sempre mutevole scenario edilizio della città. Una laconica verde presenza, inquadrata e riflessa in una sorta di mirino fotografico posto nella camera da letto matrimoniale -vera e propria camera ottica- grazie al vecchio trucco dello specchio mobile che L.C. usò nel Cabanon. Un altro paesaggio è invece evocato all'interno dell'abitazione: l'immagine di un bianco villaggio mediterraneo, dove perfino l'alta sala, sagomata in negativo come una casa dentro alla casa, può diventare una piccola piazza e le pareti interne facciate di case, da cui si affacciano balconi e si ritagliano finestre. Aperte verso altre intimità o verso l'azzurro del cielo. “Then, against the will of the captain and of his sailors, we reached Japan. Neither the devil nor his ministers could have stopped us. Finally Almighty God led us to these lands which we desperately wanted to reach on the day of the Assumption of the Virgin Mary in August 1549. Without any possibility to enter any other port, we went ashore in Kagoshima: the homeland of Paulo de Santa Fé, where we were welcomed , as much by his relatives as by everyone else, with great love and affection.” Thus, Saint Francis Xavier came ashore in one of the most important cities of southern Japan, seven years after the “discovery” of the Land of the Rising Sun reported by Portuguese adventurers who had fortuitously reached Tanegashima, the main island in the Ōsumi archipelago. From that moment, Kagoshima became the main entry-point for any westerner willing to explore the mysterious land of Zipangu, the mythical country whose existence was first introduced to Europeans by Marco Polo's well known travel chronicle. Consequently this region of Kyushu, the southernmost of the four primary islands forming the Tennō's empire, saw for almost a century both the militant proselytism of the Society of Jesus and the growing profit of the Portuguese arquebus trade. It was from Kagoshima, too, where Bernardo, the Japanese disciple of Francis Xavier, came. Historians believe Bernardo to be the first Japanese to set foot in Europe, in 1553 on his way to Rome, where he arrived two years later to meet Ignatius of Loyola and supposedly Pope Marcellus II. Kagoshima, facing the broad, deep bay of Kinko, is dominated by the imposing profile of one of Japan’s most active volcanoes, Sakurajima, which frequently covered the city with its black dust. The ancient capital of the Satsuma Domain has recovered only recently its historical links with the Mediterranean, having become the first Japanese city to forge a cultural relationship with an Italian city since 1960. The bay and the hyperactive volcano, endlessly spreading black powders over the city, are the strongest features of Kagoshima's landscape and link it to Naples, its sister city. Both are southern towns, both possessing a similar morphology, these two cities seem to share also the temper of their inhabitants. Kagoshima people are flamboyant indeed and quite different from the cold elegance of Tokyo's or Kyoto's sophisticated residents. There exists a sort of Kyushu version of southern hospitality one can find in other Japanese port towns like Nagasaki or Fukuoka, for example, or maybe it would be better to say, which one can find in every other southern place in the world. Located just one hour away by bullet train from Fukuoka, the city where Aldo Rossi built his notorious Palazzo, Kagoshima offered us the chance to build a small architectural exercise in Take. In this fast-developing central neighborhood property prices are constantly rising because of its proximity to both the new Shinkansen railway station and to the main avenue of the town (named Napoli-dori). As such, Sanyo House Company asked us to design a model house especially tailored for this burgeoning area and conceived like a sort of manifesto of the Italian architectural identity. This was no easy task, though, since the technology we were obliged to use was local and had to be standardized and cheap, matching the kinds generally used by the contractor themselves; namely, a traditional anti-seismic wood structure walled with wood sandwich panels, a combination offering a thickness of only ten centimeters. Moreover no Mediterranean spatial typologies like patios or courtyards could be included in the design layout, in order to maximise the high value of the ground. Last but not least a pitched roof was considered mandatory so that the volcanic black rain could be easily washed away. To solve this conundrum, we therefore chose a dialectical approach, in an attempt to merge both the technical constraints and the conceptual possibilities. Despite being surrounded by anonymous single-family detached houses which cannot share party walls in order to respect the strict Japanese seismic and fire-protection codes, and being partly overshadowed by high apartment buildings which hide any view of the bay and the volcano, this house introduces to the Take neighborhood an interpretation of a well-known architectural typology. Two built spaces are placed one beside the other, sharing a wall and forming a possible first nucleus for a design for a row house development: the smaller space contains the hallways, the staircase, the the toilets and bathroom; the bigger one hosts the main rooms including the tatami room (or Japanese-style room) with the usual straw mat floor and the traditional tokonoma (a built-in recessed space in which pictorial scrolls -kakemono- or artistic arrangements of flowers -ikebana- are usually displayed). Conceptually blurring the uncertain territory where Japanese and European identities meet, the house and its blackened-timber facade could be read on one hand like an homage to the traditional Japanese art of preserving wood by charring it, called shou sugi ban or yakisugi; on the other hand as an enigmatic reminder of the arrival of the Kurofune, the black vessels used by the first Portuguese merchants. But there is another inevitable reference for such blackness. It is the precious obscurity kept in the traditional Japanese houses, as described by Jun'ichirō Tanizaki's in his In praise of shadows. We chose to overturn that deep interior obscurity, using it to form the exteriors of the house, now transformed in a sort of lava rock pierced by the big window of the double-height living room; a squared oculus which frames a view of the trees in the nearby park. The sole green fragment of the landscape surviving in Take, placed between the Ibusuki railway line and the Nakasu Dori bridge, generates another moment in the house. The old trick Le Corbusier conceived for the cabanon is directly quoted in the mirrored shutter of the master bedroom interior window which works like a life-size viewfinder of a livable camera obscura pointed toward the trees. We brought the darkness of traditional Japanese houses outside and placed it on the house facades. This move allowed us to work with other powerful analogies in the interiors: the memories of the whitewashed houses of the Mediterranean villages and their little piazzas. Images that form a reversed landscape can be found especially in the living room, an house-like negative space theatrically surrounded by counter-facades with balconies and windows. These open onto secret intimacies, or “the blue of the sky”.File | Dimensione | Formato | |
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