Nell’ultimo decennio tre diversi fenomeni si sono trovati a convergere: la diffusione di tecnologie digitali (ICT, Information and Communication Technologies) – dai sensori alle piattaforme virtuali – per la raccolta e potenziale condivisione di dati personali e scientifici tra individui e comunità; le biobanche di ricerca che custodiscono campioni biologici umani e relative informazioni; e la collaborazione fra scienziati e cittadini nella creazione di conoscenza per finalità di policy – ciò che viene oggi definita pari produzione di conoscenza (peer-production of knowledge). Nuove conoscenze e forme di conoscenza, tecnologie ed expertise si sono mescolate in iniziative che combinano scienza, diritto e impegno sociale; in esse, esperti e cittadini utilizzano genomica e ICT come potenti mezzi per acquisire un controllo crescente sulla propria salute e sull’ambiente. E’ ormai inadeguato definire tali attività semplicemente come ricerca e sorveglianza epidemiologiche. Infatti, si tratta piuttosto di nuove forme di “vigilanza” pensata , promossa ed eseguita congiuntamente da scienziati e cittadini nell’esercizio dei loro diritti di cittadinanza scientifica. Il termine vigilanza, o veillance, è utilizzato qui per indicare un atteggiamento di consapevolezza cognitiva rivolta proattivamente alla protezione di beni comuni. Questo articolo presenta due case-study italiani in cui cittadini e scienziati, avvalendosi di ICT e/o di una biobanca, si sono uniti per proteggere la salute ambientale in siti altamente inquinati. Lo statuto di queste iniziative resta ancora largamente da definire, sia per quanto riguarda le modalità di produzione della citizen science a esse sottesa, sia in relazione alla scarsità di strumenti giuridici adeguati per strutturarle. Tali attività, per qualità scientifica e sofisticazione dei mezzi tecnologici, sono ben lontane da esperienze precedenti (per esempio, quelle di cosiddetta popular epidemiology). Per la consapevolezza critica rispetto alle esigenze di trasparenza, affidabilità e accessibilità dei dati, come pure alle modalità di finanziamento (spesso con meccanismi di crowdfunding), le esperienze di citizens’ veillance non si limitano a contestare il sapere di produzione istituzionale, ma si offrono, piuttosto, all’attenzione delle istituzioni come modello di produzione di conoscenza da adottare.
La vigilanza dei cittadini sulla salute ambientale tra tecnologie digitale e genomica / Mariachiara Tallacchini; Annibale Biggeri. - In: EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE. - ISSN 1120-9763. - STAMPA. - 38:(2014), pp. 292-301.
La vigilanza dei cittadini sulla salute ambientale tra tecnologie digitale e genomica
BIGGERI, ANNIBALE
2014
Abstract
Nell’ultimo decennio tre diversi fenomeni si sono trovati a convergere: la diffusione di tecnologie digitali (ICT, Information and Communication Technologies) – dai sensori alle piattaforme virtuali – per la raccolta e potenziale condivisione di dati personali e scientifici tra individui e comunità; le biobanche di ricerca che custodiscono campioni biologici umani e relative informazioni; e la collaborazione fra scienziati e cittadini nella creazione di conoscenza per finalità di policy – ciò che viene oggi definita pari produzione di conoscenza (peer-production of knowledge). Nuove conoscenze e forme di conoscenza, tecnologie ed expertise si sono mescolate in iniziative che combinano scienza, diritto e impegno sociale; in esse, esperti e cittadini utilizzano genomica e ICT come potenti mezzi per acquisire un controllo crescente sulla propria salute e sull’ambiente. E’ ormai inadeguato definire tali attività semplicemente come ricerca e sorveglianza epidemiologiche. Infatti, si tratta piuttosto di nuove forme di “vigilanza” pensata , promossa ed eseguita congiuntamente da scienziati e cittadini nell’esercizio dei loro diritti di cittadinanza scientifica. Il termine vigilanza, o veillance, è utilizzato qui per indicare un atteggiamento di consapevolezza cognitiva rivolta proattivamente alla protezione di beni comuni. Questo articolo presenta due case-study italiani in cui cittadini e scienziati, avvalendosi di ICT e/o di una biobanca, si sono uniti per proteggere la salute ambientale in siti altamente inquinati. Lo statuto di queste iniziative resta ancora largamente da definire, sia per quanto riguarda le modalità di produzione della citizen science a esse sottesa, sia in relazione alla scarsità di strumenti giuridici adeguati per strutturarle. Tali attività, per qualità scientifica e sofisticazione dei mezzi tecnologici, sono ben lontane da esperienze precedenti (per esempio, quelle di cosiddetta popular epidemiology). Per la consapevolezza critica rispetto alle esigenze di trasparenza, affidabilità e accessibilità dei dati, come pure alle modalità di finanziamento (spesso con meccanismi di crowdfunding), le esperienze di citizens’ veillance non si limitano a contestare il sapere di produzione istituzionale, ma si offrono, piuttosto, all’attenzione delle istituzioni come modello di produzione di conoscenza da adottare.I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.