La zampogna di Sannazaro non è più lo strumento di Tasso, che nell’Aminta fa risuonare «le rustiche sampogne» come «le più dotte cetre» ed apre la strada del palcoscenico all’«aurea cetra» di un Orfeo fiorentino vittorioso sulla morte. È questo il percorso che il presente volume intende delineare attraverso tre stazioni esemplari. In primo luogo la migrazione in area settentrionale di un’opera partenopea fondativa per il dramma pastorale, ma tanto dimenticata quanto saccheggiata: la Mirzia di Marc’Antonio Epicuro. Composto forse alle soglie della metà del secolo e circolante manoscritto, il testo giunge alle stampe sotto diverso titolo e autore, anzi attribuito ad un ‘padano’, solo nella Parma del 1582, quando già corre la fortuna dell’Aminta, che alla cultura napoletana molto deve, ma che eclissa il ricordo della precedente pastorale e della sua funzione di apripista al punto che si è giunti, nell’interpretazione di alcuni affreschi tardo cinquecenteschi, a vedere Aminta là dove era raffigurata Mirzia. Grazie alla poesia del Tasso e del successore Guarini, che del pari preleva dalla Mirzia un celebre episodio, la tematica silvestre giunge a permeare le esperienze di drammaturgia musicale della Firenze di fine secolo, alle quali sono dedicati il secondo e il terzo capitolo del volume: la perduta pastorale in musica di Cavalieri e Guidiccioni, La disperazione di Fileno (1590), della quale però si può ricostruire il cast tramite la sopravvivenza dei figurini di Alessandro Allori, e l’Euridice di Rinuccini, Peri e Caccini (1600). Si tratta di due modi diversi di agire la terza scena vitruviana, modi che si scontrano sul palcoscenico granducale porgendo al pubblico due tipologie di protagonista boschereccio: il pastore folle per amore, latore del comico, e il pastore eroico che, con il sostegno degli dei, sa fare della sua «aurea cetra» lo strumento della vittoria sull’Ade, acquistando così il titolo di semidio. L’Orfeo fiorentino, che si rivela infine la controfigura scenica della statua dell’Orfeo Medici, commissionata da Leone X a Baccio Bandinelli, simbolo di pacificazione e buon governo, rappresenta l’imporsi nel mondo delle selve di una tipologia eroica (e già Guarini ne aveva proposta una in chiave civile e cristiana col Pastor fido), che conduce al superamento del protagonista ‘flebile’ tassiano in nome di un’esemplare fortitudo ‘mirifica’ che crea un protagonista pastorale in cui anche un principe può degnamente riconoscersi.

Dalla zampogna all'aurea cetra. Egloghe, pastorali, favole in musica / Riccò, Laura. - STAMPA. - (2015), pp. 1-272.

Dalla zampogna all'aurea cetra. Egloghe, pastorali, favole in musica

RICCO', LAURA
2015

Abstract

La zampogna di Sannazaro non è più lo strumento di Tasso, che nell’Aminta fa risuonare «le rustiche sampogne» come «le più dotte cetre» ed apre la strada del palcoscenico all’«aurea cetra» di un Orfeo fiorentino vittorioso sulla morte. È questo il percorso che il presente volume intende delineare attraverso tre stazioni esemplari. In primo luogo la migrazione in area settentrionale di un’opera partenopea fondativa per il dramma pastorale, ma tanto dimenticata quanto saccheggiata: la Mirzia di Marc’Antonio Epicuro. Composto forse alle soglie della metà del secolo e circolante manoscritto, il testo giunge alle stampe sotto diverso titolo e autore, anzi attribuito ad un ‘padano’, solo nella Parma del 1582, quando già corre la fortuna dell’Aminta, che alla cultura napoletana molto deve, ma che eclissa il ricordo della precedente pastorale e della sua funzione di apripista al punto che si è giunti, nell’interpretazione di alcuni affreschi tardo cinquecenteschi, a vedere Aminta là dove era raffigurata Mirzia. Grazie alla poesia del Tasso e del successore Guarini, che del pari preleva dalla Mirzia un celebre episodio, la tematica silvestre giunge a permeare le esperienze di drammaturgia musicale della Firenze di fine secolo, alle quali sono dedicati il secondo e il terzo capitolo del volume: la perduta pastorale in musica di Cavalieri e Guidiccioni, La disperazione di Fileno (1590), della quale però si può ricostruire il cast tramite la sopravvivenza dei figurini di Alessandro Allori, e l’Euridice di Rinuccini, Peri e Caccini (1600). Si tratta di due modi diversi di agire la terza scena vitruviana, modi che si scontrano sul palcoscenico granducale porgendo al pubblico due tipologie di protagonista boschereccio: il pastore folle per amore, latore del comico, e il pastore eroico che, con il sostegno degli dei, sa fare della sua «aurea cetra» lo strumento della vittoria sull’Ade, acquistando così il titolo di semidio. L’Orfeo fiorentino, che si rivela infine la controfigura scenica della statua dell’Orfeo Medici, commissionata da Leone X a Baccio Bandinelli, simbolo di pacificazione e buon governo, rappresenta l’imporsi nel mondo delle selve di una tipologia eroica (e già Guarini ne aveva proposta una in chiave civile e cristiana col Pastor fido), che conduce al superamento del protagonista ‘flebile’ tassiano in nome di un’esemplare fortitudo ‘mirifica’ che crea un protagonista pastorale in cui anche un principe può degnamente riconoscersi.
2015
978-88-7870-973-7
1
272
Riccò, Laura
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Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/1001547
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