La «cattura dell’infinito», la ricerca di uno spazio come continuità e divenire attraverso il lento deformarsi della pietra, la sua lieve curvatura sotto un «lume» ormai accolto tra gli «importanti elementi dell’architettura» è uno dei temi fondamentali e unificanti dei grandi capolavori del Barocco romano. La luce, per Caravaggio strumento di evocazione di un frammento di storia umana immerso nella fisicità dell’esperienza quotidiana, diviene, nell’opera di Gian Lorenzo Bernini, il mezzo attraverso il quale contrapporre alla realtà dell’ambiente in cui si trova l’osservatore, uno spazio irreale, simile a quello pittorico ma ancora percorribile e verificabile nelle proprie misure e, in quella del suo ‘eterno rivale’ Francesco Borromini, il solo principio da cui derivare il «modellato delle membrature architettoniche» e il «disegno dell’ordine», in un totale sovvertimento delle regole classiche del comporre. Sotto lo stesso cielo romano, con un linguaggio dalla modernità differente, Giuseppe Terragni perseguirà un’analoga cattura dell’infinito attraverso il sublimarsi della materia nella luce. Il medesimo luogo artificiale, una strada che interrompe la continuità dei fori antichi, annullandone la storia e proponendosi essa stessa come percorso metafisico, accoglie due dei progetti più intensi nati dalla collaborazione con Pietro Lingeri: la Soluzione A per il Palazzo del Littorio, nel quale la «topografia leggendaria» della non distante Forma Urbis Romae si traduce in un arabesco di linee isostatiche, e il Danteum, in cui è palese il tentativo di racchiudere nella forma finita del rettangolo aureo, l’infinita geografia dell’universo dantesco, in un «delicato equilibrio tra la materialità del dire e l’essenza del non dicibile, tra l’esistere nel mondo e l’astrarsi da esso».

Tra pietra e luce, l’infinito / Pireddu, Alberto. - STAMPA. - (2014), pp. 55-59.

Tra pietra e luce, l’infinito

PIREDDU, ALBERTO
2014

Abstract

La «cattura dell’infinito», la ricerca di uno spazio come continuità e divenire attraverso il lento deformarsi della pietra, la sua lieve curvatura sotto un «lume» ormai accolto tra gli «importanti elementi dell’architettura» è uno dei temi fondamentali e unificanti dei grandi capolavori del Barocco romano. La luce, per Caravaggio strumento di evocazione di un frammento di storia umana immerso nella fisicità dell’esperienza quotidiana, diviene, nell’opera di Gian Lorenzo Bernini, il mezzo attraverso il quale contrapporre alla realtà dell’ambiente in cui si trova l’osservatore, uno spazio irreale, simile a quello pittorico ma ancora percorribile e verificabile nelle proprie misure e, in quella del suo ‘eterno rivale’ Francesco Borromini, il solo principio da cui derivare il «modellato delle membrature architettoniche» e il «disegno dell’ordine», in un totale sovvertimento delle regole classiche del comporre. Sotto lo stesso cielo romano, con un linguaggio dalla modernità differente, Giuseppe Terragni perseguirà un’analoga cattura dell’infinito attraverso il sublimarsi della materia nella luce. Il medesimo luogo artificiale, una strada che interrompe la continuità dei fori antichi, annullandone la storia e proponendosi essa stessa come percorso metafisico, accoglie due dei progetti più intensi nati dalla collaborazione con Pietro Lingeri: la Soluzione A per il Palazzo del Littorio, nel quale la «topografia leggendaria» della non distante Forma Urbis Romae si traduce in un arabesco di linee isostatiche, e il Danteum, in cui è palese il tentativo di racchiudere nella forma finita del rettangolo aureo, l’infinita geografia dell’universo dantesco, in un «delicato equilibrio tra la materialità del dire e l’essenza del non dicibile, tra l’esistere nel mondo e l’astrarsi da esso».
2014
D.E.A
AA. VV.
Le pietre trasportate. Carrara, l’artificio della natura
55
59
Pireddu, Alberto
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