Poeta, critico, traduttore di altissimo livello, Giovanni Raboni (1932-2004) è una delle voci più importanti del secondo Novecento italiano. Questa tesi è dedicata alla prima fase del suo lungo percorso poetico e critico. Il punto di partenza sono i suoi primi tentativi poetici, risalenti all’inizio degli anni ’50; quello di arrivo il suo esordio ufficiale come poeta in una delle sedi più prestigiose dell’epoca, la collana dello Specchio della casa editrice Mondadori, in cui, nella primavera del ’66, Raboni pubblica «Le case della Vetra», una raccolta dal titolo manzoniano e milanese, che non pochi critici considerano, ancora oggi, il suo libro più bello. Tredici anni prima, nel 1953, un Raboni poco più che ventenne aveva partecipato a un concorso per giovani scrittori indetto a Roma (presidente di giuria era Giuseppe Ungaretti) e si era aggiudicato il primo premio con un corposo dattiloscritto intitolato «Gesta Romanorum» in omaggio a una delle sue letture predilette, il «Doctor Faustus» di Thomas Mann. Quest’opera giovanile, in parte rimasta inedita, rappresenta la prima testimonianza pubblica di una tenace vocazione alla poesia. Tra il 1953 di «Gesta Romanorum» e il 1966 delle «Case della Vetra», si dipana una vicenda delicata e, per molti versi, avvincente: la tenace ricerca della propria voce portata avanti da un giovane poeta con singolare precocità, limpida perseveranza e una mite, ma al tempo stesso fermissima, chiarezza d’intenti. Raboni compie il suo esordio poetico in anni difficili ma straordinariamente fecondi per la poesia italiana, in un periodo di profonde, e talvolta traumatiche, mutazioni sociali ed economiche. «Le case della Vetra» nascono da un confronto coraggioso con le urgenze del proprio tempo, da una lunga e meticolosa ricerca stilistica e formale, da un dialogo appassionato con quella che Raboni ha sempre amato definire la “poesia in carne e ossa”, la “poesia che si fa”. Il presente lavoro di ricerca, che ha potuto giovarsi di preziosi materiali d’archivio in gran parte inediti, muove dal proposito di illuminare l’intreccio, davvero esemplare nel caso di Raboni, tra la critica e la poesia, particolarmente fecondo nei suoi primi anni di attività saggistica e pubblicistica. Nel corso del lavoro, partito dall’idea di una sorta di dualismo tra il “Raboni critico” e il “Raboni poeta”, una terza figura si è affiancata in modo sempre più evidente alle precedenti: quella del “Raboni lettore”, appartenente a quella straordinaria categoria rappresentata dai poeti lettori di poesia. La tesi è diventata così, in gran parte, una storia di lettori e di letture: non solo la storia di Raboni, lettore infaticabile alle prese ora con il modello decisivo degli anglosassoni Eliot e Pound, ora con l’eredità dei grandi “lombardi” (Porta, Parini, Manzoni), ora con ammirati compagni di strada quali Sereni, Giudici, Cattafi ecc.; ma anche la storia di alcuni straordinari lettori di Raboni, tra cui spetta un ruolo di primo piano a Carlo Betocchi, guida paterna, affettuosa e chiarificatrice, cui Raboni dovette i primi, decisivi incoraggiamenti. E, ancora, la tesi mostra un Raboni che, a più riprese, si rilegge e ripensa la propria storia: una storia di incontri rassicuranti con compagni di cammino ma anche di confronti, spesso ancor più fecondi, con percorsi distanti ed estranei. Se certamente, come ha scritto Pier Vincenzo Mengaldo, Raboni va considerato a tutti gli effetti un “critico-critico”, più di una volta, nel caotico magma degli anni ’50 e ’60, la penna del critico, o meglio del “lettore di poesia”, sembra, se non guidare, almeno sorreggere, con la sua mite e severa fermezza, la mano libera e autonoma del poeta.

Giovanni Raboni poeta e lettore di poesia (1953-1966) / Chella, Anna. - (2016).

Giovanni Raboni poeta e lettore di poesia (1953-1966)

CHELLA, ANNA
2016

Abstract

Poeta, critico, traduttore di altissimo livello, Giovanni Raboni (1932-2004) è una delle voci più importanti del secondo Novecento italiano. Questa tesi è dedicata alla prima fase del suo lungo percorso poetico e critico. Il punto di partenza sono i suoi primi tentativi poetici, risalenti all’inizio degli anni ’50; quello di arrivo il suo esordio ufficiale come poeta in una delle sedi più prestigiose dell’epoca, la collana dello Specchio della casa editrice Mondadori, in cui, nella primavera del ’66, Raboni pubblica «Le case della Vetra», una raccolta dal titolo manzoniano e milanese, che non pochi critici considerano, ancora oggi, il suo libro più bello. Tredici anni prima, nel 1953, un Raboni poco più che ventenne aveva partecipato a un concorso per giovani scrittori indetto a Roma (presidente di giuria era Giuseppe Ungaretti) e si era aggiudicato il primo premio con un corposo dattiloscritto intitolato «Gesta Romanorum» in omaggio a una delle sue letture predilette, il «Doctor Faustus» di Thomas Mann. Quest’opera giovanile, in parte rimasta inedita, rappresenta la prima testimonianza pubblica di una tenace vocazione alla poesia. Tra il 1953 di «Gesta Romanorum» e il 1966 delle «Case della Vetra», si dipana una vicenda delicata e, per molti versi, avvincente: la tenace ricerca della propria voce portata avanti da un giovane poeta con singolare precocità, limpida perseveranza e una mite, ma al tempo stesso fermissima, chiarezza d’intenti. Raboni compie il suo esordio poetico in anni difficili ma straordinariamente fecondi per la poesia italiana, in un periodo di profonde, e talvolta traumatiche, mutazioni sociali ed economiche. «Le case della Vetra» nascono da un confronto coraggioso con le urgenze del proprio tempo, da una lunga e meticolosa ricerca stilistica e formale, da un dialogo appassionato con quella che Raboni ha sempre amato definire la “poesia in carne e ossa”, la “poesia che si fa”. Il presente lavoro di ricerca, che ha potuto giovarsi di preziosi materiali d’archivio in gran parte inediti, muove dal proposito di illuminare l’intreccio, davvero esemplare nel caso di Raboni, tra la critica e la poesia, particolarmente fecondo nei suoi primi anni di attività saggistica e pubblicistica. Nel corso del lavoro, partito dall’idea di una sorta di dualismo tra il “Raboni critico” e il “Raboni poeta”, una terza figura si è affiancata in modo sempre più evidente alle precedenti: quella del “Raboni lettore”, appartenente a quella straordinaria categoria rappresentata dai poeti lettori di poesia. La tesi è diventata così, in gran parte, una storia di lettori e di letture: non solo la storia di Raboni, lettore infaticabile alle prese ora con il modello decisivo degli anglosassoni Eliot e Pound, ora con l’eredità dei grandi “lombardi” (Porta, Parini, Manzoni), ora con ammirati compagni di strada quali Sereni, Giudici, Cattafi ecc.; ma anche la storia di alcuni straordinari lettori di Raboni, tra cui spetta un ruolo di primo piano a Carlo Betocchi, guida paterna, affettuosa e chiarificatrice, cui Raboni dovette i primi, decisivi incoraggiamenti. E, ancora, la tesi mostra un Raboni che, a più riprese, si rilegge e ripensa la propria storia: una storia di incontri rassicuranti con compagni di cammino ma anche di confronti, spesso ancor più fecondi, con percorsi distanti ed estranei. Se certamente, come ha scritto Pier Vincenzo Mengaldo, Raboni va considerato a tutti gli effetti un “critico-critico”, più di una volta, nel caotico magma degli anni ’50 e ’60, la penna del critico, o meglio del “lettore di poesia”, sembra, se non guidare, almeno sorreggere, con la sua mite e severa fermezza, la mano libera e autonoma del poeta.
2016
Adele Dei
ITALIA
Chella, Anna
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Open Access dal 14/07/2019

Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/1044302
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