La villa di Lappeggi ha rappresentato fino ad oggi un caso storiografico di scarsa fortuna nel panorama delle ville medicee. Sicuramente più nota per il fasto e gli splendori della stagione Sei-Settecentesca – anni in cui avviene una ristrutturazione profonda dell‟edificio e la contemporanea realizzazione dell‟antistante giardino barocco – rimane, invece, completamente sprovvista di un‟adeguata indagine critica nella fase cinquecentesca, corrispondente alla nascita vera e propria della villa medicea su progetto di Bernardo Buontalenti. Uno degli obiettivi principali di questa ricerca è quello di rimediare al „vuoto‟ storiografico creatosi intorno alla villa buontalentiana partendo proprio dal dato archivistico attributivo, che da un lato sicuramente certifica la paternità dell‟opera, mentre dall‟altro pone il problema di una non trascurabile ambiguità relativamente al ruolo svolto dall‟architetto e alla sua effettiva partecipazione nella realizzazione dell‟opera. Si tratta di una tematica ricorrente nella carriera architettonica di Buontalenti, più volte caratterizzata da una insistente reticenza delle fonti documentarie a proposito dell‟attribuzione delle opere e del rapporto con le dinamiche di cantiere. Da questa ambiguità di fondo prende il via l‟altro filone della ricerca che si sposta dal caso specifico di Lappeggi verso il più ampio problema storiografico di Buontalenti come architetto di ville, attraverso un tracciato che parte da una riconfigurazione del tradizionale catalogo alla luce degli studi più recenti, fino ad arrivare a una conclusiva rilettura critica del „fenomeno‟ delle ville buontalentiane. Lo scopo è quello di riportare l‟attenzione sull‟aspetto autoriale delle opere, da una parte viziato dall‟eccesso di „buontalentismo‟ dei primi decenni del secolo scorso basato principalmente sulle fonti dirette di Silvani e Baldinucci; dall‟altra, invece, troppo contratto e indebolito in tempi più recenti dagli studi di taglio sociologico più inclini a rivalutare la figura del committente, e quelle dei capomaestri ed esecutori presenti in cantiere. Qui si è cercato di ripensare il problema del ruolo e del peso dell‟autore sulla base di criteri più allargati che si sottraessero alle notizie offerte dal genere biografico (incline a concentrare le opere intorno ai grandi nomi), e nello stesso tempo superassero l‟ „ostacolo‟ dei registri contabili a cui spesso sfugge la figura del progettista a causa del carattere non sempre quantificabile della sua prestazione. Ci si è rivolti quindi all‟orizzonte culturale del Cinquecento e alla posizione nuova conquistata dall‟architetto (e dall‟artista più in generale) al seguito di una collocazione delle arti sui piani „elevati‟ dell‟intelletto e di una conseguente rivalutazione dell‟Idea nella produzione artistica, la quale attraverso lo strumento del disegno porta in primo piano l‟importanza della dimensione soggettiva. Buontalenti risponde bene a questo nuovo profilo dell‟architetto: sono note le sue abilità di disegnatore e il carattere ingegnoso che attraversa le invenzioni architettoniche, i progetti per gli apparati effimeri e le visionarie scenografie degli spettacoli teatrali; vive però nello stesso tempo l‟oscillazione continua verso l‟altro polo della sua carriera rappresentata dal ruolo di „ingegnere dei fiumi‟. Ma proprio in questa polarità prende vita una nuova figura di „architetto di corte‟, da un lato inserito a pieno titolo nella dinamica funzionarile dell‟apparato statale, dall‟altro perfettamente capace di conquistarsi una sua autonomia operativa, finalmente sganciata dalla dimensione pratica del cantiere ma non per questo incapace di provvedere a problematiche di tipo esecutivo. Infatti su questo ultimo aspetto si innesta l‟indagine sulle responsabilità e partecipazione di Buontalenti nel ciclo completo della realizzazione di un‟opera, dalla progettazione alla chiusura del cantiere. Emerge una figura complessa, non lineare, attenta alle numerose variabili che circondano ogni vicenda costruttiva e condizionano il livello di coinvolgimento personale del progettista. In questa chiave si sono ripensate anche le notizie documentarie, in base alla qualità degli ennunciati piuttosto che alla loro frequenza e ricchezza di informazioni. Così, là dove vengono richiesti dettagli decorativi o risoluzione di problemi strutturali durante lo svolgimento di un cantiere, sarà indiscutibile la partecipazione dell‟architetto all‟intero ciclo di realizzazione dell‟opera; come pure là dove viene segnalata la presenza di un modello ligneo (come nel caso di Lappeggi) sostenuta da un forte impegno economico del committente, non ci saranno dubbi sulla progettazione dettagliata e supervisione continua dell‟opera da parte di Bernardo. A conclusione di tutte queste indagini la villa di Lappeggi abbandona finalmente la sua posizione di secondo piano e acquista uno spessore più appropriato che la vede configurarsi come „punto di svolta‟ nella produzione buontalentiana di ville a cavallo tra l‟esempio paradigmatico di Pratolino e la sintesi finale raggiunta con Artimino, e come testimone di tematiche compositive cariche dell‟eco di Poggio a Caiano, modello indiscusso e matrice inesauribile di sempre nuove soluzioni architettoniche.

Lappeggi:rilettura di una sfortunata villa buontalentiana / Guza, Kamela. - (2017).

Lappeggi:rilettura di una sfortunata villa buontalentiana

GUZA, KAMELA
2017

Abstract

La villa di Lappeggi ha rappresentato fino ad oggi un caso storiografico di scarsa fortuna nel panorama delle ville medicee. Sicuramente più nota per il fasto e gli splendori della stagione Sei-Settecentesca – anni in cui avviene una ristrutturazione profonda dell‟edificio e la contemporanea realizzazione dell‟antistante giardino barocco – rimane, invece, completamente sprovvista di un‟adeguata indagine critica nella fase cinquecentesca, corrispondente alla nascita vera e propria della villa medicea su progetto di Bernardo Buontalenti. Uno degli obiettivi principali di questa ricerca è quello di rimediare al „vuoto‟ storiografico creatosi intorno alla villa buontalentiana partendo proprio dal dato archivistico attributivo, che da un lato sicuramente certifica la paternità dell‟opera, mentre dall‟altro pone il problema di una non trascurabile ambiguità relativamente al ruolo svolto dall‟architetto e alla sua effettiva partecipazione nella realizzazione dell‟opera. Si tratta di una tematica ricorrente nella carriera architettonica di Buontalenti, più volte caratterizzata da una insistente reticenza delle fonti documentarie a proposito dell‟attribuzione delle opere e del rapporto con le dinamiche di cantiere. Da questa ambiguità di fondo prende il via l‟altro filone della ricerca che si sposta dal caso specifico di Lappeggi verso il più ampio problema storiografico di Buontalenti come architetto di ville, attraverso un tracciato che parte da una riconfigurazione del tradizionale catalogo alla luce degli studi più recenti, fino ad arrivare a una conclusiva rilettura critica del „fenomeno‟ delle ville buontalentiane. Lo scopo è quello di riportare l‟attenzione sull‟aspetto autoriale delle opere, da una parte viziato dall‟eccesso di „buontalentismo‟ dei primi decenni del secolo scorso basato principalmente sulle fonti dirette di Silvani e Baldinucci; dall‟altra, invece, troppo contratto e indebolito in tempi più recenti dagli studi di taglio sociologico più inclini a rivalutare la figura del committente, e quelle dei capomaestri ed esecutori presenti in cantiere. Qui si è cercato di ripensare il problema del ruolo e del peso dell‟autore sulla base di criteri più allargati che si sottraessero alle notizie offerte dal genere biografico (incline a concentrare le opere intorno ai grandi nomi), e nello stesso tempo superassero l‟ „ostacolo‟ dei registri contabili a cui spesso sfugge la figura del progettista a causa del carattere non sempre quantificabile della sua prestazione. Ci si è rivolti quindi all‟orizzonte culturale del Cinquecento e alla posizione nuova conquistata dall‟architetto (e dall‟artista più in generale) al seguito di una collocazione delle arti sui piani „elevati‟ dell‟intelletto e di una conseguente rivalutazione dell‟Idea nella produzione artistica, la quale attraverso lo strumento del disegno porta in primo piano l‟importanza della dimensione soggettiva. Buontalenti risponde bene a questo nuovo profilo dell‟architetto: sono note le sue abilità di disegnatore e il carattere ingegnoso che attraversa le invenzioni architettoniche, i progetti per gli apparati effimeri e le visionarie scenografie degli spettacoli teatrali; vive però nello stesso tempo l‟oscillazione continua verso l‟altro polo della sua carriera rappresentata dal ruolo di „ingegnere dei fiumi‟. Ma proprio in questa polarità prende vita una nuova figura di „architetto di corte‟, da un lato inserito a pieno titolo nella dinamica funzionarile dell‟apparato statale, dall‟altro perfettamente capace di conquistarsi una sua autonomia operativa, finalmente sganciata dalla dimensione pratica del cantiere ma non per questo incapace di provvedere a problematiche di tipo esecutivo. Infatti su questo ultimo aspetto si innesta l‟indagine sulle responsabilità e partecipazione di Buontalenti nel ciclo completo della realizzazione di un‟opera, dalla progettazione alla chiusura del cantiere. Emerge una figura complessa, non lineare, attenta alle numerose variabili che circondano ogni vicenda costruttiva e condizionano il livello di coinvolgimento personale del progettista. In questa chiave si sono ripensate anche le notizie documentarie, in base alla qualità degli ennunciati piuttosto che alla loro frequenza e ricchezza di informazioni. Così, là dove vengono richiesti dettagli decorativi o risoluzione di problemi strutturali durante lo svolgimento di un cantiere, sarà indiscutibile la partecipazione dell‟architetto all‟intero ciclo di realizzazione dell‟opera; come pure là dove viene segnalata la presenza di un modello ligneo (come nel caso di Lappeggi) sostenuta da un forte impegno economico del committente, non ci saranno dubbi sulla progettazione dettagliata e supervisione continua dell‟opera da parte di Bernardo. A conclusione di tutte queste indagini la villa di Lappeggi abbandona finalmente la sua posizione di secondo piano e acquista uno spessore più appropriato che la vede configurarsi come „punto di svolta‟ nella produzione buontalentiana di ville a cavallo tra l‟esempio paradigmatico di Pratolino e la sintesi finale raggiunta con Artimino, e come testimone di tematiche compositive cariche dell‟eco di Poggio a Caiano, modello indiscusso e matrice inesauribile di sempre nuove soluzioni architettoniche.
2017
Alessandro Rinaldi
ALBANIA
Guza, Kamela
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Tipologia: Tesi di dottorato
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