Se per dirla con Ludwig Wittgenstein, “Su ciò, di cui non si può parlare, è bene tacere”, la domanda che Maria Giuseppina Grasso Cannizzo pare porsi in questo libro potrebbe essere la seguente: servono ancora le parole di fronte al già tutto detto dell’architettura? La risposta dell’Autore è chiara ed eloquente: cinquecento (?) fogli racchiusi in un raffinato cofanetto contenente le sue “loose ends” e una sola pagina scritta, se si escludono i contributi critici di alcuni autori tra i quali Raoul Buntschoten, Pippo Ciorra, Marco de Michelis, Rainer Köberl e Sara Marini (curatrice del volume) e le rispettive traduzioni in inglese. Un’unica pagina in cui la Grasso Cannizzo riassume il senso del proprio lavoro come architetto e descrive, con estrema sintesi, un processo compositivo in cui “misure, norme, appunti, desideri, richieste...” scivolano su fogli bianchi o già usati, si ordinano (temporaneamente) in cartelle e paiono definire limiti e obiettivi che è sempre possibile ri-discutere, anche quando “prende forma il progetto”. Sì, perché “fatti imprevisti” possono ancora richiedere “modifiche” e “verifiche” fino al momento della “verifica finale”: solo allora ai frammenti di carta è dato di ricomporsi in “nuovi fogli bianchi da utilizzare per dare forma ad un nuovo possibile progetto”. Seguono le immagini – le bellissime fotografie di Hélène Binet, Armin Linke e Giulia Bruno, i disegni, gli schemi e gli schizzi – di ventidue progetti, sui quali non è possibile aggiungere nulla al ricercato ‘silenzio’ della Grasso Cannizzo, lasciando che il lettore segua le indicazioni contenute nell’ultimo “foglio sparso” e si addentri in un percorso tanto affascinante quanto indefinito, cercando di penetrare il nucleo più privato del mondo poetico di un Autore che, rompendo ogni schema, pare invitarlo a oltrepassarne la soglia. È, però, inevitabile un rimando al romanzo capolavoro di James Joyce, l’Ulisse, nel quale diciotto episodi raccontano, in modo solo apparentemente casuale, la storia di una unica giornata di un gruppo di abitanti di Dublino e il protagonista costruisce, attraverso il viaggio, la propria identità, arricchendosi delle diversità con cui entra in contatto. Lo stream of consciousness (quel flusso di coscienza che abolisce i canoni della scrittura tradizionale) possiede, però, in questo caso, i lineamenta di un nuovo mondo solido e splendidamente costruito.

Recensione al libro di Maria Giuseppina Grasso Cannizzo “Loose Ends” / Alberto, Pireddu. - In: FIRENZE ARCHITETTURA. - ISSN 1826-0772. - STAMPA. - (2016), pp. 165-165.

Recensione al libro di Maria Giuseppina Grasso Cannizzo “Loose Ends”

PIREDDU, ALBERTO
2016

Abstract

Se per dirla con Ludwig Wittgenstein, “Su ciò, di cui non si può parlare, è bene tacere”, la domanda che Maria Giuseppina Grasso Cannizzo pare porsi in questo libro potrebbe essere la seguente: servono ancora le parole di fronte al già tutto detto dell’architettura? La risposta dell’Autore è chiara ed eloquente: cinquecento (?) fogli racchiusi in un raffinato cofanetto contenente le sue “loose ends” e una sola pagina scritta, se si escludono i contributi critici di alcuni autori tra i quali Raoul Buntschoten, Pippo Ciorra, Marco de Michelis, Rainer Köberl e Sara Marini (curatrice del volume) e le rispettive traduzioni in inglese. Un’unica pagina in cui la Grasso Cannizzo riassume il senso del proprio lavoro come architetto e descrive, con estrema sintesi, un processo compositivo in cui “misure, norme, appunti, desideri, richieste...” scivolano su fogli bianchi o già usati, si ordinano (temporaneamente) in cartelle e paiono definire limiti e obiettivi che è sempre possibile ri-discutere, anche quando “prende forma il progetto”. Sì, perché “fatti imprevisti” possono ancora richiedere “modifiche” e “verifiche” fino al momento della “verifica finale”: solo allora ai frammenti di carta è dato di ricomporsi in “nuovi fogli bianchi da utilizzare per dare forma ad un nuovo possibile progetto”. Seguono le immagini – le bellissime fotografie di Hélène Binet, Armin Linke e Giulia Bruno, i disegni, gli schemi e gli schizzi – di ventidue progetti, sui quali non è possibile aggiungere nulla al ricercato ‘silenzio’ della Grasso Cannizzo, lasciando che il lettore segua le indicazioni contenute nell’ultimo “foglio sparso” e si addentri in un percorso tanto affascinante quanto indefinito, cercando di penetrare il nucleo più privato del mondo poetico di un Autore che, rompendo ogni schema, pare invitarlo a oltrepassarne la soglia. È, però, inevitabile un rimando al romanzo capolavoro di James Joyce, l’Ulisse, nel quale diciotto episodi raccontano, in modo solo apparentemente casuale, la storia di una unica giornata di un gruppo di abitanti di Dublino e il protagonista costruisce, attraverso il viaggio, la propria identità, arricchendosi delle diversità con cui entra in contatto. Lo stream of consciousness (quel flusso di coscienza che abolisce i canoni della scrittura tradizionale) possiede, però, in questo caso, i lineamenta di un nuovo mondo solido e splendidamente costruito.
2016
Alberto, Pireddu
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