La presente tesi ha come oggetto privilegiato di studio la famiglia del Riccio, mercanti fiorentini a Roma e a Napoli, tra la metà del Cinquecento e i primi anni del Seicento. La ricchezza dell’Archivio Naldini del Riccio di Firenze ne ha permesso uno studio sistematico ed approfondito, basato, principalmente, su materiale documentario inedito. Le vicende dei del Riccio Baldi sono prese in esame dalla fine del Quattrocento, quando alcuni di loro si trasferirono a Firenze da Tavarnelle, fino alla metà del Seicento, quando, cioè, potrà dirsi compiuta la loro trasformazione da mercanti in cortigiani. L’interruzione della narrazione si spiegherà con il radicamento in città dei membri della famiglia, non con la sua estinzione, avvenuta nel 1772. Dopo un capitolo introduttivo, sarà illustrata la personalità di Luigi del Riccio, cruciale per la costruzione dell’identità dell’intero “clan”. Impiegato presso il banco romano degli Strozzi, agente del duca Cosimo nel 1540, egli fu anche e soprattutto amico di Michelangelo, che gli disegnò la sepoltura di suo nipote, “Cecchino” Bracci. Resosi conto dell’uso identitario e del prestigio dell’amicizia con l’artista e della fiera rivendicazione di repubblicanesimo che l’esposizione di una copia michelangiolesca rappresentava, egli commissionò a Nanni di Baccio Bigio una copia della Pietà vaticana per la cappella di famiglia in Santo Spirito. Alla morte di Luigi, suo fratello Antonio, completò la cappella fiorentina, tentando, al contempo, di vendere alcune colonne di porfido a Cosimo I, così da assicurarsene il favore. In questi anni, avvenne il passaggio da una posizione di ambiguità nei confronti del neonato ducato ad una sua più convinta e –soprattutto- necessaria accettazione. Emulando la famiglia Olivieri, con la quale erano imparentati, alcuni del Riccio, cugini di Luigi, erano presenti anche a Napoli nel secondo Cinquecento. Tra il sesto e il settimo decennio del secolo, infatti, la comunità fiorentina locale fondò una nuova chiesa “nazionale” anche grazie al contributo dei fratelli Guglielmo e Pierantonio di Giulio, che dotarono una propria cappella e acquisirono poi alcune case. La commissione al pittore senese Marco Pino per la pala d’altare della loro cappella napoletana mostrava chiaramente l’uso che s’intendeva fare dell’amicizia con Michelangelo. Fu probabilmente il rientro a Firenze di Guglielmo a riattivare il desiderio di manifestare la trascorsa amicizia. Dal 1568 in poi, le attenzioni di “visibilità” di Guglielmo si spostarono, quindi, su di una cappella fiorentina che sarebbe stata decorata nel 1579 con una copia del Cristo della Minerva, realizzata da Taddeo Landini. Il passaggio dal ‘500 al ‘600 segnò anche, almeno per alcuni del Riccio, quello da mercanti a patrizi. Se già Guglielmo aveva acquistato, nel 1575, un piccolo feudo nel vice-regno, solo il figlio Francesco sviluppò le nuove prerogative nobiliari, attraverso commissioni e acquisti artistici mirati. Suo cugino Luigi, d’altra parte, fu l’ultimo a risiedere con una certa continuità a Napoli. Qui, nel 1596, commissionò una lastra terragna a Giovanni Antonio Dosio, mentre, rientrato a Firenze, trasferì la casa familiare in un palazzo in via Tornabuoni. Alcuni dei suoi figli, Francesco Maria e Giulio, risiedettero poi a Roma e il primogenito fu anche impiegato presso la famiglia Barberini, un’esperienza determinante per le ultime commissioni prese in esame. In generale, però, già dal rientro a Firenze di Luigi, commissioni e acquisti artistici si erano fatti meno originali e ne era scaturita una certa omologazione al gusto del patriziato fiorentino. Nell’epilogo, si tratteggerà la storia della famiglia nella sua fase finale. Le due generazioni di del Riccio vissute tra Sei e Settecento riuscirono a raggiungere importanti riconoscimenti da parte dei Granduchi, tuttavia, quando nel 1772 morì Leonardo Maria, ultimo del suo ramo, la sua eredità passò ai Naldini, figli di sua sorella Caterina. Nell’Appendice A, infine, alcune tracce documentarie assicureranno, almeno dal tardo Seicento, la permanenza nella collezione del Riccio della “piccola Madonna Cowper” di Raffaello, oggi alla National Gallery of Art di Washington D.C.

Tra Firenze, Roma e Napoli: committenze artistiche e mediazioni culturali dei del Riccio dal '500 al '600 / Vincenzo Sorrentino. - (2018).

Tra Firenze, Roma e Napoli: committenze artistiche e mediazioni culturali dei del Riccio dal '500 al '600.

SORRENTINO, VINCENZO
2018

Abstract

La presente tesi ha come oggetto privilegiato di studio la famiglia del Riccio, mercanti fiorentini a Roma e a Napoli, tra la metà del Cinquecento e i primi anni del Seicento. La ricchezza dell’Archivio Naldini del Riccio di Firenze ne ha permesso uno studio sistematico ed approfondito, basato, principalmente, su materiale documentario inedito. Le vicende dei del Riccio Baldi sono prese in esame dalla fine del Quattrocento, quando alcuni di loro si trasferirono a Firenze da Tavarnelle, fino alla metà del Seicento, quando, cioè, potrà dirsi compiuta la loro trasformazione da mercanti in cortigiani. L’interruzione della narrazione si spiegherà con il radicamento in città dei membri della famiglia, non con la sua estinzione, avvenuta nel 1772. Dopo un capitolo introduttivo, sarà illustrata la personalità di Luigi del Riccio, cruciale per la costruzione dell’identità dell’intero “clan”. Impiegato presso il banco romano degli Strozzi, agente del duca Cosimo nel 1540, egli fu anche e soprattutto amico di Michelangelo, che gli disegnò la sepoltura di suo nipote, “Cecchino” Bracci. Resosi conto dell’uso identitario e del prestigio dell’amicizia con l’artista e della fiera rivendicazione di repubblicanesimo che l’esposizione di una copia michelangiolesca rappresentava, egli commissionò a Nanni di Baccio Bigio una copia della Pietà vaticana per la cappella di famiglia in Santo Spirito. Alla morte di Luigi, suo fratello Antonio, completò la cappella fiorentina, tentando, al contempo, di vendere alcune colonne di porfido a Cosimo I, così da assicurarsene il favore. In questi anni, avvenne il passaggio da una posizione di ambiguità nei confronti del neonato ducato ad una sua più convinta e –soprattutto- necessaria accettazione. Emulando la famiglia Olivieri, con la quale erano imparentati, alcuni del Riccio, cugini di Luigi, erano presenti anche a Napoli nel secondo Cinquecento. Tra il sesto e il settimo decennio del secolo, infatti, la comunità fiorentina locale fondò una nuova chiesa “nazionale” anche grazie al contributo dei fratelli Guglielmo e Pierantonio di Giulio, che dotarono una propria cappella e acquisirono poi alcune case. La commissione al pittore senese Marco Pino per la pala d’altare della loro cappella napoletana mostrava chiaramente l’uso che s’intendeva fare dell’amicizia con Michelangelo. Fu probabilmente il rientro a Firenze di Guglielmo a riattivare il desiderio di manifestare la trascorsa amicizia. Dal 1568 in poi, le attenzioni di “visibilità” di Guglielmo si spostarono, quindi, su di una cappella fiorentina che sarebbe stata decorata nel 1579 con una copia del Cristo della Minerva, realizzata da Taddeo Landini. Il passaggio dal ‘500 al ‘600 segnò anche, almeno per alcuni del Riccio, quello da mercanti a patrizi. Se già Guglielmo aveva acquistato, nel 1575, un piccolo feudo nel vice-regno, solo il figlio Francesco sviluppò le nuove prerogative nobiliari, attraverso commissioni e acquisti artistici mirati. Suo cugino Luigi, d’altra parte, fu l’ultimo a risiedere con una certa continuità a Napoli. Qui, nel 1596, commissionò una lastra terragna a Giovanni Antonio Dosio, mentre, rientrato a Firenze, trasferì la casa familiare in un palazzo in via Tornabuoni. Alcuni dei suoi figli, Francesco Maria e Giulio, risiedettero poi a Roma e il primogenito fu anche impiegato presso la famiglia Barberini, un’esperienza determinante per le ultime commissioni prese in esame. In generale, però, già dal rientro a Firenze di Luigi, commissioni e acquisti artistici si erano fatti meno originali e ne era scaturita una certa omologazione al gusto del patriziato fiorentino. Nell’epilogo, si tratteggerà la storia della famiglia nella sua fase finale. Le due generazioni di del Riccio vissute tra Sei e Settecento riuscirono a raggiungere importanti riconoscimenti da parte dei Granduchi, tuttavia, quando nel 1772 morì Leonardo Maria, ultimo del suo ramo, la sua eredità passò ai Naldini, figli di sua sorella Caterina. Nell’Appendice A, infine, alcune tracce documentarie assicureranno, almeno dal tardo Seicento, la permanenza nella collezione del Riccio della “piccola Madonna Cowper” di Raffaello, oggi alla National Gallery of Art di Washington D.C.
2018
Cinzia Maria Sicca
ITALIA
Vincenzo Sorrentino
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Tipologia: Tesi di dottorato
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