L’appello è un mezzo di impugnazione chiamato a svolgere una funzione di garanzia soggettiva in quanto si presta ad essere utilizzato per far valere tutti gli errores in procedendo e gli errores in judicando del primo giudice. Si tratta infatti di un mezzo di impugnazione a critica libera per il cui tramite la parte soccombente chiede al giudice ad quem di riesaminare e decidere nel merito in tutto o in parte l’accertamento di esistenza o non esistenza della situazione giuridica fatta valere di fronte al giudice a quo. Questa caratteristica riflette, se vogliamo, l’origine storica dell’istituto il quale rappresenta la sintesi di due diversi strumenti quali l’appello di diritto comune, gravame diretto a far valere la ingiustizia della precedente sentenza per motivi di merito, e la querela nullitatis (a sua volta frutto dell’evoluzione storica della più antica actio nullitatis sententiae divenuta soggetta ad un termine di decadenza) ovvero dello strumento deputato alla denuncia dei vizi di tipo formale. L’appello – dunque – è l’istituto chiamato a dare attuazione al principio del doppio grado di giurisdizione ovvero del principio secondo cui ciascuna controversia deve poter passare attraverso un duplice esame in fatto e in diritto di fronte a due distinti giudici. E’ noto l’acceso dibattito che nella dottrina italiana si è aperto in ordine alla vigenza o meno dello stesso. Al riguardo, occorre ricordare che la Carta costituzionale si è limitata a recepire il ricorso per Cassazione all’art. 111 lasciando impregiudicata la questione relativa al se prevedere come passaggio intermedio tra il giudizio di primo grado e il ricorso per Cassazione, un secondo grado di merito.Probabilmente, non si voleva incidere sulla disciplina positiva dell'appello con particolare riferimento ai limiti di ammissibilità per motivi di valore o per le materia attribuite ai giudici speciali. La mancata costituzionalizzazione del principio del doppio grado di giurisdizione ha trovato costante conferma nella dottrina, ma anche nella giurisprudenza costituzionale. Questa affermazione, non ha tuttavia evitato l’apertura di un certo dibattito circa la possibilità di ritenere che la necessità dell’appello non derivi dalla garanzia del diritto di difesa, solennemente enunciata dall’art. 24, comma secondo Cost. L’intervento più recente risale al d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con, che ha introdotto un pacchetto di misure per la crescita del Paese; in occasione della conversione con l. 7 agosto 2012, n. 134, il Governo, andando di contrario avviso alle sollecitazioni provenienti dall’avvocatura, dall’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, oltre da numerose e trasversali forze politiche ha convertito il precedente decreto integrando le già molto criticate previsioni. Con riferimento all’appello rileva l’art. 54 il quale ha riscritto il testo dell’art. 342 cod. proc. civ. ed ha novellato il libro secondo del codice di rito mediante l’introduzione degli artt. 348 bis e 348 ter che contemplano il c.d. filtro in appello. Precedentemente, con l. 183/2011, il legislatore aveva già modificato la disciplina della inibitoria in appello, dandole un giro di vite mediante la previsione di una sanzione pecuniaria da applicare a quanti abbiano proposto un’istanza di sospensione inammissibile o manifestamente infondata, con la precisazione che la stessa ordinanza non è impugnabile ed il giudice può immediatamente decidere il merito della lite. Due riforme a costo zero per il cui tramite il legislatore ha intesi risolvere la crisi del giudizio di appello, dando un bel taglio al principio del doppio grado di giurisdizione.Gli interventi del legislatore si muovvono tutti nella stessa direzione ovvero ridurre se non addirittura eliminare il sistema delle impugnazioni ed in particolare l’appello con iniziative che si muovono a livelli diversi; ma anche la giurisprudenza si è posta sulla medesima linea ricostruttiva: 1. in primo luogo, imponendo alle parti oneri e formalismi vieppiù severi; si vedano in particolare gli orientamenti giurisprudenziali maturati con riferimento all’art. 342 cod. proc. civ. che impongono all’appellante non solo l’indicazione precisa e si può dire chirurgica dei passaggi logici e giuridici della sentenza impugnata che si impugnano, ma adesso anche il cd. progetto di sentenza ovvero l’indicazione della diversa pronuncia in fatto e/o in diritto che si chiede al giudice dell’impugnazione con l’indicazione delle fonti di prova poste a fondamento della richiesta e con l’ulteriore onere di provare la fondatezza dei motivi di censura anche nel caso in cui questi riguardino elementi il cui onere probatorio, stante il disposto dell’art. 2697 cod. civ. grava sull’appellato. 2) In secondo luogo, attraverso un utilizzo spregiudicato del cd. filtro in appello di cui agli artt. 348 bis e 348 ter cod. proc. civ. che consente al giudice d’appello di liberarsi della controversia laddove ritenga che non abbia ragionevole probabilità di essere accolta, con l’ulteriore previsione che l’ordinanza dichiarativa della inammissibilità non è suscettibile di autonoma impugnazione, essendo invece ricorribile direttamente in cassazione la precedente sentenza di primo grado, ma con esclusione del motivo di ricorso di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. se il giudice d’appello ha confermato il giudizio di fatto svolto dal giudice di prime cure. 3) In terzo luogo attraverso la progressiva riduzione del cosiddetto novum in appello che pur continuando a configurarsi come gravame a funzione sostitutiva (salvo il filtro), non è più idoneo a consentire l’accertamento della verità materiale, configurandosi solo come rimedio agli errori del giudice e non anche delle parti La giurisprudenza offre una interpretazione piuttosto ondivaga dell'art. 345 cod. proc. civ.; infatti con particolare riferimento alla modifica della domanda da una parte con riferimento ai diritti autodeterminati consente che in appello possa essere introdotto un nuovo fatto costitutivo alternativamente concorrente a quello già dedotto in primo grado, dall’altra parte con riferimento alla riqualificazione giuridica della domanda si registra la tendenza ad ammetterla, ma a condizione che i fatti giuridicamente rilevanti siano stati tempestivamente allegati nel giudizio di primo grado. Con riferimento alle nuove eccezioni, che la norma ammette se rilevabili anche su d’ufficio, la giurisprudenza non è ancora riuscita a fare chiarezza in ordine al se la spendita di questo potere ammette la parte anche ad introdurre per la prima volta in appello il fatto giuridico che le è sotteso. Queste restrizioni non sono affatto convincenti. In primo luogo perché, come in più di un’occasione hanno ricordato le stesse sezioni unite, ogni volta che si attribuisce ad una parte un potere processuale, la superiore garanzia del diritto di azione e di difesa impone di ritenere che quel potere possa essere esercitato in modo pieno e che a tutte le altre parti debba essere consentito l’esercizio dei poteri consequenziali in punto di allegazione, controdeduzione e prova dei fatti. In secondo luogo perché il processo di appello – comunque - non è mai totalmente chiuso; basta ricordare, a tacer d’altro, che ogni volta che il giudice rileva una nullità del primo grado di giudizio deve disporre la rinnovazione di fronte a sé degli atti nulli (a meno che non si tratti di una delle ipotesi tassative in cui, a mente degli artt. 353 e 354 cod. proc. civ., deve disporre la rimessione delle parti di fronte al giudice di primo grado). Infine, il risultato finale non è affatto rassicurante; tutte le limitazioni che si fanno derivare dal preteso divieto di allegazione di nuovi fatti, impattano profondamente sulla struttura e sulla funzione dell’appello che si configura come rimedio agli errori del giudice di primo grado, ma non anche agli errori delle parti. Non è una conseguenza da poco perché se non si ammette la deduzione in giudizio del nuovo fatto che acquista rilevanza a seguito della modifica della domanda oppure che è sotteso alla nuova eccezione rilevabile d’ufficio, il rischio è che alla fine venga accertata una verità formale e il processo debba abdicare alla sua funzione di attribuire una tutela effettiva che l’art. 24, primo comma Cost. gli assegna. Il libro è stato presentato presso la Corte d'Appello di Firenze nell'ambito del convegno Questioni di rito tra appello e cassazione, organizzato dalla Formazione decentrata per il distretto di Firenze della Scuola Superiore della Magistratura, presieduto dalla dott.ssa Mrgherita Cassano, con la partecipazione dei consiglieri dott. Raffaele Frasca e Pasquale d'Ascola.

Dell'appello : art. 339-359 / BEATRICE GAMBINERI. - STAMPA. - (2018), pp. 1-837.

Dell'appello : art. 339-359

BEATRICE GAMBINERI
2018

Abstract

L’appello è un mezzo di impugnazione chiamato a svolgere una funzione di garanzia soggettiva in quanto si presta ad essere utilizzato per far valere tutti gli errores in procedendo e gli errores in judicando del primo giudice. Si tratta infatti di un mezzo di impugnazione a critica libera per il cui tramite la parte soccombente chiede al giudice ad quem di riesaminare e decidere nel merito in tutto o in parte l’accertamento di esistenza o non esistenza della situazione giuridica fatta valere di fronte al giudice a quo. Questa caratteristica riflette, se vogliamo, l’origine storica dell’istituto il quale rappresenta la sintesi di due diversi strumenti quali l’appello di diritto comune, gravame diretto a far valere la ingiustizia della precedente sentenza per motivi di merito, e la querela nullitatis (a sua volta frutto dell’evoluzione storica della più antica actio nullitatis sententiae divenuta soggetta ad un termine di decadenza) ovvero dello strumento deputato alla denuncia dei vizi di tipo formale. L’appello – dunque – è l’istituto chiamato a dare attuazione al principio del doppio grado di giurisdizione ovvero del principio secondo cui ciascuna controversia deve poter passare attraverso un duplice esame in fatto e in diritto di fronte a due distinti giudici. E’ noto l’acceso dibattito che nella dottrina italiana si è aperto in ordine alla vigenza o meno dello stesso. Al riguardo, occorre ricordare che la Carta costituzionale si è limitata a recepire il ricorso per Cassazione all’art. 111 lasciando impregiudicata la questione relativa al se prevedere come passaggio intermedio tra il giudizio di primo grado e il ricorso per Cassazione, un secondo grado di merito.Probabilmente, non si voleva incidere sulla disciplina positiva dell'appello con particolare riferimento ai limiti di ammissibilità per motivi di valore o per le materia attribuite ai giudici speciali. La mancata costituzionalizzazione del principio del doppio grado di giurisdizione ha trovato costante conferma nella dottrina, ma anche nella giurisprudenza costituzionale. Questa affermazione, non ha tuttavia evitato l’apertura di un certo dibattito circa la possibilità di ritenere che la necessità dell’appello non derivi dalla garanzia del diritto di difesa, solennemente enunciata dall’art. 24, comma secondo Cost. L’intervento più recente risale al d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con, che ha introdotto un pacchetto di misure per la crescita del Paese; in occasione della conversione con l. 7 agosto 2012, n. 134, il Governo, andando di contrario avviso alle sollecitazioni provenienti dall’avvocatura, dall’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, oltre da numerose e trasversali forze politiche ha convertito il precedente decreto integrando le già molto criticate previsioni. Con riferimento all’appello rileva l’art. 54 il quale ha riscritto il testo dell’art. 342 cod. proc. civ. ed ha novellato il libro secondo del codice di rito mediante l’introduzione degli artt. 348 bis e 348 ter che contemplano il c.d. filtro in appello. Precedentemente, con l. 183/2011, il legislatore aveva già modificato la disciplina della inibitoria in appello, dandole un giro di vite mediante la previsione di una sanzione pecuniaria da applicare a quanti abbiano proposto un’istanza di sospensione inammissibile o manifestamente infondata, con la precisazione che la stessa ordinanza non è impugnabile ed il giudice può immediatamente decidere il merito della lite. Due riforme a costo zero per il cui tramite il legislatore ha intesi risolvere la crisi del giudizio di appello, dando un bel taglio al principio del doppio grado di giurisdizione.Gli interventi del legislatore si muovvono tutti nella stessa direzione ovvero ridurre se non addirittura eliminare il sistema delle impugnazioni ed in particolare l’appello con iniziative che si muovono a livelli diversi; ma anche la giurisprudenza si è posta sulla medesima linea ricostruttiva: 1. in primo luogo, imponendo alle parti oneri e formalismi vieppiù severi; si vedano in particolare gli orientamenti giurisprudenziali maturati con riferimento all’art. 342 cod. proc. civ. che impongono all’appellante non solo l’indicazione precisa e si può dire chirurgica dei passaggi logici e giuridici della sentenza impugnata che si impugnano, ma adesso anche il cd. progetto di sentenza ovvero l’indicazione della diversa pronuncia in fatto e/o in diritto che si chiede al giudice dell’impugnazione con l’indicazione delle fonti di prova poste a fondamento della richiesta e con l’ulteriore onere di provare la fondatezza dei motivi di censura anche nel caso in cui questi riguardino elementi il cui onere probatorio, stante il disposto dell’art. 2697 cod. civ. grava sull’appellato. 2) In secondo luogo, attraverso un utilizzo spregiudicato del cd. filtro in appello di cui agli artt. 348 bis e 348 ter cod. proc. civ. che consente al giudice d’appello di liberarsi della controversia laddove ritenga che non abbia ragionevole probabilità di essere accolta, con l’ulteriore previsione che l’ordinanza dichiarativa della inammissibilità non è suscettibile di autonoma impugnazione, essendo invece ricorribile direttamente in cassazione la precedente sentenza di primo grado, ma con esclusione del motivo di ricorso di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. se il giudice d’appello ha confermato il giudizio di fatto svolto dal giudice di prime cure. 3) In terzo luogo attraverso la progressiva riduzione del cosiddetto novum in appello che pur continuando a configurarsi come gravame a funzione sostitutiva (salvo il filtro), non è più idoneo a consentire l’accertamento della verità materiale, configurandosi solo come rimedio agli errori del giudice e non anche delle parti La giurisprudenza offre una interpretazione piuttosto ondivaga dell'art. 345 cod. proc. civ.; infatti con particolare riferimento alla modifica della domanda da una parte con riferimento ai diritti autodeterminati consente che in appello possa essere introdotto un nuovo fatto costitutivo alternativamente concorrente a quello già dedotto in primo grado, dall’altra parte con riferimento alla riqualificazione giuridica della domanda si registra la tendenza ad ammetterla, ma a condizione che i fatti giuridicamente rilevanti siano stati tempestivamente allegati nel giudizio di primo grado. Con riferimento alle nuove eccezioni, che la norma ammette se rilevabili anche su d’ufficio, la giurisprudenza non è ancora riuscita a fare chiarezza in ordine al se la spendita di questo potere ammette la parte anche ad introdurre per la prima volta in appello il fatto giuridico che le è sotteso. Queste restrizioni non sono affatto convincenti. In primo luogo perché, come in più di un’occasione hanno ricordato le stesse sezioni unite, ogni volta che si attribuisce ad una parte un potere processuale, la superiore garanzia del diritto di azione e di difesa impone di ritenere che quel potere possa essere esercitato in modo pieno e che a tutte le altre parti debba essere consentito l’esercizio dei poteri consequenziali in punto di allegazione, controdeduzione e prova dei fatti. In secondo luogo perché il processo di appello – comunque - non è mai totalmente chiuso; basta ricordare, a tacer d’altro, che ogni volta che il giudice rileva una nullità del primo grado di giudizio deve disporre la rinnovazione di fronte a sé degli atti nulli (a meno che non si tratti di una delle ipotesi tassative in cui, a mente degli artt. 353 e 354 cod. proc. civ., deve disporre la rimessione delle parti di fronte al giudice di primo grado). Infine, il risultato finale non è affatto rassicurante; tutte le limitazioni che si fanno derivare dal preteso divieto di allegazione di nuovi fatti, impattano profondamente sulla struttura e sulla funzione dell’appello che si configura come rimedio agli errori del giudice di primo grado, ma non anche agli errori delle parti. Non è una conseguenza da poco perché se non si ammette la deduzione in giudizio del nuovo fatto che acquista rilevanza a seguito della modifica della domanda oppure che è sotteso alla nuova eccezione rilevabile d’ufficio, il rischio è che alla fine venga accertata una verità formale e il processo debba abdicare alla sua funzione di attribuire una tutela effettiva che l’art. 24, primo comma Cost. gli assegna. Il libro è stato presentato presso la Corte d'Appello di Firenze nell'ambito del convegno Questioni di rito tra appello e cassazione, organizzato dalla Formazione decentrata per il distretto di Firenze della Scuola Superiore della Magistratura, presieduto dalla dott.ssa Mrgherita Cassano, con la partecipazione dei consiglieri dott. Raffaele Frasca e Pasquale d'Ascola.
2018
978-88-08-06905-4
1
837
BEATRICE GAMBINERI
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