Lo studio della partecipazione italiana all’Exposition Universelle et Internationale tenutasi a Bruxelles nel 1935 nasce dalla volontà e dall’esigenza di indagare un aspetto finora trascurato dalla critica, come dimostra il totale vuoto storiografico sull’argomento, ma invece assolutamente cruciale sotto il profilo politico e per i numerosi e molteplici risvolti artistici e architettonici La principale difficoltà nell’approccio a questo tema deriva, per la stessa natura effimera dell’evento, dall’assenza stessa dell’oggetto tangibile, ossia del manufatto architettonico e dei “reperti” artistici al suo interno; e, nel caso specifico dell’esposizione di Bruxelles, dalla labile condizione di molti degli archivi di artisti ed architetti italiani legati direttamente o indirettamente al fascismo, spesso mutilati nella parte relativa alla loro produzione del ventennio (volontariamente o successivamente alla loro scomparsa), ma molto stesso proprio perché la stessa “effimerità” di episodi come questo ha spinto ad una sopravvivenza documentaria selettiva, concentrata sui progetti e sui cantieri duraturi, e meno attenta alla conservazione di progetti, bozzetti e carteggi di una manifestazione temporanea. Per di più, l’oggettiva difficoltà nel reperimento delle fonti primarie (per la dispersione geografica e fisica delle stesse), letto come apparente assenza documentaria, e da una stampa dell’epoca spesso controversa e disattenta, ne ha pregiudicato uno studio completo sotto molteplici profili, relegando e derubricando l’episodio a una delle innumerevoli vicende epigoni della Mostra della Rivoluzione Fascista del 1932. Ma è proprio nella precarietà e nella temporaneità delle esposizioni che risiede il “coraggio architettonico”, parafrasando le parole di Giuseppe Pagano, inversamente proporzionale alla permanenza degli edifici.Partendo dunque dall’analisi del lungo e complicato elenco dei partecipanti nella sezione italiana, divisi per gruppi e classi secondo le indicazioni dettate dal Commissariato Generale belga (e comunitariamente dal Bureau International des Expositions), si è proceduto all’identificazione intanto della paternità, non scontata, delle quindici strutture ai rispettivi architetti, attribuendo ad ogni “involucro” architettonico la sua corrispondente mise en scène e gettando nuova luce sulle numerose personalità e gli artisti che vi hanno contribuito, sui quali era calato un silenzio assordante. Lo studio, la comparazione e l’integrazione delle fonti nazionali e internazionali (rassegna stampa dell’epoca, italiana e belga, pubblicazioni, spoglio degli archivi, pubblici e privati, e soprattutto dei preziosissimi fondi fotografici), hanno permesso, se non nella totalità, ma almeno nella maggior parte dei casi, di intraprendere e completare lo studio dei padiglioni nella loro interezza (interna ed esterna), rivelando la poetica intrinseca dei progettisti e degli artisti che hanno collaborato agli allestimenti. L’oblio nel quale era caduto questo evento, pur in un momento storicamente cruciale per l’Italia e, più in generale, per l’integrità dell’equilibrio europeo, è, per via di queste difficoltà oggettive, giustificabile e ben evidente nelle pochissime pubblicazioni dedicate al tema, concentrate solo sugli aspetti già noti ed epidermici: dalla tesi di laurea redatta negli anni Novanta da Nathalie Malali1, che ricostruisce la partecipazione italiana all’esposizione belga da un punto di vista storico, attraverso le sole riviste pubblicate in Belgio e trascurando, sorprendentemente, lo studio degli archivi e delle fonti italiane; fino al contributo di Efisio Pitzalis, limitato ad una parziale analisi del solo padiglione Littorio, e quello succinto di Milva Giacomelli la quale, pur avendo il pregio di gettare luce sull’evento generale e riconoscendo l’importanza dell’estesa sezione italiana, non approfondisce storiograficamente e criticamente tutte le molteplici suggestioni offerte dalla “cittadella italica” realizzata a Bruxelles. In effetti, e questa è la prima novità essenziale che l’Esposizione porta con sé, oltre alle impercettibili ma significative modificazioni intervenute in seguito alla ratifica della Convenzione del Bureau International des Expositions, che ha trasformato la facies dell’evento, l’Italia si presenta al grande pubblico internazionale non con un solo, tradizionale padiglione nazionale, come era avvenuto nelle precedenti e come avverrà nelle future esposizioni4, ma con una serie di tredici padiglioni di considerevoli dimensioni (più altre due strutture non “abitabili”), tutti con una precisa e riconoscibile connotazione, tutti chiaramente autonomi ma allo stesso tempo legati da alcuni macrotemi rintracciabili in molte delle strutture sorte, quasi fortuitamente, nel suolo belga destinato all’Italia. Da queste ragioni, corroborate dall’attenta lettura comparata e integrativa degli archivi e delle fonti di prima e seconda mano (compresi i preziosissimi e inediti documenti fotografici), si è ritenuto necessario ricostruire una storia finora sconosciuta, o conosciuta solo molto parzialmente, che rivela una realtà molto più complessa di quella finora sommariamente indicata. L’estrema difficoltà nel recupero e nell’integrazione delle fonti ha portato alla scelta di una metodologia di stesura del lavoro che conservasse prima di tutto l’integrità, l’autonomia e gli aspetti essenziali di ogni padiglione della sezione italiana, descritto filologicamente, quasi didascalicamente e con dovizia di particolari nella parte architettonica, ma soprattutto nelle decorazioni interne, aspetto invece completamente negletto e trascurato dalle fonti succitate, e qui trattate per la prima volta nella loro integrità, anche attraverso un’interpretazione accurata dei quotidiani italiani e belgi. A quest’analisi di tipo più spiccatamente descrittivo si è naturalmente accompagnato un lavoro critico, operato attraverso la lettura e l’interpretazione delle fonti sul medium espositivo operato dal fascismo come modello rappresentativo privilegiato, in un più ampio contesto di estetizzazione della politica di massa e del ruolo ontologico dello spettatore.

La sezione italiana all'Exposition Universelle et Internationale de Bruxelles 1935. Ricostruzione di un'identità frammentaria tra arte, architettura e propaganda / Serena Pacchiani. - (2019).

La sezione italiana all'Exposition Universelle et Internationale de Bruxelles 1935. Ricostruzione di un'identità frammentaria tra arte, architettura e propaganda.

Serena Pacchiani
2019

Abstract

Lo studio della partecipazione italiana all’Exposition Universelle et Internationale tenutasi a Bruxelles nel 1935 nasce dalla volontà e dall’esigenza di indagare un aspetto finora trascurato dalla critica, come dimostra il totale vuoto storiografico sull’argomento, ma invece assolutamente cruciale sotto il profilo politico e per i numerosi e molteplici risvolti artistici e architettonici La principale difficoltà nell’approccio a questo tema deriva, per la stessa natura effimera dell’evento, dall’assenza stessa dell’oggetto tangibile, ossia del manufatto architettonico e dei “reperti” artistici al suo interno; e, nel caso specifico dell’esposizione di Bruxelles, dalla labile condizione di molti degli archivi di artisti ed architetti italiani legati direttamente o indirettamente al fascismo, spesso mutilati nella parte relativa alla loro produzione del ventennio (volontariamente o successivamente alla loro scomparsa), ma molto stesso proprio perché la stessa “effimerità” di episodi come questo ha spinto ad una sopravvivenza documentaria selettiva, concentrata sui progetti e sui cantieri duraturi, e meno attenta alla conservazione di progetti, bozzetti e carteggi di una manifestazione temporanea. Per di più, l’oggettiva difficoltà nel reperimento delle fonti primarie (per la dispersione geografica e fisica delle stesse), letto come apparente assenza documentaria, e da una stampa dell’epoca spesso controversa e disattenta, ne ha pregiudicato uno studio completo sotto molteplici profili, relegando e derubricando l’episodio a una delle innumerevoli vicende epigoni della Mostra della Rivoluzione Fascista del 1932. Ma è proprio nella precarietà e nella temporaneità delle esposizioni che risiede il “coraggio architettonico”, parafrasando le parole di Giuseppe Pagano, inversamente proporzionale alla permanenza degli edifici.Partendo dunque dall’analisi del lungo e complicato elenco dei partecipanti nella sezione italiana, divisi per gruppi e classi secondo le indicazioni dettate dal Commissariato Generale belga (e comunitariamente dal Bureau International des Expositions), si è proceduto all’identificazione intanto della paternità, non scontata, delle quindici strutture ai rispettivi architetti, attribuendo ad ogni “involucro” architettonico la sua corrispondente mise en scène e gettando nuova luce sulle numerose personalità e gli artisti che vi hanno contribuito, sui quali era calato un silenzio assordante. Lo studio, la comparazione e l’integrazione delle fonti nazionali e internazionali (rassegna stampa dell’epoca, italiana e belga, pubblicazioni, spoglio degli archivi, pubblici e privati, e soprattutto dei preziosissimi fondi fotografici), hanno permesso, se non nella totalità, ma almeno nella maggior parte dei casi, di intraprendere e completare lo studio dei padiglioni nella loro interezza (interna ed esterna), rivelando la poetica intrinseca dei progettisti e degli artisti che hanno collaborato agli allestimenti. L’oblio nel quale era caduto questo evento, pur in un momento storicamente cruciale per l’Italia e, più in generale, per l’integrità dell’equilibrio europeo, è, per via di queste difficoltà oggettive, giustificabile e ben evidente nelle pochissime pubblicazioni dedicate al tema, concentrate solo sugli aspetti già noti ed epidermici: dalla tesi di laurea redatta negli anni Novanta da Nathalie Malali1, che ricostruisce la partecipazione italiana all’esposizione belga da un punto di vista storico, attraverso le sole riviste pubblicate in Belgio e trascurando, sorprendentemente, lo studio degli archivi e delle fonti italiane; fino al contributo di Efisio Pitzalis, limitato ad una parziale analisi del solo padiglione Littorio, e quello succinto di Milva Giacomelli la quale, pur avendo il pregio di gettare luce sull’evento generale e riconoscendo l’importanza dell’estesa sezione italiana, non approfondisce storiograficamente e criticamente tutte le molteplici suggestioni offerte dalla “cittadella italica” realizzata a Bruxelles. In effetti, e questa è la prima novità essenziale che l’Esposizione porta con sé, oltre alle impercettibili ma significative modificazioni intervenute in seguito alla ratifica della Convenzione del Bureau International des Expositions, che ha trasformato la facies dell’evento, l’Italia si presenta al grande pubblico internazionale non con un solo, tradizionale padiglione nazionale, come era avvenuto nelle precedenti e come avverrà nelle future esposizioni4, ma con una serie di tredici padiglioni di considerevoli dimensioni (più altre due strutture non “abitabili”), tutti con una precisa e riconoscibile connotazione, tutti chiaramente autonomi ma allo stesso tempo legati da alcuni macrotemi rintracciabili in molte delle strutture sorte, quasi fortuitamente, nel suolo belga destinato all’Italia. Da queste ragioni, corroborate dall’attenta lettura comparata e integrativa degli archivi e delle fonti di prima e seconda mano (compresi i preziosissimi e inediti documenti fotografici), si è ritenuto necessario ricostruire una storia finora sconosciuta, o conosciuta solo molto parzialmente, che rivela una realtà molto più complessa di quella finora sommariamente indicata. L’estrema difficoltà nel recupero e nell’integrazione delle fonti ha portato alla scelta di una metodologia di stesura del lavoro che conservasse prima di tutto l’integrità, l’autonomia e gli aspetti essenziali di ogni padiglione della sezione italiana, descritto filologicamente, quasi didascalicamente e con dovizia di particolari nella parte architettonica, ma soprattutto nelle decorazioni interne, aspetto invece completamente negletto e trascurato dalle fonti succitate, e qui trattate per la prima volta nella loro integrità, anche attraverso un’interpretazione accurata dei quotidiani italiani e belgi. A quest’analisi di tipo più spiccatamente descrittivo si è naturalmente accompagnato un lavoro critico, operato attraverso la lettura e l’interpretazione delle fonti sul medium espositivo operato dal fascismo come modello rappresentativo privilegiato, in un più ampio contesto di estetizzazione della politica di massa e del ruolo ontologico dello spettatore.
2019
Luca Quattrocchi
ITALIA
Serena Pacchiani
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