Il ’68 non è solo università e in Italia, più che in tutta Europa, si caratterizza per il protagonismo delle scuole secondarie, che forniscono alla contestazione basi di massa. Scioperi, occupazioni e proteste, dal nord al sud, dal centro alla periferia, travolgono senza distinzione licei, istituti tecnici, magistrali e professionali, ignorando gerarchie culturali e sociali di lunghissimo periodo. I contestatori appartengono alla prima generazione che ha frequentato la scuola media unica istituita nel 1962, sono i Gianni e i Pierino di Lettera a una professoressa. Hanno di fronte insegnanti, presidi e autorità le cui certezze, con il montare degli eventi, entrano irreversibilmente in crisi. Una documentazione straordinaria, conservata nei fondi del Ministero della pubblica istruzione all’Archivio centrale dello Stato, dà conto di un fenomeno che non ha eguali in Europa, per diffusione e intensità, una sorta di «guerra civile», che tende a prolungarsi per gran parte del decennio successivo, in cui riformismo e contestazione globale, diritto allo studio e rifiuto della scuola si intrecciano e si contraddicono. Alla lotta contro l’autoritarismo “politico”, di cui è espressione la richiesta di assemblea sul modello della democrazia diretta, si associa la lotta all’autoritarismo didattico, con la sperimentazione di contenuti e metodi nuovi insieme alla richiesta di uguali opportunità per chi esce dai licei e per chi invece dai tecnici e dai professionali. Ma si protesta anche per i disservizi strutturali, amplificati dalla crescita degli iscritti, o per gli sbocchi professionali che proprio allora cominciano a ridursi; e si partecipa a tutti gli scioperi, di qualsiasi natura essi siano, e a tutti i drammi del mondo, da Avola al Viet-nam, dal Messico alla Cecoslovacchia, alla Grecia, come se non esistesse più nessun tipo di barriera o confine; giungendo molto presto a mettere in discussione la scuola in quanto tale, perché espressione di una società classista e ingiusta. È difficile parlare di un centro e di una periferia, perché le proteste sono circolari e scoppiano simultaneamente; confermando così un tratto che è del ’68 in generale, primo evento di storia globale. L’estensione capillare delle proteste ci mostra un paese nel quale le fratture culturali, se si sono ridotte in senso orizzontale, tra coetanei, si sono approfondite in senso verticale, rispetto alle generazioni precedenti. Non solo l’aumento della scolarità, ma la stessa società dei consumi, le immigrazioni interne, le culture e controculture giovanili ormai transnazionali, la musica in particolare, hanno reso più porose le frontiere sociali, territoriali, culturali e sessuali tradizionali.I figli hanno migliorato il loro tenore di vita e sono mediamente più istruiti dei loro padri, ma le distan-ze si son fatte così profonde da impedire la possibilità stessa di un dialogo. È un problema comune a tutto il mondo occidentale,i cui effetti sono amplificati, nel nostro paese, dalla rapidità e dalla dirompenza dei cambiamenti. L’Italia ha introiettato i comportamenti di una società industriale avanzata, senza però eliminare miserie secolari, anzi accentuando gli squilibri di fondo. Nel corso dei due anni scolastici presi in esame, 1967-68 e 1968-69, le dinamiche del conflitto offrono un punto di vista originale, che consente di andare al di là del mito della contestazione studentesca – su cui pesa ancora molto la memoria dei protagonisti – come di uno scontro senza residui tra progresso e arretratezza, democrazia e autoritarismo, bene e male. Fronti meno compatti di quanto siamo abituati a credere, gli studenti da una parte, i professori, i presidi e le autorità dall’altra, vivono sulla loro pelle, con il ’68, la rottura irreversibile e traumatica della tradizione. il ’68 della scuola secondaria rappresenta anche un laboratorio politico di straordinaria importanza, che riguarda – ancor più del ’68 universitario – la generazione attiva nel decennio successivo.Certo, i giovani contestatori hanno un’idea della politica che, rompendo con quella ufficiale, mal sopporta qualsiasi desiderio di appropriazione. Il Pci in particolare che, a differenza dei partiti comunisti di altri paesi, vince la diffidenza nei confronti degli studenti, soffia sul fuoco della contestazione in funzione antigovernativa, illudendosi di potervi esercitare un controllo; ma le derive definite “anarchiche” si fanno sempre più riottose. Il ’68 è non di meno uno straordinario laboratorio didattico, che segna una cesura irreversibile, che intercetta tante inquietudini presenti nell’aria e gli dà voce, avviando un processo non guidato dall’alto, che disegna nella scuola una geografia a macchia di leopardo, incidendo anche - a dispetto di tutti i luoghi comuni - sulla politica scolastica. A rendere esplosiva la situazione della scuola italiana sono proprio la sua frammentazione e la sua disomogeneità che mettono accanto, in una sorta di corto circuito, esperienze scolastiche e culturali diverse, quasi agli antipodi. Nel complesso la contestazione nella scuola secondaria offre un punto di vista originale, che consente di scattare una istantanea al paese sospeso tra passato e futuro, anticipando molti dei nodi del decennio successivo, non a caso definito lungo ’68.

"La scuola è il nostro Vietnam". Il '68 e l'istruzione secondaria italiana / Monica Galfré. - STAMPA. - (2019), pp. 1-222.

"La scuola è il nostro Vietnam". Il '68 e l'istruzione secondaria italiana

Monica Galfré
2019

Abstract

Il ’68 non è solo università e in Italia, più che in tutta Europa, si caratterizza per il protagonismo delle scuole secondarie, che forniscono alla contestazione basi di massa. Scioperi, occupazioni e proteste, dal nord al sud, dal centro alla periferia, travolgono senza distinzione licei, istituti tecnici, magistrali e professionali, ignorando gerarchie culturali e sociali di lunghissimo periodo. I contestatori appartengono alla prima generazione che ha frequentato la scuola media unica istituita nel 1962, sono i Gianni e i Pierino di Lettera a una professoressa. Hanno di fronte insegnanti, presidi e autorità le cui certezze, con il montare degli eventi, entrano irreversibilmente in crisi. Una documentazione straordinaria, conservata nei fondi del Ministero della pubblica istruzione all’Archivio centrale dello Stato, dà conto di un fenomeno che non ha eguali in Europa, per diffusione e intensità, una sorta di «guerra civile», che tende a prolungarsi per gran parte del decennio successivo, in cui riformismo e contestazione globale, diritto allo studio e rifiuto della scuola si intrecciano e si contraddicono. Alla lotta contro l’autoritarismo “politico”, di cui è espressione la richiesta di assemblea sul modello della democrazia diretta, si associa la lotta all’autoritarismo didattico, con la sperimentazione di contenuti e metodi nuovi insieme alla richiesta di uguali opportunità per chi esce dai licei e per chi invece dai tecnici e dai professionali. Ma si protesta anche per i disservizi strutturali, amplificati dalla crescita degli iscritti, o per gli sbocchi professionali che proprio allora cominciano a ridursi; e si partecipa a tutti gli scioperi, di qualsiasi natura essi siano, e a tutti i drammi del mondo, da Avola al Viet-nam, dal Messico alla Cecoslovacchia, alla Grecia, come se non esistesse più nessun tipo di barriera o confine; giungendo molto presto a mettere in discussione la scuola in quanto tale, perché espressione di una società classista e ingiusta. È difficile parlare di un centro e di una periferia, perché le proteste sono circolari e scoppiano simultaneamente; confermando così un tratto che è del ’68 in generale, primo evento di storia globale. L’estensione capillare delle proteste ci mostra un paese nel quale le fratture culturali, se si sono ridotte in senso orizzontale, tra coetanei, si sono approfondite in senso verticale, rispetto alle generazioni precedenti. Non solo l’aumento della scolarità, ma la stessa società dei consumi, le immigrazioni interne, le culture e controculture giovanili ormai transnazionali, la musica in particolare, hanno reso più porose le frontiere sociali, territoriali, culturali e sessuali tradizionali.I figli hanno migliorato il loro tenore di vita e sono mediamente più istruiti dei loro padri, ma le distan-ze si son fatte così profonde da impedire la possibilità stessa di un dialogo. È un problema comune a tutto il mondo occidentale,i cui effetti sono amplificati, nel nostro paese, dalla rapidità e dalla dirompenza dei cambiamenti. L’Italia ha introiettato i comportamenti di una società industriale avanzata, senza però eliminare miserie secolari, anzi accentuando gli squilibri di fondo. Nel corso dei due anni scolastici presi in esame, 1967-68 e 1968-69, le dinamiche del conflitto offrono un punto di vista originale, che consente di andare al di là del mito della contestazione studentesca – su cui pesa ancora molto la memoria dei protagonisti – come di uno scontro senza residui tra progresso e arretratezza, democrazia e autoritarismo, bene e male. Fronti meno compatti di quanto siamo abituati a credere, gli studenti da una parte, i professori, i presidi e le autorità dall’altra, vivono sulla loro pelle, con il ’68, la rottura irreversibile e traumatica della tradizione. il ’68 della scuola secondaria rappresenta anche un laboratorio politico di straordinaria importanza, che riguarda – ancor più del ’68 universitario – la generazione attiva nel decennio successivo.Certo, i giovani contestatori hanno un’idea della politica che, rompendo con quella ufficiale, mal sopporta qualsiasi desiderio di appropriazione. Il Pci in particolare che, a differenza dei partiti comunisti di altri paesi, vince la diffidenza nei confronti degli studenti, soffia sul fuoco della contestazione in funzione antigovernativa, illudendosi di potervi esercitare un controllo; ma le derive definite “anarchiche” si fanno sempre più riottose. Il ’68 è non di meno uno straordinario laboratorio didattico, che segna una cesura irreversibile, che intercetta tante inquietudini presenti nell’aria e gli dà voce, avviando un processo non guidato dall’alto, che disegna nella scuola una geografia a macchia di leopardo, incidendo anche - a dispetto di tutti i luoghi comuni - sulla politica scolastica. A rendere esplosiva la situazione della scuola italiana sono proprio la sua frammentazione e la sua disomogeneità che mettono accanto, in una sorta di corto circuito, esperienze scolastiche e culturali diverse, quasi agli antipodi. Nel complesso la contestazione nella scuola secondaria offre un punto di vista originale, che consente di scattare una istantanea al paese sospeso tra passato e futuro, anticipando molti dei nodi del decennio successivo, non a caso definito lungo ’68.
2019
9788833131191
1
222
Monica Galfré
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