«Che ci fanno queste figlie a ricamare a cucire?», si domandava Fabrizio de André in una celebre canzone del 1996, Disamistade, contenuta nell’album Anime salve, che è poi il suo testamento spirituale. In una surreale quanto impossibile conversazione con Maria Lai, la risposta dell’artista sarda al cantautore genovese, che proprio ripensando ai luoghi del suo Hotel Supramonte, scrisse quel testo, potrebbe essere la seguente: ricercano l’infinito. «Il filo e l’infinito» è il tema della mostra che le Gallerie degli Uffizi hanno dedicato a Maria Lai tra gli Angiolini dell’Andito di Palazzo Pitti, da marzo a giugno del 2018: una selezione di opere che dall’Oggetto-paesaggio del 1967, totemico e incompiuto telaio sospeso tra contemporaneità e tradizioni millenarie, spazia tra le Tele cucite, le Scritture, i Libri e le Geografie. Un filo, dunque, che, per citare Elena Pontiggia, curatrice della mostra, è insieme legame e relazione, «il segno e il simbolo di quella trama di rapporti esistenziali e intellettuali che danno significato alla vita». Cinque saggi scritti da altrettante donne (Anna Maria Montaldo, Renata Pintus, Chiara Manca e Maria Sofia Pisu, oltre naturalmente a Elena Pontiggia) accompagnano una accuratissima riproduzione delle opere esposte e ci introducono in un mondo, di ritmo e poesia, un universo di forme condiviso con gli amici di una vita: gli scrittori Salvatore Cambosu e Giuseppe Dessì, gli artisti Costantino Nivola e Mirella Bentivoglio, solo per citarne alcuni. La Sardegna è al centro, il mare è un azzurro ponte che è possibile interrogare (Dialogo del mare), il cielo una Geografia leonardesca. Le poche pagine a commento delle già eloquenti opere in mostra si chiudono con un profonda riflessione di Maria Sofia Pisu sul significato che Maria Lai era solita attribuire all’arte: indagine e dialogo «estendibile incondizionatamente alla gente e ai luoghi del nostro vivere sociale, agli spazi della quotidianità, degli eventi, della condivisione ». Scopriamo, grazie alle parole della Pisu, alcuni aspetti più privati della vita della Lai, il suo impegno di insegnante nelle scuole, l’umanità dei suoi racconti e il divertimento dei suoi giochi, il suo rapporto con l’Assoluto, di cui i Presepi e le Madonne, «le stesse che nei disegni e nelle chine setacciavano la farina o lavavano i panni al fiume», sono la più lirica rappresentazione.
Recensione al libro "Maria Lai. Il filo e l’infinito" / Alberto Pireddu. - In: FIRENZE ARCHITETTURA. - ISSN 1826-0772. - STAMPA. - (2018), pp. 143-143.
Recensione al libro "Maria Lai. Il filo e l’infinito"
Alberto Pireddu
2018
Abstract
«Che ci fanno queste figlie a ricamare a cucire?», si domandava Fabrizio de André in una celebre canzone del 1996, Disamistade, contenuta nell’album Anime salve, che è poi il suo testamento spirituale. In una surreale quanto impossibile conversazione con Maria Lai, la risposta dell’artista sarda al cantautore genovese, che proprio ripensando ai luoghi del suo Hotel Supramonte, scrisse quel testo, potrebbe essere la seguente: ricercano l’infinito. «Il filo e l’infinito» è il tema della mostra che le Gallerie degli Uffizi hanno dedicato a Maria Lai tra gli Angiolini dell’Andito di Palazzo Pitti, da marzo a giugno del 2018: una selezione di opere che dall’Oggetto-paesaggio del 1967, totemico e incompiuto telaio sospeso tra contemporaneità e tradizioni millenarie, spazia tra le Tele cucite, le Scritture, i Libri e le Geografie. Un filo, dunque, che, per citare Elena Pontiggia, curatrice della mostra, è insieme legame e relazione, «il segno e il simbolo di quella trama di rapporti esistenziali e intellettuali che danno significato alla vita». Cinque saggi scritti da altrettante donne (Anna Maria Montaldo, Renata Pintus, Chiara Manca e Maria Sofia Pisu, oltre naturalmente a Elena Pontiggia) accompagnano una accuratissima riproduzione delle opere esposte e ci introducono in un mondo, di ritmo e poesia, un universo di forme condiviso con gli amici di una vita: gli scrittori Salvatore Cambosu e Giuseppe Dessì, gli artisti Costantino Nivola e Mirella Bentivoglio, solo per citarne alcuni. La Sardegna è al centro, il mare è un azzurro ponte che è possibile interrogare (Dialogo del mare), il cielo una Geografia leonardesca. Le poche pagine a commento delle già eloquenti opere in mostra si chiudono con un profonda riflessione di Maria Sofia Pisu sul significato che Maria Lai era solita attribuire all’arte: indagine e dialogo «estendibile incondizionatamente alla gente e ai luoghi del nostro vivere sociale, agli spazi della quotidianità, degli eventi, della condivisione ». Scopriamo, grazie alle parole della Pisu, alcuni aspetti più privati della vita della Lai, il suo impegno di insegnante nelle scuole, l’umanità dei suoi racconti e il divertimento dei suoi giochi, il suo rapporto con l’Assoluto, di cui i Presepi e le Madonne, «le stesse che nei disegni e nelle chine setacciavano la farina o lavavano i panni al fiume», sono la più lirica rappresentazione.I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.