Introduzione Ne "Un membre privilégié de l'architecture" – premessa agli atti del convegno di Tours, "L'Escalier dans l'architecture de la Renaissance" (22-26 maggio 1979) – André Chastel (1912-1990) espresse un severo giudizio sui limitati contributi sulle scale rinascimentali: "On est un peu déçu de constater que les historiens n'ont guère répondu jusqu 'ici à l'intérêt et, si l'on peut dire, à la poétique de l'escalier qui n'a jamais connu de développements plus originaux qu'à la Renaissance". Discostandosi da quella «perspective très sommaise» di «un grand interprète des faits architecturaux comme Nicolas Pevsner», per il quale «ni Bramante ni Palladio n'ont vraiment innové», Chastel suggerì di «préciser les ouvrages», senza «isoler les milieux». Dopo il 1979, tale raccomandazione fu parzialmente perseguita accompagnando idealmente nuovi approfondimenti sul tema. Nondimeno, in un mutato contesto storiografico – contrassegnato dal rinnovamento e dall'ampliamento delle ricerche di settore – si avverte l'esigenza di una rilettura storico-critica della vicenda costruttiva e attributiva della lumaca di Donato Bramante (1444-1514), cioè la scala elicoidale innestata sul fianco orientale del "palatium" innocenziano, attraverso una minuziosa e intensiva indagine sulle fonti documentarie, sul monumento e sul contesto socio-culturale e architettonico del XV-XVI secolo, entro cui si sviluppò, consolidandosi e perfezionandosi, il motivo di scala a chiocciola “su colonne”. Il presente lavoro è articolato in cinque capitoli, seguiti da un catalogo di schede – una sorta di “cammei” pienamente integrati nella ricerca – e dall'appendice documentaria. Nelle prime due sezioni si esaminano e soppesano le fonti bibliografiche e archivistiche, le cui risultanze sono complementari alle evidenze emerse dal nuovo rilievo del manufatto (cap. 4), da un'innovativa analisi dei piedritti e infine dalla restituzione di un modello in scala della lumaca. A queste fasi segue la disamina della chiocciola bramantesca (cap. 3) secondo cinque aspetti primari: la cronologia, la committenza, l'autografia, la funzione e, insieme, il linguaggio e le tecniche costruttive. Infine, la tesi si conclude con un'articolata riflessione sulle matrici culturali e concettuali delle coclidi, delineando una possibile “genealogia” ed evoluzione (cap. 5) . Nel dettaglio, lo studio si compone di un'iniziale rilettura delle fonti bibliografiche relative alla lumaca e all'ambito architettonico entro cui si inserisce (cap. 1) per delineare la “filiera” storiografica; sono quindi riesaminati i contributi più specifici – identificati nei saggi di James S. Ackerman (1954), Arnaldo Bruschi (1969) e Christiane Denker Nesselrath (1999) – in relazione alla disamina dei cinque aspetti summenzionati, poi ripresi al cap. 3, per rimarcare le questioni ancora “aperte”, parzialmente insolute o del tutto inesplorate verso cui estendere le ricerche. Qui emerge una “sfrangiata” cronologia cinquecentesca, contrassegnata dalle presunte attestazioni del 1512 – le uniche riferite, in apparenza, alle prime due decadi del XVI secolo e attorno a cui ruota la datazione del “progetto” – ricondotte acriticamente alla lumaca e la cui reinterpretazione impone una revisione della prima campagna edilizia, dell'autografia e della committenza. Al tempo stesso, alla proposta di una scala in luogo di ingresso “privilegiato” al «giardino delle statue», quindi alla collezione antiquaria pontificia di Giulio II (1503-1513) – avanzata in storiografia senza evidenze documentarie – si contrappone una destinazione d'uso alternativa, perlopiù marginalizzata o respinta dagli studiosi, segnalata da Sebastiano Serlio (1475-1554) nel "Terzo Libro" (1540), cioè una «fontana». Nel capitolo successivo si affronta la stratificazione delle fonti archivistiche, quindi la gestione dei cantieri a partire dall'organizzazione amministrativo-finanziaria della Reverenda Camera Apostolica in un ampio intervallo cronologico – esteso dal pontificato di Martino V (1417-1431) a quello di Leone X (1513-1521) – così da poter precisare i mutamenti occorsi negli uffici della Camera Apostolica e individuare le fonti pertinenti alla lumaca. Ne consegue, pertanto, un affondo sul rapporto tra la Curia e i "mercatores curiam romanam sequentes", cioè quei depositari che garantivano, all'atto pratico, la liquidità finanziaria necessaria ai pontefici per intraprendere le estese imprese edilizie che interessarono Roma dopo la cosiddetta “cattività avignonese” (1309-1376), ma che furono condotte in misura crescente dal della Rovere (1443-1513) avvalendosi del banchiere senese Agostino Chigi (1466-1520). Definiti gli “attori principali” e individuati i fondi archivistici di riferimento, si delineano le vicende conservative. Le parziali “carenze” archivistiche connesse alle vicissitudini del cantiere sono integrate con le fonti manoscritte complementari, quali le cospicue corrispondenze degli ambasciatori o agenti presso la corte pontificia a inizio Cinquecento, perlopiù note attraverso brevi estratti, ma qui sistematicamente esaminate con specifica attenzione per i carteggi degli inviati gonzagheschi (ad es. Gadio Stazio) ed estensi (ad es. Ludovico da Fabriano). Infine, ai corposi epistolari si affianca il consistente apporto assicurato dal "Diarium" redatto dal cerimoniere papale Paride de Grassi (1508-1538). Enucleate le questioni principali, riesaminate le fonti e individuati i nuovi giacimenti documentari (capp. 1 e 2), si profila un quadro più articolato, anche arricchito da inedite evidenze emerse dal rilievo della lumaca e, in dettaglio, dalla “caratterizzazione delle colonne”, ricorrendo a una metodologia per l'analisi morfologica sviluppata ad hoc presso il laboratorio MAP del CNRS (Marsiglia). La cronologia (in primis per l'intervallo 1512-1532/1537) e la destinazione d'uso costituiscono le due questioni più significative per il loro impatto sugli studi. Il primo aspetto è affrontato considerando l'unica attestazione archivistica “di cantiere” di inizio XVI secolo, cioè un pagamento per bandelle registrato dal computista della Camera Apostolica, Francesco Magalotti, estensore del "Libro de Ricordi". Un'attenta rilettura non sembra configurare quell'univoca correlazione, avanzata in storiografia, tra le bandelle e la lumaca. Un procedimento analogo avviene con la coeva «Buccineam scalam» citata da Piero o Pietro Valeriano (1477-1558) e ricondotta in letteratura alla lumaca. Infatti, approfondendo il percorso del cardinale Matthäus Lang, introducendo la questione dei dislivelli – tema sensibile ragionando sul palatium innocenziano-roveresco innalzato sulla sommità del colle S. Egidio – e richiamando altre fonti iconografiche contemporanee, emerge una più complessa impostazione dei collegamenti verticali, dove la voce «lumaca» non identifica esclusivamente la scala bramantesca, ponendo così le basi per una postdatazione della coclide. Il secondo aspetto riguarda la «fontana» nominata da Serlio, ritenuta un “mero impluvio” nei contributi storiografici e collocata al fondo della lumaca. La “fonte” non costituisce, tuttavia, un 'caso' episodico, ma si inscrive entro un consolidato topos architettonico correlato a quel legame “coclidi/acqua”, contraddistinto da un vasto repertorio di modelli, tra cui si segnalano, anche per i legami con Bramante, quelli marchigiani di Francesco di Giorgio Martini (1439-1501). Infine, la ricerca della “genealogia” delle coclidi e del loro motivo eziologico, principiando dall'"Idea dell'Architettura Universale" (1615) di Vincenzo Scamozzi, quindi distinguendo le principali evoluzioni formali, funzionali e tecniche, anche mutuate attraverso le sperimentazioni in Egitto, definisce il perimetro culturale, concettuale oltreché simbolico da cui si sviluppa l'«inventione» bramantesca del motivo di scala “su colonne”: gli elementi raccolti ancorano l'“ideazione” al contesto lombardo, in un processo complesso contrassegnato dalla reinterpretazione filaretiana del Settizonio – in veste di “Casa del Vizio e della Virtù” nel "Trattato" dell'Averlino – e dall'assimilazione delle esperienze di Francesco di Giorgio, cioè uno dei protagonisti del rinnovamento del linguaggio architettonico e dei temi compositivi alla corte sforzesca e di cui si considera, in quest'occasione, un “parere” per la residenza vigevanese di Galeazzo da Sanseverino (1458-1525), condottiero di Ludovico il Moro (1452-1508) e mecenate di Leonardo da Vinci (1452-1519)23.

La «famosa Scala grande a Lumaca, detta di Bramante» / Marco Di Salvo. - (2020).

La «famosa Scala grande a Lumaca, detta di Bramante»

Marco Di Salvo
2020

Abstract

Introduzione Ne "Un membre privilégié de l'architecture" – premessa agli atti del convegno di Tours, "L'Escalier dans l'architecture de la Renaissance" (22-26 maggio 1979) – André Chastel (1912-1990) espresse un severo giudizio sui limitati contributi sulle scale rinascimentali: "On est un peu déçu de constater que les historiens n'ont guère répondu jusqu 'ici à l'intérêt et, si l'on peut dire, à la poétique de l'escalier qui n'a jamais connu de développements plus originaux qu'à la Renaissance". Discostandosi da quella «perspective très sommaise» di «un grand interprète des faits architecturaux comme Nicolas Pevsner», per il quale «ni Bramante ni Palladio n'ont vraiment innové», Chastel suggerì di «préciser les ouvrages», senza «isoler les milieux». Dopo il 1979, tale raccomandazione fu parzialmente perseguita accompagnando idealmente nuovi approfondimenti sul tema. Nondimeno, in un mutato contesto storiografico – contrassegnato dal rinnovamento e dall'ampliamento delle ricerche di settore – si avverte l'esigenza di una rilettura storico-critica della vicenda costruttiva e attributiva della lumaca di Donato Bramante (1444-1514), cioè la scala elicoidale innestata sul fianco orientale del "palatium" innocenziano, attraverso una minuziosa e intensiva indagine sulle fonti documentarie, sul monumento e sul contesto socio-culturale e architettonico del XV-XVI secolo, entro cui si sviluppò, consolidandosi e perfezionandosi, il motivo di scala a chiocciola “su colonne”. Il presente lavoro è articolato in cinque capitoli, seguiti da un catalogo di schede – una sorta di “cammei” pienamente integrati nella ricerca – e dall'appendice documentaria. Nelle prime due sezioni si esaminano e soppesano le fonti bibliografiche e archivistiche, le cui risultanze sono complementari alle evidenze emerse dal nuovo rilievo del manufatto (cap. 4), da un'innovativa analisi dei piedritti e infine dalla restituzione di un modello in scala della lumaca. A queste fasi segue la disamina della chiocciola bramantesca (cap. 3) secondo cinque aspetti primari: la cronologia, la committenza, l'autografia, la funzione e, insieme, il linguaggio e le tecniche costruttive. Infine, la tesi si conclude con un'articolata riflessione sulle matrici culturali e concettuali delle coclidi, delineando una possibile “genealogia” ed evoluzione (cap. 5) . Nel dettaglio, lo studio si compone di un'iniziale rilettura delle fonti bibliografiche relative alla lumaca e all'ambito architettonico entro cui si inserisce (cap. 1) per delineare la “filiera” storiografica; sono quindi riesaminati i contributi più specifici – identificati nei saggi di James S. Ackerman (1954), Arnaldo Bruschi (1969) e Christiane Denker Nesselrath (1999) – in relazione alla disamina dei cinque aspetti summenzionati, poi ripresi al cap. 3, per rimarcare le questioni ancora “aperte”, parzialmente insolute o del tutto inesplorate verso cui estendere le ricerche. Qui emerge una “sfrangiata” cronologia cinquecentesca, contrassegnata dalle presunte attestazioni del 1512 – le uniche riferite, in apparenza, alle prime due decadi del XVI secolo e attorno a cui ruota la datazione del “progetto” – ricondotte acriticamente alla lumaca e la cui reinterpretazione impone una revisione della prima campagna edilizia, dell'autografia e della committenza. Al tempo stesso, alla proposta di una scala in luogo di ingresso “privilegiato” al «giardino delle statue», quindi alla collezione antiquaria pontificia di Giulio II (1503-1513) – avanzata in storiografia senza evidenze documentarie – si contrappone una destinazione d'uso alternativa, perlopiù marginalizzata o respinta dagli studiosi, segnalata da Sebastiano Serlio (1475-1554) nel "Terzo Libro" (1540), cioè una «fontana». Nel capitolo successivo si affronta la stratificazione delle fonti archivistiche, quindi la gestione dei cantieri a partire dall'organizzazione amministrativo-finanziaria della Reverenda Camera Apostolica in un ampio intervallo cronologico – esteso dal pontificato di Martino V (1417-1431) a quello di Leone X (1513-1521) – così da poter precisare i mutamenti occorsi negli uffici della Camera Apostolica e individuare le fonti pertinenti alla lumaca. Ne consegue, pertanto, un affondo sul rapporto tra la Curia e i "mercatores curiam romanam sequentes", cioè quei depositari che garantivano, all'atto pratico, la liquidità finanziaria necessaria ai pontefici per intraprendere le estese imprese edilizie che interessarono Roma dopo la cosiddetta “cattività avignonese” (1309-1376), ma che furono condotte in misura crescente dal della Rovere (1443-1513) avvalendosi del banchiere senese Agostino Chigi (1466-1520). Definiti gli “attori principali” e individuati i fondi archivistici di riferimento, si delineano le vicende conservative. Le parziali “carenze” archivistiche connesse alle vicissitudini del cantiere sono integrate con le fonti manoscritte complementari, quali le cospicue corrispondenze degli ambasciatori o agenti presso la corte pontificia a inizio Cinquecento, perlopiù note attraverso brevi estratti, ma qui sistematicamente esaminate con specifica attenzione per i carteggi degli inviati gonzagheschi (ad es. Gadio Stazio) ed estensi (ad es. Ludovico da Fabriano). Infine, ai corposi epistolari si affianca il consistente apporto assicurato dal "Diarium" redatto dal cerimoniere papale Paride de Grassi (1508-1538). Enucleate le questioni principali, riesaminate le fonti e individuati i nuovi giacimenti documentari (capp. 1 e 2), si profila un quadro più articolato, anche arricchito da inedite evidenze emerse dal rilievo della lumaca e, in dettaglio, dalla “caratterizzazione delle colonne”, ricorrendo a una metodologia per l'analisi morfologica sviluppata ad hoc presso il laboratorio MAP del CNRS (Marsiglia). La cronologia (in primis per l'intervallo 1512-1532/1537) e la destinazione d'uso costituiscono le due questioni più significative per il loro impatto sugli studi. Il primo aspetto è affrontato considerando l'unica attestazione archivistica “di cantiere” di inizio XVI secolo, cioè un pagamento per bandelle registrato dal computista della Camera Apostolica, Francesco Magalotti, estensore del "Libro de Ricordi". Un'attenta rilettura non sembra configurare quell'univoca correlazione, avanzata in storiografia, tra le bandelle e la lumaca. Un procedimento analogo avviene con la coeva «Buccineam scalam» citata da Piero o Pietro Valeriano (1477-1558) e ricondotta in letteratura alla lumaca. Infatti, approfondendo il percorso del cardinale Matthäus Lang, introducendo la questione dei dislivelli – tema sensibile ragionando sul palatium innocenziano-roveresco innalzato sulla sommità del colle S. Egidio – e richiamando altre fonti iconografiche contemporanee, emerge una più complessa impostazione dei collegamenti verticali, dove la voce «lumaca» non identifica esclusivamente la scala bramantesca, ponendo così le basi per una postdatazione della coclide. Il secondo aspetto riguarda la «fontana» nominata da Serlio, ritenuta un “mero impluvio” nei contributi storiografici e collocata al fondo della lumaca. La “fonte” non costituisce, tuttavia, un 'caso' episodico, ma si inscrive entro un consolidato topos architettonico correlato a quel legame “coclidi/acqua”, contraddistinto da un vasto repertorio di modelli, tra cui si segnalano, anche per i legami con Bramante, quelli marchigiani di Francesco di Giorgio Martini (1439-1501). Infine, la ricerca della “genealogia” delle coclidi e del loro motivo eziologico, principiando dall'"Idea dell'Architettura Universale" (1615) di Vincenzo Scamozzi, quindi distinguendo le principali evoluzioni formali, funzionali e tecniche, anche mutuate attraverso le sperimentazioni in Egitto, definisce il perimetro culturale, concettuale oltreché simbolico da cui si sviluppa l'«inventione» bramantesca del motivo di scala “su colonne”: gli elementi raccolti ancorano l'“ideazione” al contesto lombardo, in un processo complesso contrassegnato dalla reinterpretazione filaretiana del Settizonio – in veste di “Casa del Vizio e della Virtù” nel "Trattato" dell'Averlino – e dall'assimilazione delle esperienze di Francesco di Giorgio, cioè uno dei protagonisti del rinnovamento del linguaggio architettonico e dei temi compositivi alla corte sforzesca e di cui si considera, in quest'occasione, un “parere” per la residenza vigevanese di Galeazzo da Sanseverino (1458-1525), condottiero di Ludovico il Moro (1452-1508) e mecenate di Leonardo da Vinci (1452-1519)23.
2020
Emanuela Ferretti. Francesco Paolo Di Teodoro
ITALIA
Marco Di Salvo
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Descrizione: Tesi di dottorato di Marco Di Salvo
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