Il punto di partenza del presente lavoro è quello di interrogare le fonti in maniera differente e sviluppare una nuova tematica che in maniera latente viene citata e considerata in tanta parte degli studi di settore, ma che non ha mai trovato piena autonomia e coerenza all’interno della produzione storiografica. Una delle metafore preferite dagli storici è quella del “far parlare le fonti” cioè saperle leggere e interpretare, spremerle per carpirne i segreti. Prendere alla lettera questo assunto è semplicemente la ratio di questa tesi. Interrogare le fonti, focalizzando l’attenzione sulla parola viva che esse esprimono e, soprattutto, lasciarle parlare prima di interpretarne il pensiero e le intenzioni. Non si tratta di un nuovo approccio storiografico, bensì di sviluppare un’idea già presente nella storiografia medievistica ma applicata in ambiti che in maniera più naturale sono predisposti a questo tipo di approccio metodologico. Il primo capitolo di questa tesi, infatti, dal punto di vista cronologico rappresenta una sorta di excursus in piena regola. Avulso dal contesto della riforma e dallo scontro tra Papato e Impero, sposta il baricentro della trattazione non sul periodo storico preso in esame (il tardo Medioevo), ma sulla contestualizzazione dell’intuizione alla base della genesi del lavoro: la comunicazione orale attraverso l’opera dei predicatori. Il motivo per cui la storiografia del secolo XI menzioni spesso l’esistenza di predicatori itineranti e di idee diffuse in maniera capillare grazie a essi sta nel fatto che effettivamente fu un secolo di eccezionale mobilità, non solo sociale, politica ed economica, ma anche spaziale. Un secolo in cui, nonostante i limiti nelle comunicazioni e negli spostamenti, vediamo eremiti, come Romualdo di Ravenna (951-1027), muoversi incessantemente spinti dalla ricerca della solitudine, essendo, allo stesso tempo, incessanti propagatori di rinnovate istanze spirituali attraverso le nuove fondazioni sia cenobitiche sia eremitiche. Un altro esempio è rappresentato, soprattutto dopo il pontificato di Leone IX (1049-1054) “il papa itinerante”, dalla grande attività ispirata al principio di Chiesa universale della Sede romana, che proprio in questo secolo cerca di imporre attraverso non soltanto gli scambi epistolari tra i pontefici e tutti i personaggi più eminenti in seno alla Cristianità, ma anche con la presenza fisica dei legati pontifici inviati per sottolineare la presenza del papa e di Roma nelle vicende di tutto l’orbe cristiano, dalla semplice dedicazione di chiese in Germania e in Francia alla risoluzione di dispute come quelle che avevano coinvolto l’abbazia di Cluny e il vescovo maconense. Uno dei legati di più sicura fedeltà e le cui abilità risultarono indiscutibili fu Pier Damiani (1007-1072). L’eremita fondatore di Fonte Avellana e cardinale vescovo di Ostia che più di ogni altro ha avuto la lungimiranza di capire l’efficacia della comunicazione scritta, ma soprattutto l’importanza della conservazione e della divulgazione delle sue opere. Grazie alla sua incessante attività come predicatore, come legato e teologo, risulta l’autore più prolifico della sua epoca. La sua opera offre uno spaccato della società, delle lotte istituzionali, delle dispute e dei rapporti impersonali nell’ambito della riforma ecclesiastica. Per questa ragione i capitoli II, III e IV sono interamente dedicati all’Avellanita. L’impostazione di questi, pur presentando un protagonista assoluto, non vuole tendere allo studio monografico e, men che meno, biografico del personaggio. Pier Damiani rappresenta una sorta di guida che, attraverso la propria esperienza a tutto tondo e le testimonianze dirette giunte fino a noi, conduce lo studio della comunicazione su livelli eterogenei. Il capitolo II, infatti, presta maggiore attenzione allo studio della produzione scritta operata dal discepolo, Giovanni da Lodi, e sulle ragioni della trasposizione di fonti puramente orali, come i sermoni, in forma scritta, oltre che sui motivi della larga diffusione degli stessi. Mentre in quello successivo viene effettuato un ulteriore passo all’interno dell’aspetto comunicativo, stavolta non nella sua trasposizione su pergamena, ma su ciò che di oralità da quelle pergamene si può rintracciare, indagando anche le sfumature retoriche presenti a seconda che la reale predica si fosse svolta davanti a un pubblico di laici o di ecclesiastici. Il problema del pubblico e della comunicazione viene evidenziato anche nel capitolo IV dove, attraverso l’analisi della missione gallica del 1063 (opera di un discepolo e senza la supervisione del maestro) in qualità di legato apostolico, si scopre un Pier Damiani più spontaneo nell’affrontare le difficoltà e gli imprevisti. Ma allo stesso tempo risaltano i diversi approcci comunicativi operati dallo stesso in base ai suoi interlocutori e alla posizione che egli stesso percepisce di avere di fronte a pubblici differenti. Un pubblico molto particolare con cui si interfaccia il Damiani è quello della città di Milano, il populus, elemento composito e quanto mai eterogeneo, è sobillato dalle due fazioni in lotta: da una parte i fautori della Pataria, dall’altra i chierici ambrosiani, gelosi delle proprie tradizioni secolari e pronti a difenderle con l’aiuto dei ceti aristocratici anche contro la volontà di Roma e del suo sempre più consapevole primato. I predicatori patarini parlano sovente all’indirizzo del laicato per smuovere le coscienze e, quando necessario, le armi contro i propri avversari. Ma la forza delle parole non è talvolta sufficiente a ottenere gli scopi preposti. È per questo motivo che il secondo caso di studio sulle masse, che introduce il capitolo finale, vede protagonisti i cittadini di Firenze, fomentati contro il vescovo Pietro Mezzabarba (1062-1068) dai seguaci di Giovanni Gualberto (995-1073), il fondatore di Vallombrosa, e dall’appoggio dell’arcidiacono Ildebrando (futuro papa Gregorio VII dal 1073 al 1085). Il simbolismo della croce si affaccia prepotentemente sulla scena con la prova del fuoco di Settimo (1068) e si inserisce in un filone che percorre tutto il secolo XI come naturale preludio alla croce per eccellenza, quella posta sulle spalle dei crociati in partenza per la Terra Santa. Attraverso uno studio antologico di casi esemplari riferiti ai protagonisti dei capitoli precedenti viene evidenziato il nesso tra comunicazione e staurologia come motore di dinamiche diverse che vanno dalla spiritualità dell’interpretazione damianea alla più concreta insegna del vexillum concesso dal pontefice Alessandro II (1061-1063) ad alcuni grandi condottieri negli anni Sessanta del secolo. Ogni capitolo si inserisce in un sistema a incastro con quello precedente teso a favorire la continuità tematica e la lettura dell’opera nella sua complessiva coerenza. Il volume è concepito in maniera lineare attraverso sfumature sul tema principale della comunicazione orale declinato nelle sue varie sfaccettature e prendendo in considerazione i molteplici aspetti che ne influenzano le scelte di metodo: il pubblico, il contesto, l’abilità degli oratori, le finalità della produzione scrittoria pervenutaci. L’attenzione si concentra sugli anni Sessanta del secolo con alcuni slittamenti cronologici nel decennio precedente e in quello successivo. Il margine per ulteriori approfondimenti sul tema e nuove declinazioni del linguaggio orale della riforma si può sicuramente ampliare in studi futuri. La sperimentazione del presente lavoro ha dimostrato come, mutatis mutandis, alcuni approcci utilizzati dagli studiosi per la predicazione dei secoli finali del medioevo siano attuabili, purché adattati alle differenti tipologie di fonti da analizzare e ai contesti storici e sociali che il secolo XI presenta. In conclusione, si potrebbe dire che quest’indagine ha mirato a interrogare la parte più viva della riforma, e come tale più difficile da interpretare e da imbrigliare entro paradigmi prestabiliti, al fine di rileggerne in filigrana la sua profondità all’interno della mentalità del secolo XI e ai nuovi inizi che questo convulso periodo storico porterà in eredità alle generazioni successive.

Produzione scritta e predicazione orale: forme della comunicazione per la riforma ecclesiastica del secolo XI / Antonio Manco. - (2020).

Produzione scritta e predicazione orale: forme della comunicazione per la riforma ecclesiastica del secolo XI

Antonio Manco
2020

Abstract

Il punto di partenza del presente lavoro è quello di interrogare le fonti in maniera differente e sviluppare una nuova tematica che in maniera latente viene citata e considerata in tanta parte degli studi di settore, ma che non ha mai trovato piena autonomia e coerenza all’interno della produzione storiografica. Una delle metafore preferite dagli storici è quella del “far parlare le fonti” cioè saperle leggere e interpretare, spremerle per carpirne i segreti. Prendere alla lettera questo assunto è semplicemente la ratio di questa tesi. Interrogare le fonti, focalizzando l’attenzione sulla parola viva che esse esprimono e, soprattutto, lasciarle parlare prima di interpretarne il pensiero e le intenzioni. Non si tratta di un nuovo approccio storiografico, bensì di sviluppare un’idea già presente nella storiografia medievistica ma applicata in ambiti che in maniera più naturale sono predisposti a questo tipo di approccio metodologico. Il primo capitolo di questa tesi, infatti, dal punto di vista cronologico rappresenta una sorta di excursus in piena regola. Avulso dal contesto della riforma e dallo scontro tra Papato e Impero, sposta il baricentro della trattazione non sul periodo storico preso in esame (il tardo Medioevo), ma sulla contestualizzazione dell’intuizione alla base della genesi del lavoro: la comunicazione orale attraverso l’opera dei predicatori. Il motivo per cui la storiografia del secolo XI menzioni spesso l’esistenza di predicatori itineranti e di idee diffuse in maniera capillare grazie a essi sta nel fatto che effettivamente fu un secolo di eccezionale mobilità, non solo sociale, politica ed economica, ma anche spaziale. Un secolo in cui, nonostante i limiti nelle comunicazioni e negli spostamenti, vediamo eremiti, come Romualdo di Ravenna (951-1027), muoversi incessantemente spinti dalla ricerca della solitudine, essendo, allo stesso tempo, incessanti propagatori di rinnovate istanze spirituali attraverso le nuove fondazioni sia cenobitiche sia eremitiche. Un altro esempio è rappresentato, soprattutto dopo il pontificato di Leone IX (1049-1054) “il papa itinerante”, dalla grande attività ispirata al principio di Chiesa universale della Sede romana, che proprio in questo secolo cerca di imporre attraverso non soltanto gli scambi epistolari tra i pontefici e tutti i personaggi più eminenti in seno alla Cristianità, ma anche con la presenza fisica dei legati pontifici inviati per sottolineare la presenza del papa e di Roma nelle vicende di tutto l’orbe cristiano, dalla semplice dedicazione di chiese in Germania e in Francia alla risoluzione di dispute come quelle che avevano coinvolto l’abbazia di Cluny e il vescovo maconense. Uno dei legati di più sicura fedeltà e le cui abilità risultarono indiscutibili fu Pier Damiani (1007-1072). L’eremita fondatore di Fonte Avellana e cardinale vescovo di Ostia che più di ogni altro ha avuto la lungimiranza di capire l’efficacia della comunicazione scritta, ma soprattutto l’importanza della conservazione e della divulgazione delle sue opere. Grazie alla sua incessante attività come predicatore, come legato e teologo, risulta l’autore più prolifico della sua epoca. La sua opera offre uno spaccato della società, delle lotte istituzionali, delle dispute e dei rapporti impersonali nell’ambito della riforma ecclesiastica. Per questa ragione i capitoli II, III e IV sono interamente dedicati all’Avellanita. L’impostazione di questi, pur presentando un protagonista assoluto, non vuole tendere allo studio monografico e, men che meno, biografico del personaggio. Pier Damiani rappresenta una sorta di guida che, attraverso la propria esperienza a tutto tondo e le testimonianze dirette giunte fino a noi, conduce lo studio della comunicazione su livelli eterogenei. Il capitolo II, infatti, presta maggiore attenzione allo studio della produzione scritta operata dal discepolo, Giovanni da Lodi, e sulle ragioni della trasposizione di fonti puramente orali, come i sermoni, in forma scritta, oltre che sui motivi della larga diffusione degli stessi. Mentre in quello successivo viene effettuato un ulteriore passo all’interno dell’aspetto comunicativo, stavolta non nella sua trasposizione su pergamena, ma su ciò che di oralità da quelle pergamene si può rintracciare, indagando anche le sfumature retoriche presenti a seconda che la reale predica si fosse svolta davanti a un pubblico di laici o di ecclesiastici. Il problema del pubblico e della comunicazione viene evidenziato anche nel capitolo IV dove, attraverso l’analisi della missione gallica del 1063 (opera di un discepolo e senza la supervisione del maestro) in qualità di legato apostolico, si scopre un Pier Damiani più spontaneo nell’affrontare le difficoltà e gli imprevisti. Ma allo stesso tempo risaltano i diversi approcci comunicativi operati dallo stesso in base ai suoi interlocutori e alla posizione che egli stesso percepisce di avere di fronte a pubblici differenti. Un pubblico molto particolare con cui si interfaccia il Damiani è quello della città di Milano, il populus, elemento composito e quanto mai eterogeneo, è sobillato dalle due fazioni in lotta: da una parte i fautori della Pataria, dall’altra i chierici ambrosiani, gelosi delle proprie tradizioni secolari e pronti a difenderle con l’aiuto dei ceti aristocratici anche contro la volontà di Roma e del suo sempre più consapevole primato. I predicatori patarini parlano sovente all’indirizzo del laicato per smuovere le coscienze e, quando necessario, le armi contro i propri avversari. Ma la forza delle parole non è talvolta sufficiente a ottenere gli scopi preposti. È per questo motivo che il secondo caso di studio sulle masse, che introduce il capitolo finale, vede protagonisti i cittadini di Firenze, fomentati contro il vescovo Pietro Mezzabarba (1062-1068) dai seguaci di Giovanni Gualberto (995-1073), il fondatore di Vallombrosa, e dall’appoggio dell’arcidiacono Ildebrando (futuro papa Gregorio VII dal 1073 al 1085). Il simbolismo della croce si affaccia prepotentemente sulla scena con la prova del fuoco di Settimo (1068) e si inserisce in un filone che percorre tutto il secolo XI come naturale preludio alla croce per eccellenza, quella posta sulle spalle dei crociati in partenza per la Terra Santa. Attraverso uno studio antologico di casi esemplari riferiti ai protagonisti dei capitoli precedenti viene evidenziato il nesso tra comunicazione e staurologia come motore di dinamiche diverse che vanno dalla spiritualità dell’interpretazione damianea alla più concreta insegna del vexillum concesso dal pontefice Alessandro II (1061-1063) ad alcuni grandi condottieri negli anni Sessanta del secolo. Ogni capitolo si inserisce in un sistema a incastro con quello precedente teso a favorire la continuità tematica e la lettura dell’opera nella sua complessiva coerenza. Il volume è concepito in maniera lineare attraverso sfumature sul tema principale della comunicazione orale declinato nelle sue varie sfaccettature e prendendo in considerazione i molteplici aspetti che ne influenzano le scelte di metodo: il pubblico, il contesto, l’abilità degli oratori, le finalità della produzione scrittoria pervenutaci. L’attenzione si concentra sugli anni Sessanta del secolo con alcuni slittamenti cronologici nel decennio precedente e in quello successivo. Il margine per ulteriori approfondimenti sul tema e nuove declinazioni del linguaggio orale della riforma si può sicuramente ampliare in studi futuri. La sperimentazione del presente lavoro ha dimostrato come, mutatis mutandis, alcuni approcci utilizzati dagli studiosi per la predicazione dei secoli finali del medioevo siano attuabili, purché adattati alle differenti tipologie di fonti da analizzare e ai contesti storici e sociali che il secolo XI presenta. In conclusione, si potrebbe dire che quest’indagine ha mirato a interrogare la parte più viva della riforma, e come tale più difficile da interpretare e da imbrigliare entro paradigmi prestabiliti, al fine di rileggerne in filigrana la sua profondità all’interno della mentalità del secolo XI e ai nuovi inizi che questo convulso periodo storico porterà in eredità alle generazioni successive.
2020
Francesco Salvestrini
ITALIA
Antonio Manco
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Manco -Produzione scritta e predicazione orale: forme della comunicazione per la riforma ecclesiastica del secolo XI

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