La vicenda che ha originato la questione di costituzionalità riguarda due donne unite civilmente che erano ricorse, all’estero, alla procreazione medicalmente assistita (PMA) mediante tecniche di fecondazione eterologa: la partner non gestante aveva acconsentito alla PMA senza però contribuire con alcun apporto biologico. In seguito alla nascita del bambino nel nostro Paese, le due donne avevano chiesto di essere entrambe registrate all’anagrafe come madri ricevendo però il rifiuto dall’Ufficiale dello stato civile. Secondo il giudice a quo, la disciplina vigente, nell’escludere questa possibilità, violerebbe i diritti della madre intenzionale e quelli del minore determinando un’irragionevole discriminazione per motivi di orientamento sessuale . La questione di legittimità costituzionale sollevata ha riguardato l’art. 1, co. 20, l. 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), nella parte in cui limita la tutela per le coppie omosessuali unite civilmente ai soli diritti e doveri nascenti dall’unione civile, e l’art. 29, co. 2, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) e successive modifiche, nella parte in cui consente di indicare come genitori soltanto quelli uniti in matrimonio, coloro che rendono la dichiarazione di riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio e quanti hanno espresso con atto pubblico il proprio consenso ad essere nominati. In particolare, il giudice rimettente ha ravvisato il contrasto con gli artt. 2, 3, co. 1 e 2, 30, 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 24, par. 3, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e alla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989. In questa breve nota, sono svolte alcune considerazioni in ordine alla ricostruzione compiuta dal Giudice costituzionale a proposito dei diritti della madre intenzionale e del bambino, sebbene ai diritti di quest’ultimo venga prestata scarsa attenzione non solo per il minor rilievo dato alla questione dal giudice a quo nell’ordinanza di remissione ma anche per il fatto che proprio questo terreno costituisce l’aspetto più difficile da dover conciliare con il dettato costituzionale e, in prospettiva, l’ambito sul quale insistere per ottenere un’apertura da parte della Corte costituzionale.

"Figli di un dio minore": quando lo status filiationis dipende dal luogo di nascita (Brevi riflessioni a margine della sentenza n. 230/2020 della Corte costituzionale) / M. Picchi. - In: FORUM DI QUADERNI COSTITUZIONALI RASSEGNA. - ISSN 2281-2113. - ELETTRONICO. - 10:(2021), pp. 1-9.

"Figli di un dio minore": quando lo status filiationis dipende dal luogo di nascita (Brevi riflessioni a margine della sentenza n. 230/2020 della Corte costituzionale)

M. Picchi
2021

Abstract

La vicenda che ha originato la questione di costituzionalità riguarda due donne unite civilmente che erano ricorse, all’estero, alla procreazione medicalmente assistita (PMA) mediante tecniche di fecondazione eterologa: la partner non gestante aveva acconsentito alla PMA senza però contribuire con alcun apporto biologico. In seguito alla nascita del bambino nel nostro Paese, le due donne avevano chiesto di essere entrambe registrate all’anagrafe come madri ricevendo però il rifiuto dall’Ufficiale dello stato civile. Secondo il giudice a quo, la disciplina vigente, nell’escludere questa possibilità, violerebbe i diritti della madre intenzionale e quelli del minore determinando un’irragionevole discriminazione per motivi di orientamento sessuale . La questione di legittimità costituzionale sollevata ha riguardato l’art. 1, co. 20, l. 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), nella parte in cui limita la tutela per le coppie omosessuali unite civilmente ai soli diritti e doveri nascenti dall’unione civile, e l’art. 29, co. 2, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) e successive modifiche, nella parte in cui consente di indicare come genitori soltanto quelli uniti in matrimonio, coloro che rendono la dichiarazione di riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio e quanti hanno espresso con atto pubblico il proprio consenso ad essere nominati. In particolare, il giudice rimettente ha ravvisato il contrasto con gli artt. 2, 3, co. 1 e 2, 30, 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 24, par. 3, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e alla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989. In questa breve nota, sono svolte alcune considerazioni in ordine alla ricostruzione compiuta dal Giudice costituzionale a proposito dei diritti della madre intenzionale e del bambino, sebbene ai diritti di quest’ultimo venga prestata scarsa attenzione non solo per il minor rilievo dato alla questione dal giudice a quo nell’ordinanza di remissione ma anche per il fatto che proprio questo terreno costituisce l’aspetto più difficile da dover conciliare con il dettato costituzionale e, in prospettiva, l’ambito sul quale insistere per ottenere un’apertura da parte della Corte costituzionale.
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M. Picchi
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