Fare previsioni su quello che verrà, in assenza di una sfera di cristallo, è sempre molto rischioso. Non avendo, dunque, nemmeno doti nel campo dell’aruspicina, posso solo ipotizzare in quale direzione possa andare la nostra lingua, la nostra amata favella del dove il sì suona. E per fare questo, il modo migliore è procedere con una riflessione in diacronia: l’unica maniera che conosco per formulare delle previsioni, per quanto assolutamente aleatorie. Chiaramente, una qualsiasi proiezione sul futuro non può che passare da un’adeguata conoscenza del passato. A dire il vero, mentre sappiamo molto della nostra storia linguistica, riflettiamo raramente sulle conseguenze che le particolarità di tale storia provocano sul nostro presente. Ad esempio, diamo per scontata la possibilità di avere facilmente accesso ai nostri classici del ’300 (chiediamoci se Dante dimostri effettivamente i suoi settecento anni), senza soffermarci sul fatto che i parlanti delle altre grandi lingue di cultura europea incontrano molte più difficoltà di noi a leggere i testi della loro antichità. Come mai Dante sembra scritto, se non ieri, al massimo l’altro ieri? La risposta è semplice: abbiamo iniziato a parlare l’italiano, e di conseguenza manipolarlo, plasmarlo, molto tardi; occorre infatti arrivare agli anni ’60 del Novecento, e all’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, per poter dichiarare che l’italofonizzazione dell’Italia fosse completa. Questo vuol dire che stiamo assistendo, in una sessantina di anni, a cambiamenti che in altre grandi lingue di cultura sono avvenuti gradualmente nel corso di più secoli. Quindi, se da una parte abbiamo l’indubbio vantaggio di poter leggere i classici del ’300 come se fossero temporalmente molto più vicini a noi, dall’altra è ovvio che il fatto di studiare, a scuola, una norma linguistica che deve ancora moltissimo a Bembo e al canone cinquecentesco provochi dei disagi.

L’italiano scritto del futuro / Vera Gheno. - STAMPA. - (2020), pp. 298-310.

L’italiano scritto del futuro

Vera Gheno
2020

Abstract

Fare previsioni su quello che verrà, in assenza di una sfera di cristallo, è sempre molto rischioso. Non avendo, dunque, nemmeno doti nel campo dell’aruspicina, posso solo ipotizzare in quale direzione possa andare la nostra lingua, la nostra amata favella del dove il sì suona. E per fare questo, il modo migliore è procedere con una riflessione in diacronia: l’unica maniera che conosco per formulare delle previsioni, per quanto assolutamente aleatorie. Chiaramente, una qualsiasi proiezione sul futuro non può che passare da un’adeguata conoscenza del passato. A dire il vero, mentre sappiamo molto della nostra storia linguistica, riflettiamo raramente sulle conseguenze che le particolarità di tale storia provocano sul nostro presente. Ad esempio, diamo per scontata la possibilità di avere facilmente accesso ai nostri classici del ’300 (chiediamoci se Dante dimostri effettivamente i suoi settecento anni), senza soffermarci sul fatto che i parlanti delle altre grandi lingue di cultura europea incontrano molte più difficoltà di noi a leggere i testi della loro antichità. Come mai Dante sembra scritto, se non ieri, al massimo l’altro ieri? La risposta è semplice: abbiamo iniziato a parlare l’italiano, e di conseguenza manipolarlo, plasmarlo, molto tardi; occorre infatti arrivare agli anni ’60 del Novecento, e all’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, per poter dichiarare che l’italofonizzazione dell’Italia fosse completa. Questo vuol dire che stiamo assistendo, in una sessantina di anni, a cambiamenti che in altre grandi lingue di cultura sono avvenuti gradualmente nel corso di più secoli. Quindi, se da una parte abbiamo l’indubbio vantaggio di poter leggere i classici del ’300 come se fossero temporalmente molto più vicini a noi, dall’altra è ovvio che il fatto di studiare, a scuola, una norma linguistica che deve ancora moltissimo a Bembo e al canone cinquecentesco provochi dei disagi.
2020
Dario Flaccovio
Anna Zuccaro (a cura di)
Copywriting tra arte e tecnica. Metodi e sistemi per un approccio globale al sistema espressivo più responsabile
298
310
Vera Gheno
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