Paese che vai, chiacchiere che trovi Le chiacchiere sono leccornie dolci di pasta fritta, preparate un po’ in tutta Italia, specialmente in occasione del Carnevale. Il periodo, si sa, è di quelli in cui si consumano cibi particolarmente ricchi, in vista della successiva Quaresima. Gli ingredienti sono presto elencati: farina, zucchero e uova, normalmente una goccia di liquore – senza dimenticare l’immancabile spolverata finale di zucchero a velo come guarnitura –, ma esistono infinite variazioni che prevedono l’aggiunta di cioccolato, vinsanto, miele, mascarpone e altro. Proprio la semplicità della ricetta di base rafforza la ricostruzione storica che riconduce le chiacchiere alle frictilia dell’antica Roma, dolcetti fritti nel grasso di maiale distribuiti per le strade in particolare in occasione dei Liberalia, festeggiamenti in onore di Liber Pater e della consorte Libera. I Liberalia si tenevano il 17 marzo e marcavano, per i sedicenni romani, la fine dell’infanzia, con il conseguente passaggio alla maggiore età, esplicitato dal cambiamento d’abito: dalla toga praetexta alla toga virilis. Dal Nord al Sud, le chiacchiere assumono una varietà di nomi (molti dei quali elencati da Matilde Paoli nella nota Nomi regionali dei dolci fritti di Carnevale, pubblicata sul profilo Facebook dell'Accademia della Crusca il 28 febbraio 2014, http://on.fb.me/17gjGr6), che sovente fanno riferimento alla forma, come lattughe e fiocchi in Lombardia, galani (da gala ‘fiocco’) a Venezia e cenci (‘stracci’) in Toscana; in altri casi si richiama la consistenza friabile, come crostoli o grostoli in uso in Veneto e in Trentino, frappe e sfrappe documentati in Lazio e sfrappole in alcune zone dell'Emilia. Sono collegati tra loro i nomi chiacchiere (che si ritrova in varie parti d’Italia, forse il nome più diffuso di questi dolcetti) e bugie (tipico della Liguria), che si riferiscono da una parte al fatto che i dolcetti, almeno in origine, sono leggeri e vuoti come il chiacchiericcio (lo rileva anche Lorenzo Coveri in Parole e chiacchiere. Sui nomi, e non solo, di un dolce di Carnevale in Italia [Bollettino dell’ALI III Serie, n. 32, 2008, pp. 95-102]), ma che dall'altra operano un passaggio semantico in più: la forma dei dolcetti richiama quella della lingua, che può essere usata, appunto, per chiacchierare, o dire falsità! Non a caso, a Napoli le chiacchiere vengono chiamate anche lengue d’ ‘a socra, ‘lingue della suocera’: la nostra tradizione macchiettistica conosce bene la figura della suocera chiacchierona... E ancora: in Emilia sono anche intrigoni, in Sardegna maraviglias, nelle Puglie pampuglie ‘trucioli’… ma le troviamo nominate anche come cioffe, fiocchetti, rosoni, saltasù, donzellini… In larghe parti della Toscana vengono chiamate cenci, voce registrata anche nel vol. II della Quinta Impressione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (pubblicato nel 1866) con la chiosa «Cenci diconsi una Specie di pasta di farina e uova, che spianata e di poi tagliata a strisce si frigge, e si condisce con lo zucchero»; Il Panzini appare ben cosciente dei tanti geosinonimi del termine quando scrive, nel suo Dizionario moderno delle parole che non si trovano nei dizionari (1905): «Si dice [cenci] in Toscana ciò che altrove si dice galani, sfrappole, fiocchi, fiocchetti, nastrini, frappe, che è sfoglia fritta aggraziata di anice, burro, liquori, e sbeccata a nastri con la rotella». Infine, è proprio la dicitura cenci che troviamo anche nell’immortale ricettario di Pellegrino Artusi La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891). CENCI Farina, grammi 240. Burro, grammi 20. Zucchero in polvere, grammi 20. Uova, n. 2. Acquavite, cucchiaiate n. l. Sale, un pizzico. Fate con questi ingredienti una pasta piuttosto soda, lavoratela moltissimo con le mani e lasciatela un poco in riposo, infarinata e involtata in un canovaccio. Se vi riuscisse tenera in modo da non poterla lavorare, aggiungete altra farina. Tiratene una sfoglia della grossezza d'uno scudo, e col coltello o colla rotellina a smerli, tagliatela a strisce lunghe un palmo circa e larghe due o tre dita. Fate in codeste strisce qualche incisione per ripiegarle o intrecciarle o accartocciarle onde vadano in padella (ove l'unto, olio o lardo, deve galleggiare) con forme bizzarre. Spolverizzatele con zucchero a velo quando non saranno più bollenti. Basta questa dose per farne un gran piatto. Se il pane lasciato in riposo avesse fatta la crosticina, tornatelo a lavorare. L’attuale attenzione alla cucina sana ha fatto sì che si diffondesse la variante delle chiacchiere cotte al forno, da considerare assolutamente apocrifa, seppure meno dannosa per la linea; in fondo, come dice il proverbio, semel in anno licet insanire, ‘una volta all’anno è permesso impazzire’, anche in relazione alla dieta. Le chiacchiere, insomma, con i loro molti e coloritissimi nomi, fanno parte dei dolci più antichi della nostra tradizione popolare. Erano preparate anche dai fiorentini ai tempi dei Medici, nel giorno del Berlingaccio, il giovedì grasso; e una interessante testimonianza pubblicata nel Vocabolario del fiorentino contemporaneo, voce cenci (www.vocabolariofiorentino.it), ci racconta di una variante particolare, evidentemente in voga nella Firenze della giovinezza dell’intervistato, che era chiamata mangiaebbevi: I cenci sono gli stracci da vestire. Però cencio l’è anche un dórce. Capito? E’ si fanno pe i’ periodo mi sembra di Pasqua, ora. // […] Noi si chiaman cenci. // I’ mangiaebbevi, c’era. […] I’ mangebbevi l’era… com’i’ cencio. ha visto que’ cenci, co i’ buchino, poi ci mettevan l’archèmosse (= alchermes) dentro. Questo l’è i’ mangebbevi. L’usanza di preparare le chiacchiere per Carnevale non si ferma ai confini italiani, e ritroviamo preparazioni assimilabili a queste in moltissimi paesi: kroštule in Croazia, bugnes in Francia, Raderkuchen in Germania, xkunvat a Malta, klejner in Danimarca, csöröge fánk in Ungheria, faworki in Polonia, minciunele e scovergi in Romania, verhuny in Ucraina. E i nostri dolcetti fritti sono addirittura arrivati negli Stati Uniti, dove le pasticcerie “etniche” li vendono con il nome di angel wings, ‘ali d’angelo’. Insomma, paese che vai, l’importante, a Carnevale, è… friggere!

Paese che vai, chiacchiere che trovi / Vera Gheno. - STAMPA. - (2015), pp. 91-93.

Paese che vai, chiacchiere che trovi

Vera Gheno
2015

Abstract

Paese che vai, chiacchiere che trovi Le chiacchiere sono leccornie dolci di pasta fritta, preparate un po’ in tutta Italia, specialmente in occasione del Carnevale. Il periodo, si sa, è di quelli in cui si consumano cibi particolarmente ricchi, in vista della successiva Quaresima. Gli ingredienti sono presto elencati: farina, zucchero e uova, normalmente una goccia di liquore – senza dimenticare l’immancabile spolverata finale di zucchero a velo come guarnitura –, ma esistono infinite variazioni che prevedono l’aggiunta di cioccolato, vinsanto, miele, mascarpone e altro. Proprio la semplicità della ricetta di base rafforza la ricostruzione storica che riconduce le chiacchiere alle frictilia dell’antica Roma, dolcetti fritti nel grasso di maiale distribuiti per le strade in particolare in occasione dei Liberalia, festeggiamenti in onore di Liber Pater e della consorte Libera. I Liberalia si tenevano il 17 marzo e marcavano, per i sedicenni romani, la fine dell’infanzia, con il conseguente passaggio alla maggiore età, esplicitato dal cambiamento d’abito: dalla toga praetexta alla toga virilis. Dal Nord al Sud, le chiacchiere assumono una varietà di nomi (molti dei quali elencati da Matilde Paoli nella nota Nomi regionali dei dolci fritti di Carnevale, pubblicata sul profilo Facebook dell'Accademia della Crusca il 28 febbraio 2014, http://on.fb.me/17gjGr6), che sovente fanno riferimento alla forma, come lattughe e fiocchi in Lombardia, galani (da gala ‘fiocco’) a Venezia e cenci (‘stracci’) in Toscana; in altri casi si richiama la consistenza friabile, come crostoli o grostoli in uso in Veneto e in Trentino, frappe e sfrappe documentati in Lazio e sfrappole in alcune zone dell'Emilia. Sono collegati tra loro i nomi chiacchiere (che si ritrova in varie parti d’Italia, forse il nome più diffuso di questi dolcetti) e bugie (tipico della Liguria), che si riferiscono da una parte al fatto che i dolcetti, almeno in origine, sono leggeri e vuoti come il chiacchiericcio (lo rileva anche Lorenzo Coveri in Parole e chiacchiere. Sui nomi, e non solo, di un dolce di Carnevale in Italia [Bollettino dell’ALI III Serie, n. 32, 2008, pp. 95-102]), ma che dall'altra operano un passaggio semantico in più: la forma dei dolcetti richiama quella della lingua, che può essere usata, appunto, per chiacchierare, o dire falsità! Non a caso, a Napoli le chiacchiere vengono chiamate anche lengue d’ ‘a socra, ‘lingue della suocera’: la nostra tradizione macchiettistica conosce bene la figura della suocera chiacchierona... E ancora: in Emilia sono anche intrigoni, in Sardegna maraviglias, nelle Puglie pampuglie ‘trucioli’… ma le troviamo nominate anche come cioffe, fiocchetti, rosoni, saltasù, donzellini… In larghe parti della Toscana vengono chiamate cenci, voce registrata anche nel vol. II della Quinta Impressione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (pubblicato nel 1866) con la chiosa «Cenci diconsi una Specie di pasta di farina e uova, che spianata e di poi tagliata a strisce si frigge, e si condisce con lo zucchero»; Il Panzini appare ben cosciente dei tanti geosinonimi del termine quando scrive, nel suo Dizionario moderno delle parole che non si trovano nei dizionari (1905): «Si dice [cenci] in Toscana ciò che altrove si dice galani, sfrappole, fiocchi, fiocchetti, nastrini, frappe, che è sfoglia fritta aggraziata di anice, burro, liquori, e sbeccata a nastri con la rotella». Infine, è proprio la dicitura cenci che troviamo anche nell’immortale ricettario di Pellegrino Artusi La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891). CENCI Farina, grammi 240. Burro, grammi 20. Zucchero in polvere, grammi 20. Uova, n. 2. Acquavite, cucchiaiate n. l. Sale, un pizzico. Fate con questi ingredienti una pasta piuttosto soda, lavoratela moltissimo con le mani e lasciatela un poco in riposo, infarinata e involtata in un canovaccio. Se vi riuscisse tenera in modo da non poterla lavorare, aggiungete altra farina. Tiratene una sfoglia della grossezza d'uno scudo, e col coltello o colla rotellina a smerli, tagliatela a strisce lunghe un palmo circa e larghe due o tre dita. Fate in codeste strisce qualche incisione per ripiegarle o intrecciarle o accartocciarle onde vadano in padella (ove l'unto, olio o lardo, deve galleggiare) con forme bizzarre. Spolverizzatele con zucchero a velo quando non saranno più bollenti. Basta questa dose per farne un gran piatto. Se il pane lasciato in riposo avesse fatta la crosticina, tornatelo a lavorare. L’attuale attenzione alla cucina sana ha fatto sì che si diffondesse la variante delle chiacchiere cotte al forno, da considerare assolutamente apocrifa, seppure meno dannosa per la linea; in fondo, come dice il proverbio, semel in anno licet insanire, ‘una volta all’anno è permesso impazzire’, anche in relazione alla dieta. Le chiacchiere, insomma, con i loro molti e coloritissimi nomi, fanno parte dei dolci più antichi della nostra tradizione popolare. Erano preparate anche dai fiorentini ai tempi dei Medici, nel giorno del Berlingaccio, il giovedì grasso; e una interessante testimonianza pubblicata nel Vocabolario del fiorentino contemporaneo, voce cenci (www.vocabolariofiorentino.it), ci racconta di una variante particolare, evidentemente in voga nella Firenze della giovinezza dell’intervistato, che era chiamata mangiaebbevi: I cenci sono gli stracci da vestire. Però cencio l’è anche un dórce. Capito? E’ si fanno pe i’ periodo mi sembra di Pasqua, ora. // […] Noi si chiaman cenci. // I’ mangiaebbevi, c’era. […] I’ mangebbevi l’era… com’i’ cencio. ha visto que’ cenci, co i’ buchino, poi ci mettevan l’archèmosse (= alchermes) dentro. Questo l’è i’ mangebbevi. L’usanza di preparare le chiacchiere per Carnevale non si ferma ai confini italiani, e ritroviamo preparazioni assimilabili a queste in moltissimi paesi: kroštule in Croazia, bugnes in Francia, Raderkuchen in Germania, xkunvat a Malta, klejner in Danimarca, csöröge fánk in Ungheria, faworki in Polonia, minciunele e scovergi in Romania, verhuny in Ucraina. E i nostri dolcetti fritti sono addirittura arrivati negli Stati Uniti, dove le pasticcerie “etniche” li vendono con il nome di angel wings, ‘ali d’angelo’. Insomma, paese che vai, l’importante, a Carnevale, è… friggere!
2015
Rubbettino
Massimo Arcangeli (a cura di)
Peccati di lingua. Le 100 parole italiane del gusto
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93
Vera Gheno
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