Un salume profumato: la finocchiona Un escamotage per coprire altri… profumi L’ingresso della parola finocchiona in italiano è col Vocabolario italiano della lingua parlata di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani (1875, Firenze, Tipografia Cenniniana, s.v.), dove viene chiosata come «Una specie di salsiccia molto ordinaria, e dove è mescolato del finocchio». Il Grande dizionario della lingua italiana del Battaglia non si sbilancia molto di più: «Tipico salume toscano fatto di carne di maiale e manzo tritata finemente, aromatizzata coi semi di finocchio» (GDLI, s.v.). L'asettica definizione dei vocabolari non rende giustizia della specialità conosciuta come una delle protagoniste della cucina toscana. Occorre prima odorarla, e cogliere l'aroma che la caratterizza sin dal nome: il profumo dei semi di finocchio, che ci riempie il naso ancor prima che il salume ci incanti il palato. La finocchiona è un altro caso di paternità poco chiara: in particolare, se la litigano Campi Bisenzio (comune tra Firenze e Prato) e Greve in Chianti; caviamocela dicendo che è tipica soprattutto delle province di Firenze e Siena e che la sua ricetta affonda probabilmente le radici nel Medioevo. Dato che la conservazione delle carni era difficoltosa, si tendevano a usare delle spezie che insaporissero i preparati in modo da camuffare i cattivi odori del prodotto non proprio freschissimo. Il pepe era ottimo per questo scopo, ma a quell’epoca era costoso; i semi di finocchio molto meno. Ecco dunque una soluzione economica per nascondere olezzi non proprio appetitosi. Del resto, pare che al tempo gli osti, quando dovevano servire un vino non proprio eccellente, "anestetizzassero" prima i palati dei clienti con una generosa fetta di finocchiona o con altre pietanze insaporite col finocchio: a questa usanza, cioè di cercare di dissimulare l'odore e il sapore di pietanze non freschissime con il finocchio, viene ricondotto anche il verbo infinocchiare. Già Machiavelli ne era ghiotto, almeno secondo l’immaginazione di Manuel Vasquez de Montalbàn, che fa iniziare così il suo romanzo O Cesare o nulla (1998, Piacenza, Frassinelli): Se si potesse applicare la ragione al gioco, sia alle carte, la cricca, sia ai dadi, il tric-trac. […]. Sicuramente studiando le combinazioni si arriverebbe a sapere perché si vince, perché si perde, perché il barbiere di Sant'Andrea è capace di battere Niccolò Machiavelli, anche se il signor segretario persino quando mangia fette di finocchiona […] lo fa come se stesse pensando all'origine e alla finalità della finocchiona nel mondo […] (p. 1). Questa finzione letteraria, tuttavia, non pare del tutto priva di fondamento, dato che Machiavelli, dopo che era stato esiliato da Firenze nel 1512, trascorse diversi anni all’Albergaccio, la sua tenuta a Sant’Andrea in Percussina, in pieno Chianti; terra, dunque, dove era probabile che avesse accesso al gustoso salume. La finocchiona compare come mortadella finocchiata in alcuni testi di fine Ottocento, come il Manuale del macellaio e del pizzicagnolo di Giuseppe Lancia (1892, Torino, G. Candeletti, p. 108), dove viene peraltro definita specialità di Firenze; nell'Arte della seta in Firenze di Girolamo Gargiolli, (1868, Firenze, Barbera), viene nominata come finocchiona (p. 158) ma chiosata come mortadella col finocchio (p 332). In ogni caso, sono ulteriori testimonianze della sua diffusione. Il finocchio, almeno originariamente, era quello selvatico, Foeniculum volgare, una pianta erbacea della famiglia delle Ombrellifere coltivata negli orti sin dal 1500. Nel 1927 Curzio Malaparte mette la finocchiona tra i cibi prediletti degli abitanti di Prato nella Cantata dei cenciaioli pratesi e delle loro mattane, (in Avventure di un capitano di sventura, Roma, La Voce, p. 7): La compagnia dei cenciaioli delle cinque porte di Prato, gran mangiatori di fagioli di finocchiona e di castrato, han ripulito tutti i paioli, tutte le botti hanno asciugato, e per far rabbia agli spagnoli hanno ridato il sacco a Prato. Ma rallegrarsene conviene: il peggio è meglio assai del bene. I pareri sono discordi anche sulla genuinità di una variante a stagionatura più breve della finocchiona, di nome sbriciolona (talvolta anche briciolona) data la sua consistenza più friabile, che la rende ottima da spalmare sul pane: molti la considerano “apocrifa”, un prodotto, insomma, industriale, fatto per accalappiare i turisti; tuttavia, le testimonianze raccolte nel Vocabolario del Fiorentino Contemporaneo (www.vocabolariofiorentino.it, s. v.), ne attestano la salda diffusione nei quartieri popolari di Firenze (questa testimonianza, in cui leggiamo il dialogo tra l’intervistatore e l’intervistato, è stata raccolta nel quartiere di San Frediano): La finocchiona l’è bona, eh! Bah! E la sbriciolona, si chiama. (R: cosa sono?) L’è affettato. L’è maiale... La un mi dirà mi(c)a un ha ma’ mangia(to) la finocchiona, lei! (R: cosa c’è dentro?) Che ’ c’è? I’ maiale... Ma un è mi(c)a tutto maiale... La si chiama in du’ maniere, la finocchiona e la sbriciolona (R: c’è differenza?) Su per giù l’è uguale... Solo la sbriciolona piace di più, che la si sbri... si chiama sbriciolona perché la si sbriciola, e l’è più gentile. Ma ’nsomma l’è... sempre finocchiona. (R: più gentile... cioè come?) Più saporosa. Eh? Bah! Si dice: Mangere’ una fetta di sbriciolona. La conquista dell’I.G.P. e la ricetta ufficiale Dal 2015, la finocchiona è diventata I.G.P., Indicazione Geografica Protetta, producibile in tutta la Toscana continentale. Il disciplinare, depositato presso il Ministero delle Politiche Alimentari, Agricole e Forestali, descrive con esattezza gli ingredienti e il procedimento per la sua produzione: Per la produzione della «Finocchiona» I.G.P. si possono utilizzare esclusivamente i seguenti tagli: spalla disossata e sgrassata, rifilature di prosciutto, traculo, gole senza ghiandole, magro di pancetta e di gola, carne di coppa, pancetta e pancettone. I suddetti tagli non devono aver subito alcun processo di congelamento. Gli ingredienti che devono essere obbligatoriamente aggiunti, per 100 Kg di impasto da insaccare, sono: • Sale: compreso tra 2,5 e 3,5 Kg; • Pepe macinato: compreso tra 50 e 100 grammi; • Pepe in grani e/o spezzato e/o sgranato: compreso tra 150 e 400 grammi; • Aglio e/o aglio disidratato in dose equivalente, aggiunti in modo tale che la quantità complessiva sia comunque compresa tra 50 e 100 grammi; • Semi di finocchio e/o fiori di finocchio in dose equivalente, aggiunti in modo tale che la quantità complessiva sia comunque compresa tra 200 e 500 grammi. Per la preparazione è consentito anche l’uso dei seguenti additivi e ingredienti: […] • Vino: massimo 1 litro per 100 kg di impasto da insaccare Segue poi la descrizione del metodo di produzione: I tagli di carne sono mondati, secondo tecnica locale, asportando le parti connettivali di maggior dimensioni ed il tessuto adiposo molle. Le carni suine adeguatamente preparate vengono ridotte a pezzetti e passate al tritacarne utilizzando stampi con fori di diametro compreso tra 4,5 e 8 mm. Dopo la macinatura si passa all’impastatura al fine di avere un impasto in cui la carne macinata ed i vari ingredienti, che vengono aggiunti ad essa, siano ben amalgamati tra di loro. Successivamente l’impasto viene insaccato in budello, naturale o collato. Segue la legatura con spago o, in alternativa allo spago, utilizzando rete preconfezionata o rete ordita sull’insaccato realizzate con materiali naturali. […]. La pezzatura della Finocchiona, espressa in peso di prodotto all’insacco, non deve essere inferiore a 0,5 Kg […]. Dopo l’insacco la Finocchiona è sottoposta all’asciugamento che è il periodo durante il quale si ha la più accentuata disidratazione. Per conseguire tale risultato la Finocchiona viene tenuta in ambienti aventi una temperatura compresa tra 12° e 25°C […] Conclusa la fase di asciugamento ha inizio la fase di stagionatura che viene fatta con temperature comprese tra gli 11° e i 18°C ed una umidità relativa tra il 65 e il 90%. Qualora qualcuno ancora dubitasse della bontà della finocchiona, aggiungiamo che un altro suo fan d’eccezione è addirittura Eugenio Montale. Nella poesia Un mese tra i bambini, pubblicata nel 1971 in Satura (1962-1970), (Milano, Mondadori, p. 95), diventa addirittura la pietanza che è in grado di distogliere i bambini dalle loro pappe: I bambini non hanno amor di Dio e opinioni. Se scoprono la finocchiona spuntano pappe e emulsioni. Bibliografia Gargiolli Girolamo, 1868, L’arte della seta in Firenze: trattato del secolo 15., Firenze, Barbera. Lancia Giuseppe, 1892, Manuale del macellaio e del pizzicagnolo, Torino, G. Candeletti. Malaparte Curzio, 1927, Avventure di un capitano di sventura, Roma, La Voce. Montale Eugenio, 1971, Satura (1962-1970), Milano, Mondadori. Vasquez De Montalbàn Manuel, 1998, O Cesare o nulla, trad. di Hado Lyria, Piacenza, Frassinelli.
Un salume “furbo”: la finocchiona / Vera Gheno. - STAMPA. - (2015), pp. 117-120.
Un salume “furbo”: la finocchiona
Vera Gheno
2015
Abstract
Un salume profumato: la finocchiona Un escamotage per coprire altri… profumi L’ingresso della parola finocchiona in italiano è col Vocabolario italiano della lingua parlata di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani (1875, Firenze, Tipografia Cenniniana, s.v.), dove viene chiosata come «Una specie di salsiccia molto ordinaria, e dove è mescolato del finocchio». Il Grande dizionario della lingua italiana del Battaglia non si sbilancia molto di più: «Tipico salume toscano fatto di carne di maiale e manzo tritata finemente, aromatizzata coi semi di finocchio» (GDLI, s.v.). L'asettica definizione dei vocabolari non rende giustizia della specialità conosciuta come una delle protagoniste della cucina toscana. Occorre prima odorarla, e cogliere l'aroma che la caratterizza sin dal nome: il profumo dei semi di finocchio, che ci riempie il naso ancor prima che il salume ci incanti il palato. La finocchiona è un altro caso di paternità poco chiara: in particolare, se la litigano Campi Bisenzio (comune tra Firenze e Prato) e Greve in Chianti; caviamocela dicendo che è tipica soprattutto delle province di Firenze e Siena e che la sua ricetta affonda probabilmente le radici nel Medioevo. Dato che la conservazione delle carni era difficoltosa, si tendevano a usare delle spezie che insaporissero i preparati in modo da camuffare i cattivi odori del prodotto non proprio freschissimo. Il pepe era ottimo per questo scopo, ma a quell’epoca era costoso; i semi di finocchio molto meno. Ecco dunque una soluzione economica per nascondere olezzi non proprio appetitosi. Del resto, pare che al tempo gli osti, quando dovevano servire un vino non proprio eccellente, "anestetizzassero" prima i palati dei clienti con una generosa fetta di finocchiona o con altre pietanze insaporite col finocchio: a questa usanza, cioè di cercare di dissimulare l'odore e il sapore di pietanze non freschissime con il finocchio, viene ricondotto anche il verbo infinocchiare. Già Machiavelli ne era ghiotto, almeno secondo l’immaginazione di Manuel Vasquez de Montalbàn, che fa iniziare così il suo romanzo O Cesare o nulla (1998, Piacenza, Frassinelli): Se si potesse applicare la ragione al gioco, sia alle carte, la cricca, sia ai dadi, il tric-trac. […]. Sicuramente studiando le combinazioni si arriverebbe a sapere perché si vince, perché si perde, perché il barbiere di Sant'Andrea è capace di battere Niccolò Machiavelli, anche se il signor segretario persino quando mangia fette di finocchiona […] lo fa come se stesse pensando all'origine e alla finalità della finocchiona nel mondo […] (p. 1). Questa finzione letteraria, tuttavia, non pare del tutto priva di fondamento, dato che Machiavelli, dopo che era stato esiliato da Firenze nel 1512, trascorse diversi anni all’Albergaccio, la sua tenuta a Sant’Andrea in Percussina, in pieno Chianti; terra, dunque, dove era probabile che avesse accesso al gustoso salume. La finocchiona compare come mortadella finocchiata in alcuni testi di fine Ottocento, come il Manuale del macellaio e del pizzicagnolo di Giuseppe Lancia (1892, Torino, G. Candeletti, p. 108), dove viene peraltro definita specialità di Firenze; nell'Arte della seta in Firenze di Girolamo Gargiolli, (1868, Firenze, Barbera), viene nominata come finocchiona (p. 158) ma chiosata come mortadella col finocchio (p 332). In ogni caso, sono ulteriori testimonianze della sua diffusione. Il finocchio, almeno originariamente, era quello selvatico, Foeniculum volgare, una pianta erbacea della famiglia delle Ombrellifere coltivata negli orti sin dal 1500. Nel 1927 Curzio Malaparte mette la finocchiona tra i cibi prediletti degli abitanti di Prato nella Cantata dei cenciaioli pratesi e delle loro mattane, (in Avventure di un capitano di sventura, Roma, La Voce, p. 7): La compagnia dei cenciaioli delle cinque porte di Prato, gran mangiatori di fagioli di finocchiona e di castrato, han ripulito tutti i paioli, tutte le botti hanno asciugato, e per far rabbia agli spagnoli hanno ridato il sacco a Prato. Ma rallegrarsene conviene: il peggio è meglio assai del bene. I pareri sono discordi anche sulla genuinità di una variante a stagionatura più breve della finocchiona, di nome sbriciolona (talvolta anche briciolona) data la sua consistenza più friabile, che la rende ottima da spalmare sul pane: molti la considerano “apocrifa”, un prodotto, insomma, industriale, fatto per accalappiare i turisti; tuttavia, le testimonianze raccolte nel Vocabolario del Fiorentino Contemporaneo (www.vocabolariofiorentino.it, s. v.), ne attestano la salda diffusione nei quartieri popolari di Firenze (questa testimonianza, in cui leggiamo il dialogo tra l’intervistatore e l’intervistato, è stata raccolta nel quartiere di San Frediano): La finocchiona l’è bona, eh! Bah! E la sbriciolona, si chiama. (R: cosa sono?) L’è affettato. L’è maiale... La un mi dirà mi(c)a un ha ma’ mangia(to) la finocchiona, lei! (R: cosa c’è dentro?) Che ’ c’è? I’ maiale... Ma un è mi(c)a tutto maiale... La si chiama in du’ maniere, la finocchiona e la sbriciolona (R: c’è differenza?) Su per giù l’è uguale... Solo la sbriciolona piace di più, che la si sbri... si chiama sbriciolona perché la si sbriciola, e l’è più gentile. Ma ’nsomma l’è... sempre finocchiona. (R: più gentile... cioè come?) Più saporosa. Eh? Bah! Si dice: Mangere’ una fetta di sbriciolona. La conquista dell’I.G.P. e la ricetta ufficiale Dal 2015, la finocchiona è diventata I.G.P., Indicazione Geografica Protetta, producibile in tutta la Toscana continentale. Il disciplinare, depositato presso il Ministero delle Politiche Alimentari, Agricole e Forestali, descrive con esattezza gli ingredienti e il procedimento per la sua produzione: Per la produzione della «Finocchiona» I.G.P. si possono utilizzare esclusivamente i seguenti tagli: spalla disossata e sgrassata, rifilature di prosciutto, traculo, gole senza ghiandole, magro di pancetta e di gola, carne di coppa, pancetta e pancettone. I suddetti tagli non devono aver subito alcun processo di congelamento. Gli ingredienti che devono essere obbligatoriamente aggiunti, per 100 Kg di impasto da insaccare, sono: • Sale: compreso tra 2,5 e 3,5 Kg; • Pepe macinato: compreso tra 50 e 100 grammi; • Pepe in grani e/o spezzato e/o sgranato: compreso tra 150 e 400 grammi; • Aglio e/o aglio disidratato in dose equivalente, aggiunti in modo tale che la quantità complessiva sia comunque compresa tra 50 e 100 grammi; • Semi di finocchio e/o fiori di finocchio in dose equivalente, aggiunti in modo tale che la quantità complessiva sia comunque compresa tra 200 e 500 grammi. Per la preparazione è consentito anche l’uso dei seguenti additivi e ingredienti: […] • Vino: massimo 1 litro per 100 kg di impasto da insaccare Segue poi la descrizione del metodo di produzione: I tagli di carne sono mondati, secondo tecnica locale, asportando le parti connettivali di maggior dimensioni ed il tessuto adiposo molle. Le carni suine adeguatamente preparate vengono ridotte a pezzetti e passate al tritacarne utilizzando stampi con fori di diametro compreso tra 4,5 e 8 mm. Dopo la macinatura si passa all’impastatura al fine di avere un impasto in cui la carne macinata ed i vari ingredienti, che vengono aggiunti ad essa, siano ben amalgamati tra di loro. Successivamente l’impasto viene insaccato in budello, naturale o collato. Segue la legatura con spago o, in alternativa allo spago, utilizzando rete preconfezionata o rete ordita sull’insaccato realizzate con materiali naturali. […]. La pezzatura della Finocchiona, espressa in peso di prodotto all’insacco, non deve essere inferiore a 0,5 Kg […]. Dopo l’insacco la Finocchiona è sottoposta all’asciugamento che è il periodo durante il quale si ha la più accentuata disidratazione. Per conseguire tale risultato la Finocchiona viene tenuta in ambienti aventi una temperatura compresa tra 12° e 25°C […] Conclusa la fase di asciugamento ha inizio la fase di stagionatura che viene fatta con temperature comprese tra gli 11° e i 18°C ed una umidità relativa tra il 65 e il 90%. Qualora qualcuno ancora dubitasse della bontà della finocchiona, aggiungiamo che un altro suo fan d’eccezione è addirittura Eugenio Montale. Nella poesia Un mese tra i bambini, pubblicata nel 1971 in Satura (1962-1970), (Milano, Mondadori, p. 95), diventa addirittura la pietanza che è in grado di distogliere i bambini dalle loro pappe: I bambini non hanno amor di Dio e opinioni. Se scoprono la finocchiona spuntano pappe e emulsioni. Bibliografia Gargiolli Girolamo, 1868, L’arte della seta in Firenze: trattato del secolo 15., Firenze, Barbera. Lancia Giuseppe, 1892, Manuale del macellaio e del pizzicagnolo, Torino, G. Candeletti. Malaparte Curzio, 1927, Avventure di un capitano di sventura, Roma, La Voce. Montale Eugenio, 1971, Satura (1962-1970), Milano, Mondadori. Vasquez De Montalbàn Manuel, 1998, O Cesare o nulla, trad. di Hado Lyria, Piacenza, Frassinelli.I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.



