Il calore della ribollita La ribollita è una specialità toscana che consiste in una «zuppa di fagioli, cavolo nero e pane che, lasciata raffreddare dopo una prima, prolungata cottura, viene riscaldata e condita con olio d’oliva crudo» (voce ribollita, Grande Dizionario della Lingua Italiana detto Il Battaglia). Una descrizione da far venire l’acquolina in bocca o, come scrive Vasco Pratolini nello Scialo (1960), proprio riferendosi alla bontà di questo piatto, «che farebbe scendere Dante dal piedistallo di Santa Croce» (è la famosa statua di Dante Alighieri in piazza Santa Croce a Firenze). La ribollita ha radici antiche e sicuramente molto povere. Diffusa almeno in origine nella piana di Pisa e nelle zone di Firenze e Arezzo, è composta principalmente di verdure e legumi, anche se esistono innumerevoli varianti locali, talvolta anche familiari, che prevedono aggiunte varie. È molto simile, per ingredienti, alla minestra di pane, tipica della zona di Firenze e delle montagne pistoiesi, che però differisce nella preparazione: quest’ultima, infatti, non viene cotta due volte. Pellegrino Artusi, nel suo ricettario La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891), inserisce la zuppa toscana di magro alla contadina (ricetta n° 58), la quale, a parte il nome, sembra proprio la nostra ribollita, chiosandola così: «Questa zuppa che, per modestia, si fa dare l’epiteto di contadina, sono persuaso che sarà gradita da tutti, anche dai signori, se fatta con la dovuta attenzione». Un piatto della cucina povera, insomma, che però può piacere anche ai signori, se ben preparato. Segue la ricetta. ZUPPA TOSCANA DI MAGRO ALLA CONTADINA • Pane bruno raffermo, di pasta molle, grammi 400. • Fagiuoli bianchi, grammi 300. • Olio, grammi 150. • Acqua, litri due. • Cavolo cappuccio o verzotto, mezza palla di mezzana grandezza. • Cavolo nero, altrettante in volume ed anche più. • Un mazzo di bietola e un poco di pepolino. • Una patata. • Alcune cotenne di carnesecca o di prosciutto tagliate a striscie. Mettete i fagiuoli al fuoco con l’acqua suddetta unendovi le cotenne. Già saprete che i fagiuoli vanno messi ad acqua diaccia e se restano in secco vi si aggiunge acqua calda. Mentre bollono fate un battuto con un quarto di una grossa cipolla e due spicchi d’aglio, due pezzi di sedano lunghi un palmo e un buon pizzico di prezzemolo. Tritatelo fine, mettetelo al fuoco con l’olio soprindicato e quando avrà preso colore versate nel medesimo gli erbaggi tagliati all’ingrosso, prima i cavoli, poi la bietola e la patata tagliata a tocchetti. Conditeli con sale e pepe e poi aggiungete sugo di pomodoro o conserva, e se nel bollire restassero alquanto asciutti bagnateli con la broda dei fagiuoli. Quando questi saranno cotti gettatene una quarta parte, lasciati interi, fra gli erbaggi unendovi le cotenne; gli altri passateli dallo staccio e scioglieteli nella broda, versando anche questa nel vaso dove sono gli erbaggi. Mescolate, fate bollire ancora un poco e versate ogni cosa nella zuppiera ove avrete già collocato il pane tagliato a fette sottili e copritela per servirla dopo una ventina di minuti. Questa quantità può bastare per sei persone; è buona calda e meglio diaccia. Il consiglio generale è di lasciare raffreddare la minestra e, il giorno dopo, ribollirla o ripassarla in padella o al forno: sarà ancora più succulenta, dato che i gusti si saranno amalgamati. Ingrediente centrale della ricetta, oltre ai fagioli bianchi, tradizionalmente cannellini, zolfini o toscanelli, è il cavolo nero (Brassica oleracea var. acephala), tipico della Toscana, che, per essere davvero adatto alla preparazione, dovrebbe avere preso il ghiaccio, ovvero qualche gelata, in modo da essere come frollato e quindi più tenero. La preparazione è quindi propria delle stagioni fredde, quelle, appunto, in cui il cavolo nero è pronto per venire raccolto. La ricetta della ribollita, proprio per la sua semplicità, arriva praticamente inalterata ai giorni nostri. Rimane, in maniera particolare a Firenze e dintorni, un piatto molto amato e preparato sovente. Anche se non tutti sono concordi sulla liceità di chiamare ribollita quella che viene servita al ristorante, come testimonia questa intervista tratta dal Vocabolario del Fiorentino Contemporaneo (www.vocabolariofiorentino.it, voce Ribollita), che ci spiega anche la sua corretta preparazione e anche il modo in cui veniva consumata una volta. La ribollita l’è una cosa sacra, a Firenze. Se permetti. Eh! Co i’ cavolo ner’ e ’ fagioli. E i’ pane. Cioè, quella è la minestra di cavolo e fagioli. La ribollita l’è i’ giorno dopo... […]. Ora, si va nel ristorante, si chiede la ribollita. L’è una cavolata, perché la ribollita non è un piatto, la ribollita è nell’economia contadina, contadina perché ’nsomma, i’ cittadino i’ cavolo un ce l’ha. L’economia contadina non buttava via niente. Quindi avanzava, ma, se tu pensi che i contadini icché mangiavano la mattina? Un piatto di ribollita riscaldata. Latte? Che l’è i’ latte? Caffè? Icché l’er’i’ caffè? La ribollita e un bicchier di vino. D’inverno. D’estate, pane e cipolla. Buona la cipolla fresca. Di ribollita, infine, è ghiotto anche il commissario Bordelli, personaggio creato dallo scrittore Marco Vichi, le cui vicende si svolgono nella Firenze degli anni Sessanta. È un piatto che ritorna in varie occasioni; in Una brutta faccenda (2003, TEA), leggiamo una scena che si svolge alla trattoria “Da Cesare”, dove lavora il cuoco di fiducia del commissario, Totò: “Una bella ribollita, commissario?” Disse a voce alta. “Vada per la ribollita.” Totò gli dette una pacca sulla spalla e andrò a riempire una scodella. Ci aggiunse un po’ d’olio crudo, un peperoncino fresco tagliato fine e una spolverata di parmigiano. Poi tirò fuori un grande calice rotondo, lo riempì di vino rosso e appoggiò tutto davanti a Bordelli… Buon appetito!

Il calore della ribollita / Vera Gheno. - STAMPA. - (2015), pp. 261-264.

Il calore della ribollita

Vera Gheno
2015

Abstract

Il calore della ribollita La ribollita è una specialità toscana che consiste in una «zuppa di fagioli, cavolo nero e pane che, lasciata raffreddare dopo una prima, prolungata cottura, viene riscaldata e condita con olio d’oliva crudo» (voce ribollita, Grande Dizionario della Lingua Italiana detto Il Battaglia). Una descrizione da far venire l’acquolina in bocca o, come scrive Vasco Pratolini nello Scialo (1960), proprio riferendosi alla bontà di questo piatto, «che farebbe scendere Dante dal piedistallo di Santa Croce» (è la famosa statua di Dante Alighieri in piazza Santa Croce a Firenze). La ribollita ha radici antiche e sicuramente molto povere. Diffusa almeno in origine nella piana di Pisa e nelle zone di Firenze e Arezzo, è composta principalmente di verdure e legumi, anche se esistono innumerevoli varianti locali, talvolta anche familiari, che prevedono aggiunte varie. È molto simile, per ingredienti, alla minestra di pane, tipica della zona di Firenze e delle montagne pistoiesi, che però differisce nella preparazione: quest’ultima, infatti, non viene cotta due volte. Pellegrino Artusi, nel suo ricettario La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891), inserisce la zuppa toscana di magro alla contadina (ricetta n° 58), la quale, a parte il nome, sembra proprio la nostra ribollita, chiosandola così: «Questa zuppa che, per modestia, si fa dare l’epiteto di contadina, sono persuaso che sarà gradita da tutti, anche dai signori, se fatta con la dovuta attenzione». Un piatto della cucina povera, insomma, che però può piacere anche ai signori, se ben preparato. Segue la ricetta. ZUPPA TOSCANA DI MAGRO ALLA CONTADINA • Pane bruno raffermo, di pasta molle, grammi 400. • Fagiuoli bianchi, grammi 300. • Olio, grammi 150. • Acqua, litri due. • Cavolo cappuccio o verzotto, mezza palla di mezzana grandezza. • Cavolo nero, altrettante in volume ed anche più. • Un mazzo di bietola e un poco di pepolino. • Una patata. • Alcune cotenne di carnesecca o di prosciutto tagliate a striscie. Mettete i fagiuoli al fuoco con l’acqua suddetta unendovi le cotenne. Già saprete che i fagiuoli vanno messi ad acqua diaccia e se restano in secco vi si aggiunge acqua calda. Mentre bollono fate un battuto con un quarto di una grossa cipolla e due spicchi d’aglio, due pezzi di sedano lunghi un palmo e un buon pizzico di prezzemolo. Tritatelo fine, mettetelo al fuoco con l’olio soprindicato e quando avrà preso colore versate nel medesimo gli erbaggi tagliati all’ingrosso, prima i cavoli, poi la bietola e la patata tagliata a tocchetti. Conditeli con sale e pepe e poi aggiungete sugo di pomodoro o conserva, e se nel bollire restassero alquanto asciutti bagnateli con la broda dei fagiuoli. Quando questi saranno cotti gettatene una quarta parte, lasciati interi, fra gli erbaggi unendovi le cotenne; gli altri passateli dallo staccio e scioglieteli nella broda, versando anche questa nel vaso dove sono gli erbaggi. Mescolate, fate bollire ancora un poco e versate ogni cosa nella zuppiera ove avrete già collocato il pane tagliato a fette sottili e copritela per servirla dopo una ventina di minuti. Questa quantità può bastare per sei persone; è buona calda e meglio diaccia. Il consiglio generale è di lasciare raffreddare la minestra e, il giorno dopo, ribollirla o ripassarla in padella o al forno: sarà ancora più succulenta, dato che i gusti si saranno amalgamati. Ingrediente centrale della ricetta, oltre ai fagioli bianchi, tradizionalmente cannellini, zolfini o toscanelli, è il cavolo nero (Brassica oleracea var. acephala), tipico della Toscana, che, per essere davvero adatto alla preparazione, dovrebbe avere preso il ghiaccio, ovvero qualche gelata, in modo da essere come frollato e quindi più tenero. La preparazione è quindi propria delle stagioni fredde, quelle, appunto, in cui il cavolo nero è pronto per venire raccolto. La ricetta della ribollita, proprio per la sua semplicità, arriva praticamente inalterata ai giorni nostri. Rimane, in maniera particolare a Firenze e dintorni, un piatto molto amato e preparato sovente. Anche se non tutti sono concordi sulla liceità di chiamare ribollita quella che viene servita al ristorante, come testimonia questa intervista tratta dal Vocabolario del Fiorentino Contemporaneo (www.vocabolariofiorentino.it, voce Ribollita), che ci spiega anche la sua corretta preparazione e anche il modo in cui veniva consumata una volta. La ribollita l’è una cosa sacra, a Firenze. Se permetti. Eh! Co i’ cavolo ner’ e ’ fagioli. E i’ pane. Cioè, quella è la minestra di cavolo e fagioli. La ribollita l’è i’ giorno dopo... […]. Ora, si va nel ristorante, si chiede la ribollita. L’è una cavolata, perché la ribollita non è un piatto, la ribollita è nell’economia contadina, contadina perché ’nsomma, i’ cittadino i’ cavolo un ce l’ha. L’economia contadina non buttava via niente. Quindi avanzava, ma, se tu pensi che i contadini icché mangiavano la mattina? Un piatto di ribollita riscaldata. Latte? Che l’è i’ latte? Caffè? Icché l’er’i’ caffè? La ribollita e un bicchier di vino. D’inverno. D’estate, pane e cipolla. Buona la cipolla fresca. Di ribollita, infine, è ghiotto anche il commissario Bordelli, personaggio creato dallo scrittore Marco Vichi, le cui vicende si svolgono nella Firenze degli anni Sessanta. È un piatto che ritorna in varie occasioni; in Una brutta faccenda (2003, TEA), leggiamo una scena che si svolge alla trattoria “Da Cesare”, dove lavora il cuoco di fiducia del commissario, Totò: “Una bella ribollita, commissario?” Disse a voce alta. “Vada per la ribollita.” Totò gli dette una pacca sulla spalla e andrò a riempire una scodella. Ci aggiunse un po’ d’olio crudo, un peperoncino fresco tagliato fine e una spolverata di parmigiano. Poi tirò fuori un grande calice rotondo, lo riempì di vino rosso e appoggiò tutto davanti a Bordelli… Buon appetito!
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264
Vera Gheno
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