La perfezione dell’ombelico di Venere: il tortellino Il mito dell’ombelico femminile «Nome, usato solitamente al plurale, di una pasta alimentare tipica dell’Emilia-Romagna e zone vicine, costituita da piccoli fagottini di pasta all’uovo farciti […]: si ottengono tagliando la sfoglia, molto sottile, in quadratini di circa 2,5 cm di lato (in altre regioni può essere tagliata in tondo), mettendo al centro il ripieno, di ingredienti varî secondo le località, piegando poi la pasta a triangolo e arrotolandola in modo che le due estremità combacino». (Vocabolario Treccani on line, s.v. tortellino). Simili, ma non uguali, ad altre specialità di pasta ripiene come cappelletti, agnolotti, tortelli o tortelloni, i tortellini hanno una storia affascinante e misteriosa. Da un punto di vista linguistico, la parola tortellino è diminutivo di tortello, a sua volta derivato di torta (a questo proposito, già nel dizionario italiano-inglese di John Florio, A Worlde of Wordes [Londra, 1598], si trova la voce tortegli, tortelli per ‘piccole torte’); è, inoltre, adattamento italiano dell’emiliano turtlein. Come spesso accade per le pietanze italiane più conosciute, le radici del tortellino si perdono nel mito. Tutto parrebbe avere inizio da un poema eroicomico in ottave di Alessandro Tassoni (Modena, 1565-1635), La secchia rapita (1621, qui nell’edizione del 1806). L’opera trae spunto da eventi reali, come il conflitto tra Bologna e Modena ai tempi di Federico II. Nella battaglia di Zappolino (15 novembre 1325) i modenesi respingono i bolognesi e li ricacciano nella loro città; resi assetati dai combattimenti, si fermano a un pozzo in territorio nemico dal quale trafugano, quale trofeo di guerra, la secchia (oggi diremmo piuttosto il secchio) di legno che serviva per attingere l’acqua. Il “ratto della secchia” scatena una guerra tra le due fazioni, alla quale partecipano perfino gli dei dell’Olimpo, oltre ad altri personaggi immaginari, come il conte di Culagna. Sarà proprio quest’ultimo il risolutore del contenzioso: su sua proposta i bolognesi si terranno re Enzo, nipote di Federico II, che aveva combattuto per i modenesi, e i modenesi potranno fare loro l’agognata secchia. In questo poema non si parla di tortellini ma si nominano i tortelletti (IV, 5, p. 78): Tutte nostre saran senza sospetti queste ricche campagne e questi armenti; la salciccia, i capponi e i tortelletti da casa ci verran cotti e bollenti, e dormiremo in quegli stessi letti dove ora dormon le nemiche genti […] A ogni modo, il concetto di tortellino era già ben chiaro ai tempi di Tassoni, dato che in una delle sue Lettere lo troviamo scrivere «Bacio a Vostra Signoria le mani e le auguro la buona Pasqua e i buoni tortellini» (Rossi 1901, vol. 1 p. 24). Fu proprio ispirandosi al poema di Tassoni che Giuseppe Ceri (1839-1925), architetto di origine toscana trapiantato a Bologna, scrisse L’ombelico di Venere, un poemetto dedicato proprio all’invenzione del tortellino. Pubblicato per la prima volta nel 1908, in un volume intitolato La secchia: contiene sonetti burleschi inediti del Tassone e molte invenzioni piacevoli e curiose, vagamente illustrate (a cura di Olindo Guerrini), in cui il testo originario del Tassoni si mischiava alle invenzioni di altri autori ispirate ad esso, è stato talvolta considerato parte del poema originario pur non essendolo. Il Ceri si sofferma sulla sosta di Venere, accennata da Tassoni nel canto secondo Secchia, presso un’osteria a Castelfranco Emilia, al confine tra i territori delle due città. La dea dell’amore, dopo essersi intrattenuta per tutta la notte con Marte e Bacco, si risveglia sola nel letto. Stizzita, chiama l’oste e gli chiede dove siano finiti i suoi due accompagnatori. L’oste la rassicura sul fatto che sarebbero stati presto di ritorno. Venere si rasserena… Poi con gran meraviglia Dell’oste lì presente Come se fosse sola, Le candide lenzuola Spinse in mezzo alla stanza, Le belle gambe stese, Dall’ampio letto scese Con un salto sì poco misurato Che sollevandosi la camicia bianca, Poco più su dell’anca, Onde l’oste felice (Lo dico o non lo dico?) Di Venere mirò il divin bellico! Ma l’oste, chiaramente, è un virtuoso, e non ha pensieri lascivi: Anzi un’idea soavemente casta D’imitar quel bellico con la pasta Gli balenò nel capo; Scende in cucina… E da una sfoglia fresca Che la vecchia fantesca Stava stendendo sovra d’un tagliere, Un piccolo e ritondo pezzo tolse, Che poi sul dito avvolse In mille e mille forme Tentando d’imitare Quel bellico divino e singolare. E l’oste ch’era guercio e bolognese, Imitando di Venere il bellico L’arte di fare il tortellino apprese! Dunque, per Ceri l’invenzione del tortellino sarebbe bolognese e sarebbe stata ispirata dalla visione del divino ombelico. Simile anche la storia narrata da Ostilio Lucarini nella commedia in tre atti Quéll ch’ha inventá i turtlein, rappresentata per la prima volta il 3 dicembre 1925 al Teatro del Corso di Bologna: questa volta è il cuoco Pirulein che, entrato per sbaglio nella stanza della giovane padrona dormiente, rimane affascinato dalla forma del suo ombelico e tenterà di riprodurlo. Le tracce nella storia reale Queste sono solo alcune delle leggende che accostano la nascita del tortellino all’ombelico femminile; ma abbandonando l’ambito del mito, molte fonti che vogliono ricostruire la storia di questa specialità individuano una delle prime attestazioni del tortellino, o meglio, del tortello, in un testo del XII secolo: «Consuetudinem Tortellorum ad Natale, et ovorum ad Pascha reddent hospites S. Juliani» (Du Cange et al., Glossarium mediæ et infimæ latinitatis, Niort, L. Favre, 1883-1887, sottolemma Tortellus); non è chiaro, però, se il tortellus medievale corrispondesse all’odierno tortellino. Indirettamente, anche Boccaccio fa riferimenti ai tortellini senza nominarli: siamo nella terza novella dell’ottava giornata del Decameron, intitolata Calandrino e l’elitropia; Maso del Saggio descrive a Calandrino la contrada di Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevasi un'oca a denaio e un papero giunta; ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi […] Osservato che è ben singolare cuocere i maccheroni nel brodo, alcuni hanno pensato che Boccaccio si potesse riferire a tortellini e ravioli, più che ai maccheroni; in ogni caso, è chiaro il riferimento a qualche varietà di pasta ripiena. La prima, vera ricetta di un piatto molto simile a quello che possiamo consumare oggi si rintraccia nel Libro di cucina o libro per cuoco di Anonimo Veneziano (sec. XIV-XV), ristampato nel 1899 con il titolo di Libro di cucina del secolo IV (a cura di Ludovico Frati, Livorno, Giusti): è la ricetta numero XCVI (p. 50), “Torteleti de enula”, dove l’enula è l’Enula campana (nome scientifico Inula helenium), una pianta erbacea, perenne, a fiori gialli, molto diffusa in Emilia, e usata per insaporire il ripieno: Se tu voy fare torteleti de enula con brodo, toy caponi o tuo’ de la carne del bo per XII persone […] e po fay i tortelli pizenini in fogli de pasta zalla. La “minestra de torteleti” compare poi tra i piatti serviti a sedici Tribuni della Plebe durante un pranzo, secondo quanto registrato nel Diario del Senato di Bologna della prima metà del ’500. Nel secolo successivo Vincenzo Tanara, nell’Economia del cittadino in Villa (Bologna, 1644, qui nell’edizione veneziana del 1658), cita i «tortellini cotti in butiro» (p. 583), ovvero nel burro. Avvicinandosi ai giorni nostri, le testimonianze si moltiplicano. Li troviamo in Carducci: «Ecco la tavola ove abbiamo mangiato gli ottimi tortellini e le stupende bestiuole stupendamente cucinate dalla mia cittadina domestica, la Annunziata» (1949: 98), ne scrive Montale: «Caro Bobi, tra l’ingestione e la digestione di un piatto di tortellini inaffiati di Chianti ho scritto rapidissimamente l’‘Elegia di Pico’ che ti accludo» (1976: 93). Nella storia lunga e complessa dei tortellini occorre tenere conto del fatto che il loro debutto sul palcoscenico internazionale dovette aspettare l’avvento di tecniche di conservazione più raffinate: i fratelli Bertagni (Luigi, Ferdinando e Oreste), dell’omonimo pastificio, riescono, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, ad allungare la “vita” media del tortellino tramite l'essiccazione, riuscendo così a trasportarlo ed esportarlo: vincono la medaglia di bronzo all’esposizione universale di Parigi del 1889 e quella d’oro alla Fiera di St. Louis, Missouri, nel 1904: la fama del tortellino varca così l’oceano. I tortellini non potevano non essere inseriti nell’Arte in cucina e la scienza di mangiar bene dell’Artusi sin dalla prima edizione (1891) in almeno due varianti, i tortellini all’italiana (ricetta 8, pp. 9-10) e quelli alla bolognese (ricetta 9, pp. 10-12). In edizioni successive verranno aggiunti anche quelli di carne di piccione. A introduzione della ricetta dei tortellini alla bolognese (p. 10), Artusi scrive: Quando sentite parlare della cucina bolognese fate una riverenza, ché se la merita. È un modo di cucinare un po’ grave, se vogliamo, perché il clima così richiede; ma succulento, di buon gusto e salubre, tanto è vero che colà le longevità di ottanta e novant’anni sono più comuni che altrove. Non riportiamo la ricetta artusiana, ma la sua versione più moderna: infatti, nonostante molti considerino irrisolta la questione della paternità del piatto tra Bologna e Modena, il 7 dicembre 1974 la Dotta Confraternita del Tortellino e l’Accademia Italiana della Cucina hanno registrato, con atto notarile, la ricetta autentica della leccornia. Il 15 aprile 2008 la stessa ricetta, assieme ai disciplinari di produzione del tortellino, sono stati depositati presso la Camera di Commercio di Bologna. La ricetta, la cui pergamena ufficiale è consultabile all’indirizzo http://www.confraternitadeltortellino.it/pdf/pergamena_ricetta-ufficiale.pdf, è la seguente: Per 1.000 Tortellini: La sfoglia: Pasta fresca gialla preparata con 3 uova e 3 etti di farina Il ripieno: 300 gr. di lombo di maiale rosolato al burro, 300 gr. prosciutto crudo, 300 gr. vera Mortadella di Bologna, 400 gr. formaggio Parmigiano-Reggiano, 3 uova, 1 noce moscata Il brodo: 1 kg di carne di manzo (doppione); 1/2 gallina ruspante; sedano, carota, cipolla, sale Preparare il ripieno dei tortellini macinando molto finemente la carne e incorporarvi le uova, il Parmigiano, la noce moscata. Il composto così preparato va lasciato riposare almeno 12 ore in frigorifero. TORTELLINI IN BRODO Preparare il brodo mettendo la carne e la mezza gallina in una pentola con 4 litri d’acqua fredda e portarla ad ebollizione, quindi togliere con la schiumarola la schiuma formatasi sull’acqua, aggiungere le verdure, aggiustare di sale e fare bollire molto lentamente per almeno 3 ore. Preparare i tortellini stendendo la pasta sul tagliere di legno con il matterello fino a renderla molto sottile, tagliare dei quadretti di circa 3 centimetri di lato, al centro di ogni quadratino collocarvi una noce di ripieno, quindi piegare la pasta a triangolo facendo combaciare i lati, piegare il triangolo così ottenuto girandolo attorno al dito e sovrapponendo i due angoli opposti, premere il tortellino in modo che la pasta si attacchi saldamente e il tortellino rimanga in forma. Man mano che saranno pronti riporli su un ripiano. Scolare il brodo dalla carne e portarlo di nuovo ad ebollizione, poi tuffarvi i tortellini piano piano e lasciarli cuocere a fuoco medio per almeno 3/4 minuti, prima di servire caldissimi con abbondante Parmigiano grattugiato al momento. Possiamo ancora chiederci quale sia la vera storia del tortellino, ma una cosa è certa: è talmente radicato sul territorio da ricorrere anche in diversi proverbi della zona, come questo: Dona giuvna, vëin, turtél e va là che’l mond l’è bèl. [Donna giovane, vino, tortellini e dai che il mondo è bello]. E come dargli torto? Vera Gheno Bibliografia Artusi Pellegrino, 2011, La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, ristampa anastatica della prima edizione 1891, Firenze, Giunti. Carducci Giosuè, 1949, Lettere vol. 12: 1878-1880, Bologna, Zanichelli. Du Cange Charles Du Fresne et al., 1883-1887, Glossarium mediæ et infimæ latinitatis, Niort, L. Favre. Frati Ludovico, 1899, Libro di cucina del secolo IV, Livorno, Giusti. Haller Hermann W. (a cura di), 2013, edizione critica di John Florio, 1598, A Worlde of Wordes, Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press. Montale Eugenio, 1976, Sulla Poesia, Milano, Mondadori. AA.VV., 1908, La secchia : contiene sonetti burleschi inediti del Tassone e molte invenzioni piacevoli e curiose, vagamente illustrate, edite per la famosa festa mutino-bononiense del 31 maggio 1908, prefazione di Olindo Guerrini, Bologna-Modena, A. F. Formiggini. Tanara Vincenzo, 1658 (1644), Economia del cittadino in Villa, Venezia, appresso i Bertani. Tassoni Alessandro, 1806, La secchia rapita, con la vita e con le note compilate da Robustiano Gironi, Milano, Società Tipografica de’ Classici Italiani. Tassoni Alessandro, 1901, Le lettere, a cura di G. Rossi, 2 voll., Bologna. Vocabolario Treccani on line, http://www.treccani.it/vocabolario/.
La perfezione dell’ombelico di Venere: il tortellino / Vera Gheno. - STAMPA. - (2015), pp. 340-345.
La perfezione dell’ombelico di Venere: il tortellino
Vera Gheno
2015
Abstract
La perfezione dell’ombelico di Venere: il tortellino Il mito dell’ombelico femminile «Nome, usato solitamente al plurale, di una pasta alimentare tipica dell’Emilia-Romagna e zone vicine, costituita da piccoli fagottini di pasta all’uovo farciti […]: si ottengono tagliando la sfoglia, molto sottile, in quadratini di circa 2,5 cm di lato (in altre regioni può essere tagliata in tondo), mettendo al centro il ripieno, di ingredienti varî secondo le località, piegando poi la pasta a triangolo e arrotolandola in modo che le due estremità combacino». (Vocabolario Treccani on line, s.v. tortellino). Simili, ma non uguali, ad altre specialità di pasta ripiene come cappelletti, agnolotti, tortelli o tortelloni, i tortellini hanno una storia affascinante e misteriosa. Da un punto di vista linguistico, la parola tortellino è diminutivo di tortello, a sua volta derivato di torta (a questo proposito, già nel dizionario italiano-inglese di John Florio, A Worlde of Wordes [Londra, 1598], si trova la voce tortegli, tortelli per ‘piccole torte’); è, inoltre, adattamento italiano dell’emiliano turtlein. Come spesso accade per le pietanze italiane più conosciute, le radici del tortellino si perdono nel mito. Tutto parrebbe avere inizio da un poema eroicomico in ottave di Alessandro Tassoni (Modena, 1565-1635), La secchia rapita (1621, qui nell’edizione del 1806). L’opera trae spunto da eventi reali, come il conflitto tra Bologna e Modena ai tempi di Federico II. Nella battaglia di Zappolino (15 novembre 1325) i modenesi respingono i bolognesi e li ricacciano nella loro città; resi assetati dai combattimenti, si fermano a un pozzo in territorio nemico dal quale trafugano, quale trofeo di guerra, la secchia (oggi diremmo piuttosto il secchio) di legno che serviva per attingere l’acqua. Il “ratto della secchia” scatena una guerra tra le due fazioni, alla quale partecipano perfino gli dei dell’Olimpo, oltre ad altri personaggi immaginari, come il conte di Culagna. Sarà proprio quest’ultimo il risolutore del contenzioso: su sua proposta i bolognesi si terranno re Enzo, nipote di Federico II, che aveva combattuto per i modenesi, e i modenesi potranno fare loro l’agognata secchia. In questo poema non si parla di tortellini ma si nominano i tortelletti (IV, 5, p. 78): Tutte nostre saran senza sospetti queste ricche campagne e questi armenti; la salciccia, i capponi e i tortelletti da casa ci verran cotti e bollenti, e dormiremo in quegli stessi letti dove ora dormon le nemiche genti […] A ogni modo, il concetto di tortellino era già ben chiaro ai tempi di Tassoni, dato che in una delle sue Lettere lo troviamo scrivere «Bacio a Vostra Signoria le mani e le auguro la buona Pasqua e i buoni tortellini» (Rossi 1901, vol. 1 p. 24). Fu proprio ispirandosi al poema di Tassoni che Giuseppe Ceri (1839-1925), architetto di origine toscana trapiantato a Bologna, scrisse L’ombelico di Venere, un poemetto dedicato proprio all’invenzione del tortellino. Pubblicato per la prima volta nel 1908, in un volume intitolato La secchia: contiene sonetti burleschi inediti del Tassone e molte invenzioni piacevoli e curiose, vagamente illustrate (a cura di Olindo Guerrini), in cui il testo originario del Tassoni si mischiava alle invenzioni di altri autori ispirate ad esso, è stato talvolta considerato parte del poema originario pur non essendolo. Il Ceri si sofferma sulla sosta di Venere, accennata da Tassoni nel canto secondo Secchia, presso un’osteria a Castelfranco Emilia, al confine tra i territori delle due città. La dea dell’amore, dopo essersi intrattenuta per tutta la notte con Marte e Bacco, si risveglia sola nel letto. Stizzita, chiama l’oste e gli chiede dove siano finiti i suoi due accompagnatori. L’oste la rassicura sul fatto che sarebbero stati presto di ritorno. Venere si rasserena… Poi con gran meraviglia Dell’oste lì presente Come se fosse sola, Le candide lenzuola Spinse in mezzo alla stanza, Le belle gambe stese, Dall’ampio letto scese Con un salto sì poco misurato Che sollevandosi la camicia bianca, Poco più su dell’anca, Onde l’oste felice (Lo dico o non lo dico?) Di Venere mirò il divin bellico! Ma l’oste, chiaramente, è un virtuoso, e non ha pensieri lascivi: Anzi un’idea soavemente casta D’imitar quel bellico con la pasta Gli balenò nel capo; Scende in cucina… E da una sfoglia fresca Che la vecchia fantesca Stava stendendo sovra d’un tagliere, Un piccolo e ritondo pezzo tolse, Che poi sul dito avvolse In mille e mille forme Tentando d’imitare Quel bellico divino e singolare. E l’oste ch’era guercio e bolognese, Imitando di Venere il bellico L’arte di fare il tortellino apprese! Dunque, per Ceri l’invenzione del tortellino sarebbe bolognese e sarebbe stata ispirata dalla visione del divino ombelico. Simile anche la storia narrata da Ostilio Lucarini nella commedia in tre atti Quéll ch’ha inventá i turtlein, rappresentata per la prima volta il 3 dicembre 1925 al Teatro del Corso di Bologna: questa volta è il cuoco Pirulein che, entrato per sbaglio nella stanza della giovane padrona dormiente, rimane affascinato dalla forma del suo ombelico e tenterà di riprodurlo. Le tracce nella storia reale Queste sono solo alcune delle leggende che accostano la nascita del tortellino all’ombelico femminile; ma abbandonando l’ambito del mito, molte fonti che vogliono ricostruire la storia di questa specialità individuano una delle prime attestazioni del tortellino, o meglio, del tortello, in un testo del XII secolo: «Consuetudinem Tortellorum ad Natale, et ovorum ad Pascha reddent hospites S. Juliani» (Du Cange et al., Glossarium mediæ et infimæ latinitatis, Niort, L. Favre, 1883-1887, sottolemma Tortellus); non è chiaro, però, se il tortellus medievale corrispondesse all’odierno tortellino. Indirettamente, anche Boccaccio fa riferimenti ai tortellini senza nominarli: siamo nella terza novella dell’ottava giornata del Decameron, intitolata Calandrino e l’elitropia; Maso del Saggio descrive a Calandrino la contrada di Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevasi un'oca a denaio e un papero giunta; ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi […] Osservato che è ben singolare cuocere i maccheroni nel brodo, alcuni hanno pensato che Boccaccio si potesse riferire a tortellini e ravioli, più che ai maccheroni; in ogni caso, è chiaro il riferimento a qualche varietà di pasta ripiena. La prima, vera ricetta di un piatto molto simile a quello che possiamo consumare oggi si rintraccia nel Libro di cucina o libro per cuoco di Anonimo Veneziano (sec. XIV-XV), ristampato nel 1899 con il titolo di Libro di cucina del secolo IV (a cura di Ludovico Frati, Livorno, Giusti): è la ricetta numero XCVI (p. 50), “Torteleti de enula”, dove l’enula è l’Enula campana (nome scientifico Inula helenium), una pianta erbacea, perenne, a fiori gialli, molto diffusa in Emilia, e usata per insaporire il ripieno: Se tu voy fare torteleti de enula con brodo, toy caponi o tuo’ de la carne del bo per XII persone […] e po fay i tortelli pizenini in fogli de pasta zalla. La “minestra de torteleti” compare poi tra i piatti serviti a sedici Tribuni della Plebe durante un pranzo, secondo quanto registrato nel Diario del Senato di Bologna della prima metà del ’500. Nel secolo successivo Vincenzo Tanara, nell’Economia del cittadino in Villa (Bologna, 1644, qui nell’edizione veneziana del 1658), cita i «tortellini cotti in butiro» (p. 583), ovvero nel burro. Avvicinandosi ai giorni nostri, le testimonianze si moltiplicano. Li troviamo in Carducci: «Ecco la tavola ove abbiamo mangiato gli ottimi tortellini e le stupende bestiuole stupendamente cucinate dalla mia cittadina domestica, la Annunziata» (1949: 98), ne scrive Montale: «Caro Bobi, tra l’ingestione e la digestione di un piatto di tortellini inaffiati di Chianti ho scritto rapidissimamente l’‘Elegia di Pico’ che ti accludo» (1976: 93). Nella storia lunga e complessa dei tortellini occorre tenere conto del fatto che il loro debutto sul palcoscenico internazionale dovette aspettare l’avvento di tecniche di conservazione più raffinate: i fratelli Bertagni (Luigi, Ferdinando e Oreste), dell’omonimo pastificio, riescono, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, ad allungare la “vita” media del tortellino tramite l'essiccazione, riuscendo così a trasportarlo ed esportarlo: vincono la medaglia di bronzo all’esposizione universale di Parigi del 1889 e quella d’oro alla Fiera di St. Louis, Missouri, nel 1904: la fama del tortellino varca così l’oceano. I tortellini non potevano non essere inseriti nell’Arte in cucina e la scienza di mangiar bene dell’Artusi sin dalla prima edizione (1891) in almeno due varianti, i tortellini all’italiana (ricetta 8, pp. 9-10) e quelli alla bolognese (ricetta 9, pp. 10-12). In edizioni successive verranno aggiunti anche quelli di carne di piccione. A introduzione della ricetta dei tortellini alla bolognese (p. 10), Artusi scrive: Quando sentite parlare della cucina bolognese fate una riverenza, ché se la merita. È un modo di cucinare un po’ grave, se vogliamo, perché il clima così richiede; ma succulento, di buon gusto e salubre, tanto è vero che colà le longevità di ottanta e novant’anni sono più comuni che altrove. Non riportiamo la ricetta artusiana, ma la sua versione più moderna: infatti, nonostante molti considerino irrisolta la questione della paternità del piatto tra Bologna e Modena, il 7 dicembre 1974 la Dotta Confraternita del Tortellino e l’Accademia Italiana della Cucina hanno registrato, con atto notarile, la ricetta autentica della leccornia. Il 15 aprile 2008 la stessa ricetta, assieme ai disciplinari di produzione del tortellino, sono stati depositati presso la Camera di Commercio di Bologna. La ricetta, la cui pergamena ufficiale è consultabile all’indirizzo http://www.confraternitadeltortellino.it/pdf/pergamena_ricetta-ufficiale.pdf, è la seguente: Per 1.000 Tortellini: La sfoglia: Pasta fresca gialla preparata con 3 uova e 3 etti di farina Il ripieno: 300 gr. di lombo di maiale rosolato al burro, 300 gr. prosciutto crudo, 300 gr. vera Mortadella di Bologna, 400 gr. formaggio Parmigiano-Reggiano, 3 uova, 1 noce moscata Il brodo: 1 kg di carne di manzo (doppione); 1/2 gallina ruspante; sedano, carota, cipolla, sale Preparare il ripieno dei tortellini macinando molto finemente la carne e incorporarvi le uova, il Parmigiano, la noce moscata. Il composto così preparato va lasciato riposare almeno 12 ore in frigorifero. TORTELLINI IN BRODO Preparare il brodo mettendo la carne e la mezza gallina in una pentola con 4 litri d’acqua fredda e portarla ad ebollizione, quindi togliere con la schiumarola la schiuma formatasi sull’acqua, aggiungere le verdure, aggiustare di sale e fare bollire molto lentamente per almeno 3 ore. Preparare i tortellini stendendo la pasta sul tagliere di legno con il matterello fino a renderla molto sottile, tagliare dei quadretti di circa 3 centimetri di lato, al centro di ogni quadratino collocarvi una noce di ripieno, quindi piegare la pasta a triangolo facendo combaciare i lati, piegare il triangolo così ottenuto girandolo attorno al dito e sovrapponendo i due angoli opposti, premere il tortellino in modo che la pasta si attacchi saldamente e il tortellino rimanga in forma. Man mano che saranno pronti riporli su un ripiano. Scolare il brodo dalla carne e portarlo di nuovo ad ebollizione, poi tuffarvi i tortellini piano piano e lasciarli cuocere a fuoco medio per almeno 3/4 minuti, prima di servire caldissimi con abbondante Parmigiano grattugiato al momento. Possiamo ancora chiederci quale sia la vera storia del tortellino, ma una cosa è certa: è talmente radicato sul territorio da ricorrere anche in diversi proverbi della zona, come questo: Dona giuvna, vëin, turtél e va là che’l mond l’è bèl. [Donna giovane, vino, tortellini e dai che il mondo è bello]. E come dargli torto? Vera Gheno Bibliografia Artusi Pellegrino, 2011, La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, ristampa anastatica della prima edizione 1891, Firenze, Giunti. Carducci Giosuè, 1949, Lettere vol. 12: 1878-1880, Bologna, Zanichelli. Du Cange Charles Du Fresne et al., 1883-1887, Glossarium mediæ et infimæ latinitatis, Niort, L. Favre. Frati Ludovico, 1899, Libro di cucina del secolo IV, Livorno, Giusti. Haller Hermann W. (a cura di), 2013, edizione critica di John Florio, 1598, A Worlde of Wordes, Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press. Montale Eugenio, 1976, Sulla Poesia, Milano, Mondadori. AA.VV., 1908, La secchia : contiene sonetti burleschi inediti del Tassone e molte invenzioni piacevoli e curiose, vagamente illustrate, edite per la famosa festa mutino-bononiense del 31 maggio 1908, prefazione di Olindo Guerrini, Bologna-Modena, A. F. Formiggini. Tanara Vincenzo, 1658 (1644), Economia del cittadino in Villa, Venezia, appresso i Bertani. Tassoni Alessandro, 1806, La secchia rapita, con la vita e con le note compilate da Robustiano Gironi, Milano, Società Tipografica de’ Classici Italiani. Tassoni Alessandro, 1901, Le lettere, a cura di G. Rossi, 2 voll., Bologna. Vocabolario Treccani on line, http://www.treccani.it/vocabolario/.I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.