La storia di Firenze nella prima metà del Trecento fu condizionata dalle conseguenze della discontinuità profonda introdotta nel quadro politico italiano dall’alleanza tra papato e regno di Francia per contrastare l’egemonia imperiale, culminata con il dominio di Federico II. Sotto l’egida dei pontefici francesi Urbano IV e Clemente IV, e finanziata dalle compagnie bancarie toscane, la conquista militare del regno di Sicilia da parte di Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX, pose fine alla dinastia sveva tra 1266 e 1268 e segnò l’inizio di una lunga fase politica caratterizzata dal predominio dello schieramento guelfo e dal declino della presenza imperiale nella penisola. Di questo asse Firenze costituì uno dei pilastri, per la collocazione strategica della città e per la floridezza della sua economia: l’interesse, per i suoi mercanti, era dato dalla possibilità di saldare gli affari nel Mediterraneo con quelli nel bacino del Mare del Nord; negli ultimi decenni del Duecento alcune compagnie finanziarie si affermarono a livello internazionale come grandi anticipatrici di capitali, annoverando tra i propri clienti il papa e i sovrani di Francia, Sicilia e Inghilterra. Se si tengono presenti questi scenari si possono comprendere meglio alcuni fenomeni che caratterizzarono il sistema politico fiorentino tra Due e Trecento. In primo luogo la stabile gravitazione della città nello schieramento guelfo anche nei momenti in cui gli imperatori si riaffacciarono nello scenario italico. Più che con il papato – con il quale non mancarono attriti, in particolare quando Bonifacio VIII coltivò il progetto di estendere il dominio pontificio alla Tuscia – il rapporto privilegiato fu intrattenuto nel tempo con gli Angiò. Firenze appartenne durevolmente all’area di influenza angioina: tra il 1267 e il 1343, per circa 26 anni su 77 la città si diede in signoria ai sovrani o ai loro rappresentanti (a Carlo dal 1267 al 1279, a Roberto dal 1313 al 1322, a suo figlio Carlo dal 1326 al 1328 e a Gualtieri di Brienne tra 1342 e 1343). Queste esperienze signorili differirono rispetto a quelle prevalenti nelle altre città, dove a insignorirsi erano dei cittadini che appartenevano alla comunità: nondimeno esse rappresentarono delle cesure significative sul piano istituzionale interno, perché privarono la cittadinanza della facoltà di scegliere i propri rettori (podestà e capitani del popolo), sostituiti da ufficiali di nomina regia, e obbligarono il Comune a tributi onerosi.

Firenze dalla condanna di Dante alla cacciata del Duca d'Atene / Zorzi Andrea. - STAMPA. - (2021), pp. 49-57.

Firenze dalla condanna di Dante alla cacciata del Duca d'Atene

Zorzi Andrea
2021

Abstract

La storia di Firenze nella prima metà del Trecento fu condizionata dalle conseguenze della discontinuità profonda introdotta nel quadro politico italiano dall’alleanza tra papato e regno di Francia per contrastare l’egemonia imperiale, culminata con il dominio di Federico II. Sotto l’egida dei pontefici francesi Urbano IV e Clemente IV, e finanziata dalle compagnie bancarie toscane, la conquista militare del regno di Sicilia da parte di Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX, pose fine alla dinastia sveva tra 1266 e 1268 e segnò l’inizio di una lunga fase politica caratterizzata dal predominio dello schieramento guelfo e dal declino della presenza imperiale nella penisola. Di questo asse Firenze costituì uno dei pilastri, per la collocazione strategica della città e per la floridezza della sua economia: l’interesse, per i suoi mercanti, era dato dalla possibilità di saldare gli affari nel Mediterraneo con quelli nel bacino del Mare del Nord; negli ultimi decenni del Duecento alcune compagnie finanziarie si affermarono a livello internazionale come grandi anticipatrici di capitali, annoverando tra i propri clienti il papa e i sovrani di Francia, Sicilia e Inghilterra. Se si tengono presenti questi scenari si possono comprendere meglio alcuni fenomeni che caratterizzarono il sistema politico fiorentino tra Due e Trecento. In primo luogo la stabile gravitazione della città nello schieramento guelfo anche nei momenti in cui gli imperatori si riaffacciarono nello scenario italico. Più che con il papato – con il quale non mancarono attriti, in particolare quando Bonifacio VIII coltivò il progetto di estendere il dominio pontificio alla Tuscia – il rapporto privilegiato fu intrattenuto nel tempo con gli Angiò. Firenze appartenne durevolmente all’area di influenza angioina: tra il 1267 e il 1343, per circa 26 anni su 77 la città si diede in signoria ai sovrani o ai loro rappresentanti (a Carlo dal 1267 al 1279, a Roberto dal 1313 al 1322, a suo figlio Carlo dal 1326 al 1328 e a Gualtieri di Brienne tra 1342 e 1343). Queste esperienze signorili differirono rispetto a quelle prevalenti nelle altre città, dove a insignorirsi erano dei cittadini che appartenevano alla comunità: nondimeno esse rappresentarono delle cesure significative sul piano istituzionale interno, perché privarono la cittadinanza della facoltà di scegliere i propri rettori (podestà e capitani del popolo), sostituiti da ufficiali di nomina regia, e obbligarono il Comune a tributi onerosi.
2021
Mandragora
Firenze
L. Azzetta, S. Chiodo, T. De Robertis
«Onorevole e antico cittadino di Firenze». Il Bargello per Dante, catalogo della mostra (Firenze, Museo Nazionale del Bargello, 21 aprile-31 luglio 2021)
Zorzi Andrea
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