Questo lavoro indaga le conseguenze che i contatti con le popolazioni indigene del Nord America hanno avuto sull’idea di tempo storico nella coscienza europea nel Settecento. Sullo sfondo della fortuna storiografica di cui hanno goduto le teorizzazioni di progresso con cui la cultura del Vecchio Mondo ha ipostatizzato nelle società del globo diversi stadi nello sviluppo dell’umanità, il corpus primario preso in esame è costituito da resoconti di viaggio, relazioni, trattazioni basate su un’osservazione diretta. Scopo di questa scelta è aggiungere, all’attenzione di cui hanno goduto il pensiero e la scrittura storico-filosofici e storico-eruditi, il tassello complementare degli usi culturali di date idee di tempo nel quadro dell’incontro concreto con l’alterità umana nordamericana. Questa prospettiva permette di mettere a fuoco e problematizzare l’interazione che le rappresentazioni basate su esperienze di prima mano rivelano tra palinsesto culturale preesistente e validazione empirica della conoscenza. L’identificazione di un’umanità percepita come differente da sé con i propri progenitori, tropo comune sin dalla prima età moderna - tra addomesticamento concettuale di una differenza radicale, proiezioni geografiche di un’età dell’oro, e stratificazione di convenzioni testuali e figurative - nei resoconti settecenteschi sfuma in un quadro contraddittorio. La distribuzione delle civiltà secondo fasi di sviluppo interagisce con una curiosità di marca proto-etnografica e filosofica per la varietà delle forme di organizzazione politica e sociale, che possono divenire per l’osservatore termini di paragone con cui confrontare la propria società di provenienza. Il mito del buon selvaggio può, nel viaggiatore, fornire una sponda critica alla riflessione sul mondo coloniale e al contempo sgretolarsi nel constatare la complessità delle società “altre”, nelle loro articolazioni interne e diacroniche. Quadranti geografici e politici gravidi di contatti interculturali si strutturano attorno a tre baricentri principali, dove si concentrano le interazioni descritte dalle fonti primarie. Un polo settentrionale atlantico - l’area costiera di più antica colonizzazione francese e britannica e la zona dei Grandi Laghi a cavallo tra gli attuali Stati Uniti e Canada - è sede di intensi traffici commerciali e di aspri confitti franco-inglesi, quindi anglo-americani nella seconda parte del secolo, che coinvolgono a molti livelli le Prime Nazioni. Anche in un’ampia area atlantica meridionale - tra le attuali Virginia e Florida e nel retrostante entroterra tra Appalachi e grandi pianure, dove nel corso del secolo la presenza europea si espande - le popolazioni native sono legate in maniera crescente alle società coloniali da rapporti economici, e da mutevoli alleanze nel quadro della competizione tra britannici francesi e spagnoli. Lungo l’attuale costa canadese e il golfo dell’Alaska, si crea una zona di incontro settentrionale pacifica a partire dagli anni Settanta del secolo con le rotte commerciali dirette verso l’Asia aperte dalle spedizioni spagnole e britanniche, che portano gli europei a intrattenere contatti e scambi con le popolazioni native di queste latitudini, e tracce dirette e indirette della presenza russa. Il corpus primario è cronologicamente racchiuso tra il successo editoriale dei viaggi del barone di Lahontan - svolti negli anni Ottanta del Seicento, dati alle stampe nel 1703 - e la spedizione di Lewis e Clark voluta da Thomas Jefferson, che apre il secolo decimonono partendo dall’entroterra orientale per raggiungere la costa pacifica superando la dorsale continentale. Resoconti e relazioni di 'policymakers' come Cadwallader Colden e 'surveyors' come John Lawson, di esploratori con interessi scientifici come William Bartram e Bernard Romans, o militari come Jonathan Carver e Henry Timberlake, 'fur traders' come Alexander Henry, James Adair, John Long sono messe in relazione con precedenti francesi come le storie e cronache di Bacqueville de la Potherie e Pierre-François-Xavier de Charlevoix e analizzati come parte di una più ampia storia dell’incontro culturale euro-americano di cui il (lungo) Settecento rappresenta un capitolo particolare. La prefazione che apre il lavoro è dedicata a delineare la scelta dell’oggetto di ricerca e motivare la circoscrizione del corpus primario. L’introduzione che segue illustra i quadri storiografici di riferimento, con riguardo soprattutto a studi di storia culturale del tempo e storia dell’incontro europeo con il resto del globo. Il primo capitolo è dedicato alle caratteristiche testuali del corpus primario e alla loro collocazione entro circuiti comunicativi e progetti politici coevi. Ciò consente di rilevare legami profondi tra costruzioni discorsive e imperiali, chiarendo lo sfondo su cui vengono elaborate le forme di conoscenza dell’alterità americana approfondite nei capitoli successivi. Alcuni capisaldi della storicizzazione delle popolazioni americane sono affrontati nel secondo capitolo, con particolare riguardo all’applicazione di concetti di lungo corso al caso nordamericano e a ciò che ne distingue l’impiego nel Settecento. Alcuni temi e fenomeni legati all’osservazione delle società fungono da lievito per la speculazione sul passato: l’idea della contaminazione culturale che si è accompagnata alla presenza europea, la percezione di un’estinzione in corso a causa delle epidemie di malattie sconosciute secoli o decenni addietro, la categorizzazione dei ruoli di genere, luogo per eccellenza di interazioni profonde tra costruzioni discorsive e dinamiche di potere. La conoscenza storico-geografica delle società americane funziona come arena in cui diverse istanze imperiali competono per l’acquisizione di una supremazia culturale oltre che politica, economica e militare. Il terzo capitolo esplora la consapevolezza di tale competizione da parte di testimoni anglofoni, con particolare riferimento a concorrenti principalmente francofoni e russi. Il quarto capitolo è dedicato ad approfondire due casi particolari: l’opera storica di James Adair e il resoconto del terzo viaggio di James Cook. Distanti tra loro per contesto genetico - faticosamente auto-finanziata con sottoscrizioni la 'History' del 'fur trader' Adair, voluto dall’Ammiragliato britannico il lussuoso 'account' ufficiale dell’ultimo viaggio del più celebre esploratore inglese del Pacifico - si tratta di due casi particolarmente adatti a discutere un tema che percorre obliquamente tutto questo lavoro: il rapporto tra esperienza e fonti libresche nella storicizzazione dell’“altro” e la natura testuale-discorsiva del sapere storico che viene così costruito. Quinto e sesto capitolo esplorano la storicizzazione dell’uomo americano sul terreno linguistico e comunicativo. Rispettivamente approfondendo figure e processi della mediazione linguistico-culturale e compilazioni di vocaboli ed espressioni in traduzione, fanno luce sulla comunicazione verbale come canale di gerarchizzazione storica e disquisizione genealogica, e come elemento nei dibattiti sulle origini e sulla natura razionale dei popoli americani, nel quadro degli approcci sistematico-comparativi e delle curiosità proto-etnografiche che caratterizzano il diciottesimo secolo. Il settimo capitolo proietta sul tempo a venire il tema dell’uomo americano visto in qualità di lacerto del passato, esplorando i risvolti di una concezione eliotropica della civilizzazione. La speculazione riguardo al futuro diviene un banco di prova di nuove epistemologie e metodologie del sapere storico, di dati modi di concepire la linearità temporale e i nessi causali, si presenti essa in forma di previsione o di costruzione fantastica che fornisce all’idea politica un laboratorio virtuale. Dopo la sezione conclusiva dedicata a riassumere i contributi originali del lavoro, la bibliografia è articolata in sezioni dedicate a fonti primarie e secondarie ed è seguita da una sitografia. Gli osservatori attribuiscono alle società native una manchevolezza di strumenti credibili di conoscenza del mondo e del tempo, dando corpo e contribuendo, con la loro scrittura, a più ampi processi di agglutinamento di un sistema disciplinare che è globale e universalistico nelle sue ambizioni ma di marca eurocentrica nelle sue fondazioni epistemologiche. Passato e futuro delle società native divengono oggetti di appropriazione discorsiva, e costruendo questi discorsi, i viaggiatori partecipano con consapevolezza se non necessariamente a un movimento di gerarchizzazione storica, a progetti più ampi di raccolta e sistemazione di conoscenze europeo. ABSTRACT Titled 'Geographies of Time: Travels among indigenous peoples, human otherness, and the conceptualisation of historical time in the eighteenth century between Europe and North America', this research investigates the consequences that contact with the indigenous peoples of North America had on the idea of historical time in the eighteenth-century European mind. Against the backdrop of the historiography devoted to the theories of progress with which the culture of the Old World hypostatised in the societies of the globe different stages in the development of humanity, the primary corpus of this study consists of travel accounts, reports, and treatises based on direct observation. The purpose of this choice is to add, to the attention enjoyed by historical-philosophical and erudite thought and writing, the complementary exploration of the cultural uses of given ideas of time in the context of the encounter with North American human otherness. This perspective allows us to focus on and problematise the interplay that representations based on first-hand experiences reveal between pre-existing cultural palimpsest and empirical validation of knowledge. The identification of a humanity perceived as different from oneself with one’s own ancestors has been a common trope since the early modern age - between conceptual domestication of a radical difference, geographical projections of a golden age, and stratification of textual and figurative conventions. In eighteenth-century accounts this 'topos' fades into a complex and contradictory picture. The distribution of civilisations according to phases of development interacts with a proto-anthropological curiosity for the variety of political and social organisations, which may be exploited by the European observer as terms of comparison with which to call into question his own society of origin. The myth of the “noble savage” could inspire reflection on the colonial world and, at the same time, dissolve in the observation of the complex articulations and histories of “other” societies in their diversity. The interactions described by the primary sources are concentrated in geographical and political scenarios with three main focal points. A northern Atlantic pole - the coastal area of more ancient French and British colonisation and the Great Lakes area straddling the present-day United States and Canada - was the site of intense trade and Franco-English, then Anglo-American conflicts in the second half of the century, involving First Nations at many levels. In a vast southern Atlantic area - between present-day Virginia and Florida and in between the Appalachians and the Great Plains, where the European presence expanded during the century - native peoples were increasingly linked to colonial societies by economic relations, and by shifting alliances as part of the competition between the British, French and Spanish. Along the present Canadian coast and the Gulf of Alaska contacts increased from the 1770s onwards, with the trade routes to Asia opened up by Spanish and British expeditions, leading to exchange between Europeans and native peoples at these latitudes, and bearing direct and indirect traces of the Russian presence. The primary corpus is chronologically enclosed between the editorial success of Baron Lahontan’s voyages - undertaken in the 1680s and given to print in 1703 - and the Lewis and Clark expedition promoted by Thomas Jefferson, which opened the nineteenth century, starting from the eastern inland territories and reaching the Pacific coast. Accounts and reports written by policy makers such as Cadwallader Colden and surveyors such as John Lawson, by explorers with scientific interests such as William Bartram and Bernard Romans, or with military ones such as Jonathan Carver and Henry Timberlake, by fur traders such as Alexander Henry, James Adair, John Long are analysed in their connections with French precedents such as the histories and chronicles by Bacqueville de la Potherie and Pierre-François-Xavier de Charlevoix, and as part of a wider history of the Euro-American cultural encounter of which the (long) eighteenth century represents a particular chapter. The preface that opens the work is dedicated to outlining the research central questions and primary corpus. The introduction that follows delineates the historiographical framework within which this work is situated, with particular regard to the cultural history of time and the history of the European encounters with the rest of the globe. The first chapter is devoted to outlining the textual characteristics of primary sources and their place within coeval communicative circuits and political projects. This allows to lay bare deep connections between discursive and imperial constructions, clarifying the background against which the forms of knowledge of American otherness elaborated in the following chapters took shape. Some key issues in the historicisation of American populations are addressed in the second chapter, focussing on the application of pre-existing concepts to the North American case and what distinguished their use in the Eighteenth century. A number of themes linked to the observation of societies stimulates speculation on the past: the idea of a cultural contamination brought by the European presence, the perception of an ongoing extinction due to diseases unknown in North America before the arrival of the Europeans, and the categorisation of gender roles - a place par excellence of deep interactions between discursive constructions and power dynamics. Historical-geographical knowledge of American societies functioned as an arena in which different colonial projects competed for the acquisition of cultural as well as political, economic, and military supremacy. The third chapter explores Anglophone witnesses’ awareness of such competition, with particular reference to Francophone and Russian contenders. The fourth chapter is devoted to examining two particular cases: the historical work of James Adair and the account of James Cook’s third voyage. Different from each other in terms of genetic context - Adair’s 'History' was laboriously self-financed with subscriptions, the British Admiralty commissioned the official account of the last voyage of the most famous English explorer of the Pacific - these two case studies are particularly suited to discuss a theme that runs through all this work: the relationship between experience and secondary sources in the historicisation of the “other”, and the textual-discursive nature of the historical knowledge thus constructed. Chapters five and six explore the historicisation of the American humanity on a linguistic and communicative level. Respectively delving into figures and processes of linguistic-cultural mediation and compilations of vocabularies and expressions in translation, they shed light on verbal communication as a means of historical hierarchisation and genealogical disquisition, and as an element in debates about the origins and rational nature of American indigenous peoples, in the context of the systematic-comparative approaches and proto-ethnographic curiosities that characterised the Eighteenth century. The seventh chapter projects the theme of American indigenous peoples seen as a fragment of the past onto the time to come, exploring the implications of a heliotropic idea of civilisation. The speculation about the future became an arena in which new epistemologies and methodologies of historical knowledge were tested, laying bare new conceptions of temporal linearity and causal links, and - whether in predictions or fantastic constructions - providing a virtual laboratory to demonstrate political theses. After the concluding section, devoted to summarising the research’s main original findings, the bibliography is divided into sections devoted to primary and secondary sources and it is followed by a sitography. Eighteenth-century observers attributed to native societies a lack of credible tools to understand the world and historical time, giving substance and contributing, with their writing, to wider processes of agglutination of a disciplinary system that was global and universalistic in its ambitions but Eurocentric in its epistemological foundations. The past and future of native societies became objects of discursive appropriation, and by constructing these discourses, travellers consciously participate, if not necessarily in a movement of historical hierarchisation, in broader projects of collecting and systematising European knowledge.

Geografie del tempo. Viaggi tra i popoli nativi, esperienze di alterità e concettualizzazioni del tempo storico nel lungo Settecento tra Europa e Nord America / Giulia Iannuzzi. - (2022).

Geografie del tempo. Viaggi tra i popoli nativi, esperienze di alterità e concettualizzazioni del tempo storico nel lungo Settecento tra Europa e Nord America

Giulia Iannuzzi
2022

Abstract

Questo lavoro indaga le conseguenze che i contatti con le popolazioni indigene del Nord America hanno avuto sull’idea di tempo storico nella coscienza europea nel Settecento. Sullo sfondo della fortuna storiografica di cui hanno goduto le teorizzazioni di progresso con cui la cultura del Vecchio Mondo ha ipostatizzato nelle società del globo diversi stadi nello sviluppo dell’umanità, il corpus primario preso in esame è costituito da resoconti di viaggio, relazioni, trattazioni basate su un’osservazione diretta. Scopo di questa scelta è aggiungere, all’attenzione di cui hanno goduto il pensiero e la scrittura storico-filosofici e storico-eruditi, il tassello complementare degli usi culturali di date idee di tempo nel quadro dell’incontro concreto con l’alterità umana nordamericana. Questa prospettiva permette di mettere a fuoco e problematizzare l’interazione che le rappresentazioni basate su esperienze di prima mano rivelano tra palinsesto culturale preesistente e validazione empirica della conoscenza. L’identificazione di un’umanità percepita come differente da sé con i propri progenitori, tropo comune sin dalla prima età moderna - tra addomesticamento concettuale di una differenza radicale, proiezioni geografiche di un’età dell’oro, e stratificazione di convenzioni testuali e figurative - nei resoconti settecenteschi sfuma in un quadro contraddittorio. La distribuzione delle civiltà secondo fasi di sviluppo interagisce con una curiosità di marca proto-etnografica e filosofica per la varietà delle forme di organizzazione politica e sociale, che possono divenire per l’osservatore termini di paragone con cui confrontare la propria società di provenienza. Il mito del buon selvaggio può, nel viaggiatore, fornire una sponda critica alla riflessione sul mondo coloniale e al contempo sgretolarsi nel constatare la complessità delle società “altre”, nelle loro articolazioni interne e diacroniche. Quadranti geografici e politici gravidi di contatti interculturali si strutturano attorno a tre baricentri principali, dove si concentrano le interazioni descritte dalle fonti primarie. Un polo settentrionale atlantico - l’area costiera di più antica colonizzazione francese e britannica e la zona dei Grandi Laghi a cavallo tra gli attuali Stati Uniti e Canada - è sede di intensi traffici commerciali e di aspri confitti franco-inglesi, quindi anglo-americani nella seconda parte del secolo, che coinvolgono a molti livelli le Prime Nazioni. Anche in un’ampia area atlantica meridionale - tra le attuali Virginia e Florida e nel retrostante entroterra tra Appalachi e grandi pianure, dove nel corso del secolo la presenza europea si espande - le popolazioni native sono legate in maniera crescente alle società coloniali da rapporti economici, e da mutevoli alleanze nel quadro della competizione tra britannici francesi e spagnoli. Lungo l’attuale costa canadese e il golfo dell’Alaska, si crea una zona di incontro settentrionale pacifica a partire dagli anni Settanta del secolo con le rotte commerciali dirette verso l’Asia aperte dalle spedizioni spagnole e britanniche, che portano gli europei a intrattenere contatti e scambi con le popolazioni native di queste latitudini, e tracce dirette e indirette della presenza russa. Il corpus primario è cronologicamente racchiuso tra il successo editoriale dei viaggi del barone di Lahontan - svolti negli anni Ottanta del Seicento, dati alle stampe nel 1703 - e la spedizione di Lewis e Clark voluta da Thomas Jefferson, che apre il secolo decimonono partendo dall’entroterra orientale per raggiungere la costa pacifica superando la dorsale continentale. Resoconti e relazioni di 'policymakers' come Cadwallader Colden e 'surveyors' come John Lawson, di esploratori con interessi scientifici come William Bartram e Bernard Romans, o militari come Jonathan Carver e Henry Timberlake, 'fur traders' come Alexander Henry, James Adair, John Long sono messe in relazione con precedenti francesi come le storie e cronache di Bacqueville de la Potherie e Pierre-François-Xavier de Charlevoix e analizzati come parte di una più ampia storia dell’incontro culturale euro-americano di cui il (lungo) Settecento rappresenta un capitolo particolare. La prefazione che apre il lavoro è dedicata a delineare la scelta dell’oggetto di ricerca e motivare la circoscrizione del corpus primario. L’introduzione che segue illustra i quadri storiografici di riferimento, con riguardo soprattutto a studi di storia culturale del tempo e storia dell’incontro europeo con il resto del globo. Il primo capitolo è dedicato alle caratteristiche testuali del corpus primario e alla loro collocazione entro circuiti comunicativi e progetti politici coevi. Ciò consente di rilevare legami profondi tra costruzioni discorsive e imperiali, chiarendo lo sfondo su cui vengono elaborate le forme di conoscenza dell’alterità americana approfondite nei capitoli successivi. Alcuni capisaldi della storicizzazione delle popolazioni americane sono affrontati nel secondo capitolo, con particolare riguardo all’applicazione di concetti di lungo corso al caso nordamericano e a ciò che ne distingue l’impiego nel Settecento. Alcuni temi e fenomeni legati all’osservazione delle società fungono da lievito per la speculazione sul passato: l’idea della contaminazione culturale che si è accompagnata alla presenza europea, la percezione di un’estinzione in corso a causa delle epidemie di malattie sconosciute secoli o decenni addietro, la categorizzazione dei ruoli di genere, luogo per eccellenza di interazioni profonde tra costruzioni discorsive e dinamiche di potere. La conoscenza storico-geografica delle società americane funziona come arena in cui diverse istanze imperiali competono per l’acquisizione di una supremazia culturale oltre che politica, economica e militare. Il terzo capitolo esplora la consapevolezza di tale competizione da parte di testimoni anglofoni, con particolare riferimento a concorrenti principalmente francofoni e russi. Il quarto capitolo è dedicato ad approfondire due casi particolari: l’opera storica di James Adair e il resoconto del terzo viaggio di James Cook. Distanti tra loro per contesto genetico - faticosamente auto-finanziata con sottoscrizioni la 'History' del 'fur trader' Adair, voluto dall’Ammiragliato britannico il lussuoso 'account' ufficiale dell’ultimo viaggio del più celebre esploratore inglese del Pacifico - si tratta di due casi particolarmente adatti a discutere un tema che percorre obliquamente tutto questo lavoro: il rapporto tra esperienza e fonti libresche nella storicizzazione dell’“altro” e la natura testuale-discorsiva del sapere storico che viene così costruito. Quinto e sesto capitolo esplorano la storicizzazione dell’uomo americano sul terreno linguistico e comunicativo. Rispettivamente approfondendo figure e processi della mediazione linguistico-culturale e compilazioni di vocaboli ed espressioni in traduzione, fanno luce sulla comunicazione verbale come canale di gerarchizzazione storica e disquisizione genealogica, e come elemento nei dibattiti sulle origini e sulla natura razionale dei popoli americani, nel quadro degli approcci sistematico-comparativi e delle curiosità proto-etnografiche che caratterizzano il diciottesimo secolo. Il settimo capitolo proietta sul tempo a venire il tema dell’uomo americano visto in qualità di lacerto del passato, esplorando i risvolti di una concezione eliotropica della civilizzazione. La speculazione riguardo al futuro diviene un banco di prova di nuove epistemologie e metodologie del sapere storico, di dati modi di concepire la linearità temporale e i nessi causali, si presenti essa in forma di previsione o di costruzione fantastica che fornisce all’idea politica un laboratorio virtuale. Dopo la sezione conclusiva dedicata a riassumere i contributi originali del lavoro, la bibliografia è articolata in sezioni dedicate a fonti primarie e secondarie ed è seguita da una sitografia. Gli osservatori attribuiscono alle società native una manchevolezza di strumenti credibili di conoscenza del mondo e del tempo, dando corpo e contribuendo, con la loro scrittura, a più ampi processi di agglutinamento di un sistema disciplinare che è globale e universalistico nelle sue ambizioni ma di marca eurocentrica nelle sue fondazioni epistemologiche. Passato e futuro delle società native divengono oggetti di appropriazione discorsiva, e costruendo questi discorsi, i viaggiatori partecipano con consapevolezza se non necessariamente a un movimento di gerarchizzazione storica, a progetti più ampi di raccolta e sistemazione di conoscenze europeo. ABSTRACT Titled 'Geographies of Time: Travels among indigenous peoples, human otherness, and the conceptualisation of historical time in the eighteenth century between Europe and North America', this research investigates the consequences that contact with the indigenous peoples of North America had on the idea of historical time in the eighteenth-century European mind. Against the backdrop of the historiography devoted to the theories of progress with which the culture of the Old World hypostatised in the societies of the globe different stages in the development of humanity, the primary corpus of this study consists of travel accounts, reports, and treatises based on direct observation. The purpose of this choice is to add, to the attention enjoyed by historical-philosophical and erudite thought and writing, the complementary exploration of the cultural uses of given ideas of time in the context of the encounter with North American human otherness. This perspective allows us to focus on and problematise the interplay that representations based on first-hand experiences reveal between pre-existing cultural palimpsest and empirical validation of knowledge. The identification of a humanity perceived as different from oneself with one’s own ancestors has been a common trope since the early modern age - between conceptual domestication of a radical difference, geographical projections of a golden age, and stratification of textual and figurative conventions. In eighteenth-century accounts this 'topos' fades into a complex and contradictory picture. The distribution of civilisations according to phases of development interacts with a proto-anthropological curiosity for the variety of political and social organisations, which may be exploited by the European observer as terms of comparison with which to call into question his own society of origin. The myth of the “noble savage” could inspire reflection on the colonial world and, at the same time, dissolve in the observation of the complex articulations and histories of “other” societies in their diversity. The interactions described by the primary sources are concentrated in geographical and political scenarios with three main focal points. A northern Atlantic pole - the coastal area of more ancient French and British colonisation and the Great Lakes area straddling the present-day United States and Canada - was the site of intense trade and Franco-English, then Anglo-American conflicts in the second half of the century, involving First Nations at many levels. In a vast southern Atlantic area - between present-day Virginia and Florida and in between the Appalachians and the Great Plains, where the European presence expanded during the century - native peoples were increasingly linked to colonial societies by economic relations, and by shifting alliances as part of the competition between the British, French and Spanish. Along the present Canadian coast and the Gulf of Alaska contacts increased from the 1770s onwards, with the trade routes to Asia opened up by Spanish and British expeditions, leading to exchange between Europeans and native peoples at these latitudes, and bearing direct and indirect traces of the Russian presence. The primary corpus is chronologically enclosed between the editorial success of Baron Lahontan’s voyages - undertaken in the 1680s and given to print in 1703 - and the Lewis and Clark expedition promoted by Thomas Jefferson, which opened the nineteenth century, starting from the eastern inland territories and reaching the Pacific coast. Accounts and reports written by policy makers such as Cadwallader Colden and surveyors such as John Lawson, by explorers with scientific interests such as William Bartram and Bernard Romans, or with military ones such as Jonathan Carver and Henry Timberlake, by fur traders such as Alexander Henry, James Adair, John Long are analysed in their connections with French precedents such as the histories and chronicles by Bacqueville de la Potherie and Pierre-François-Xavier de Charlevoix, and as part of a wider history of the Euro-American cultural encounter of which the (long) eighteenth century represents a particular chapter. The preface that opens the work is dedicated to outlining the research central questions and primary corpus. The introduction that follows delineates the historiographical framework within which this work is situated, with particular regard to the cultural history of time and the history of the European encounters with the rest of the globe. The first chapter is devoted to outlining the textual characteristics of primary sources and their place within coeval communicative circuits and political projects. This allows to lay bare deep connections between discursive and imperial constructions, clarifying the background against which the forms of knowledge of American otherness elaborated in the following chapters took shape. Some key issues in the historicisation of American populations are addressed in the second chapter, focussing on the application of pre-existing concepts to the North American case and what distinguished their use in the Eighteenth century. A number of themes linked to the observation of societies stimulates speculation on the past: the idea of a cultural contamination brought by the European presence, the perception of an ongoing extinction due to diseases unknown in North America before the arrival of the Europeans, and the categorisation of gender roles - a place par excellence of deep interactions between discursive constructions and power dynamics. Historical-geographical knowledge of American societies functioned as an arena in which different colonial projects competed for the acquisition of cultural as well as political, economic, and military supremacy. The third chapter explores Anglophone witnesses’ awareness of such competition, with particular reference to Francophone and Russian contenders. The fourth chapter is devoted to examining two particular cases: the historical work of James Adair and the account of James Cook’s third voyage. Different from each other in terms of genetic context - Adair’s 'History' was laboriously self-financed with subscriptions, the British Admiralty commissioned the official account of the last voyage of the most famous English explorer of the Pacific - these two case studies are particularly suited to discuss a theme that runs through all this work: the relationship between experience and secondary sources in the historicisation of the “other”, and the textual-discursive nature of the historical knowledge thus constructed. Chapters five and six explore the historicisation of the American humanity on a linguistic and communicative level. Respectively delving into figures and processes of linguistic-cultural mediation and compilations of vocabularies and expressions in translation, they shed light on verbal communication as a means of historical hierarchisation and genealogical disquisition, and as an element in debates about the origins and rational nature of American indigenous peoples, in the context of the systematic-comparative approaches and proto-ethnographic curiosities that characterised the Eighteenth century. The seventh chapter projects the theme of American indigenous peoples seen as a fragment of the past onto the time to come, exploring the implications of a heliotropic idea of civilisation. The speculation about the future became an arena in which new epistemologies and methodologies of historical knowledge were tested, laying bare new conceptions of temporal linearity and causal links, and - whether in predictions or fantastic constructions - providing a virtual laboratory to demonstrate political theses. After the concluding section, devoted to summarising the research’s main original findings, the bibliography is divided into sections devoted to primary and secondary sources and it is followed by a sitography. Eighteenth-century observers attributed to native societies a lack of credible tools to understand the world and historical time, giving substance and contributing, with their writing, to wider processes of agglutination of a disciplinary system that was global and universalistic in its ambitions but Eurocentric in its epistemological foundations. The past and future of native societies became objects of discursive appropriation, and by constructing these discourses, travellers consciously participate, if not necessarily in a movement of historical hierarchisation, in broader projects of collecting and systematising European knowledge.
2022
Rolando Minuti
Giulia Iannuzzi
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