La tesi analizza lo sviluppo dei programmi di ammissione umanitaria nell’Unione europea concentrandosi su un aspetto ancora poco indagato, cioè la tendenza dei canali di ingresso legale per i rifugiati o per i richiedenti asilo ad essere utilizzati come strumento di governance da parte degli Stati, sia per conseguire scopi di politica migratoria nell’ambito della cooperazione con i Paesi terzi, che con l’obiettivo di controllare il più possibile i flussi di rifugiati in ingresso. Il primo capitolo si pone l’obiettivo di capire quali sono i limiti dell’attuale ordinamento internazionale ed europeo nel regolare la condizione dei richiedenti asilo che arrivano alle frontiere UE e quali sono gli obblighi che vincolano l’Unione Europea e gli Stati membri nella predisposizione delle loro politiche, analizzando gli strumenti attuativi del diritto di asilo e del non refoulement in ambito internazionale ed europeo, e più in generale la normativa europea in materia di asilo, tra cui il principio di equa ripartizione delle responsabilità tra Stati membri e il concetto di Paese terzo sicuro. Il secondo capitolo si concentra sui canali legali di ammissione umanitaria nell’Unione Europea e ripercorre quindi la loro evoluzione normativa, individuando le caratteristiche e le differenze tra le varie procedure di ammissione umanitaria, nonché i loro obiettivi, alla luce del fatto che essi nascono in applicazione del principio di solidarietà. Infatti, l’obiettivo principale della dimensione esterna della solidarietà è di rendere maggiormente equa la distribuzione delle persone bisognose di protezione tramite il trasferimento nel territorio UE di quote di rifugiati che si trovano nei principali Paesi di asilo o di transito e tale obiettivo si concretizza prevalentemente attraverso i programmi di reinsediamento e gli altri canali di ingresso legale e sicuro refugee-related. A questo proposito sono stati presi in considerazione: il visto umanitario, i programmi di reinsediamento e gli altri canali di accesso legale e sicuro nell’Unione europea per i richiedenti protezione internazionale, come le evacuazioni umanitarie e i programmi di private sponsorship, soffermandosi in particolare sui corridoi umanitari italiani. Nel terzo capitolo si analizzano alcuni casi esemplificativi del fatto che i canali di ingresso per persone bisognose in protezione internazionale sono stati utilizzati dagli Stati anche come strumento di controllo dei flussi in politica migratoria, in particolare nell’ambito della cooperazione con i Paesi terzi, con il proposito di escludere la propria responsabilità nei confronti delle persone in arrivo alla frontiera (politiche di non entrée) e di esternalizzare la protezione dei rifugiati (politiche di protection elsewhere). In particolare, si riporteranno: il caso della Dichiarazione UE-Turchia, il caso dell’ordinamento spagnolo e il caso delle riforme dell’Aliens Act in Danimarca e Regno Unito. L’analisi evidenzia da un lato che la dimensione esterna della politica migratoria dell’UE si basa su accordi di cooperazione con i Paesi terzi che prevedono finanziamenti e posti per il reinsediamento dei rifugiati in cambio del controllo delle frontiere esterne e dell’impegno nel contenimento delle partenze e dall’altro la circostanza per cui gli Stati garantiscono l’accesso legale e sicuro al proprio territorio solo a patto che la valutazione sulla necessità di protezione della persona e, nel frattempo, la sua presa in carico siano effettuate extraterritorialmente. Nell’ultimo capitolo, si è scelto di concentrarsi sul procedimento di selezione dei beneficiari nei programmi di reinsediamento e nei corridoi umanitari, per capire qual è il livello effettivo di accessibilità a questi canali per la generalità dei rifugiati, pur essendo rivolti ad un numero limitato di beneficiari. L’analisi evidenzia la contraddizione esistente nell’interazione tra il requisito della vulnerabilità e i criteri di selezione fissati dagli Stati, che spesso privilegiano invece i rifugiati con alte possibilità di integrazione, mostrando che anche il processo di selezione, per come è concepito, contribuisce a qualificare i programmi di ammissione umanitaria come strumento di governance utilizzato dagli Stati per migliorare il controllo delle “tipologie” di rifugiati in ingresso. Infine, si è scelto di riportare l’esperienza dei progetti pilota “COMplementary pathways nETwork Activity” e “EU-Passworld”, che per la prima volta hanno coinvolto organizzazioni da più Stati membri. Lo scopo è comprendere se, nonostante le preesistenti differenze nel processo di selezione dei beneficiari vulnerabili tra gli Stati partner del progetto, questi progetti stanno creando le basi per un modello univoco di assessment e quali sono le sue caratteristiche.
I PROGRAMMI DI AMMISSIONE UMANITARIA NELL’UNIONE EUROPEA COME STRUMENTO DI GOVERNANCE MIGRATORIA / Olga Cardini. - (2024).
I PROGRAMMI DI AMMISSIONE UMANITARIA NELL’UNIONE EUROPEA COME STRUMENTO DI GOVERNANCE MIGRATORIA
Olga Cardini
2024
Abstract
La tesi analizza lo sviluppo dei programmi di ammissione umanitaria nell’Unione europea concentrandosi su un aspetto ancora poco indagato, cioè la tendenza dei canali di ingresso legale per i rifugiati o per i richiedenti asilo ad essere utilizzati come strumento di governance da parte degli Stati, sia per conseguire scopi di politica migratoria nell’ambito della cooperazione con i Paesi terzi, che con l’obiettivo di controllare il più possibile i flussi di rifugiati in ingresso. Il primo capitolo si pone l’obiettivo di capire quali sono i limiti dell’attuale ordinamento internazionale ed europeo nel regolare la condizione dei richiedenti asilo che arrivano alle frontiere UE e quali sono gli obblighi che vincolano l’Unione Europea e gli Stati membri nella predisposizione delle loro politiche, analizzando gli strumenti attuativi del diritto di asilo e del non refoulement in ambito internazionale ed europeo, e più in generale la normativa europea in materia di asilo, tra cui il principio di equa ripartizione delle responsabilità tra Stati membri e il concetto di Paese terzo sicuro. Il secondo capitolo si concentra sui canali legali di ammissione umanitaria nell’Unione Europea e ripercorre quindi la loro evoluzione normativa, individuando le caratteristiche e le differenze tra le varie procedure di ammissione umanitaria, nonché i loro obiettivi, alla luce del fatto che essi nascono in applicazione del principio di solidarietà. Infatti, l’obiettivo principale della dimensione esterna della solidarietà è di rendere maggiormente equa la distribuzione delle persone bisognose di protezione tramite il trasferimento nel territorio UE di quote di rifugiati che si trovano nei principali Paesi di asilo o di transito e tale obiettivo si concretizza prevalentemente attraverso i programmi di reinsediamento e gli altri canali di ingresso legale e sicuro refugee-related. A questo proposito sono stati presi in considerazione: il visto umanitario, i programmi di reinsediamento e gli altri canali di accesso legale e sicuro nell’Unione europea per i richiedenti protezione internazionale, come le evacuazioni umanitarie e i programmi di private sponsorship, soffermandosi in particolare sui corridoi umanitari italiani. Nel terzo capitolo si analizzano alcuni casi esemplificativi del fatto che i canali di ingresso per persone bisognose in protezione internazionale sono stati utilizzati dagli Stati anche come strumento di controllo dei flussi in politica migratoria, in particolare nell’ambito della cooperazione con i Paesi terzi, con il proposito di escludere la propria responsabilità nei confronti delle persone in arrivo alla frontiera (politiche di non entrée) e di esternalizzare la protezione dei rifugiati (politiche di protection elsewhere). In particolare, si riporteranno: il caso della Dichiarazione UE-Turchia, il caso dell’ordinamento spagnolo e il caso delle riforme dell’Aliens Act in Danimarca e Regno Unito. L’analisi evidenzia da un lato che la dimensione esterna della politica migratoria dell’UE si basa su accordi di cooperazione con i Paesi terzi che prevedono finanziamenti e posti per il reinsediamento dei rifugiati in cambio del controllo delle frontiere esterne e dell’impegno nel contenimento delle partenze e dall’altro la circostanza per cui gli Stati garantiscono l’accesso legale e sicuro al proprio territorio solo a patto che la valutazione sulla necessità di protezione della persona e, nel frattempo, la sua presa in carico siano effettuate extraterritorialmente. Nell’ultimo capitolo, si è scelto di concentrarsi sul procedimento di selezione dei beneficiari nei programmi di reinsediamento e nei corridoi umanitari, per capire qual è il livello effettivo di accessibilità a questi canali per la generalità dei rifugiati, pur essendo rivolti ad un numero limitato di beneficiari. L’analisi evidenzia la contraddizione esistente nell’interazione tra il requisito della vulnerabilità e i criteri di selezione fissati dagli Stati, che spesso privilegiano invece i rifugiati con alte possibilità di integrazione, mostrando che anche il processo di selezione, per come è concepito, contribuisce a qualificare i programmi di ammissione umanitaria come strumento di governance utilizzato dagli Stati per migliorare il controllo delle “tipologie” di rifugiati in ingresso. Infine, si è scelto di riportare l’esperienza dei progetti pilota “COMplementary pathways nETwork Activity” e “EU-Passworld”, che per la prima volta hanno coinvolto organizzazioni da più Stati membri. Lo scopo è comprendere se, nonostante le preesistenti differenze nel processo di selezione dei beneficiari vulnerabili tra gli Stati partner del progetto, questi progetti stanno creando le basi per un modello univoco di assessment e quali sono le sue caratteristiche.File | Dimensione | Formato | |
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