Il testo si propone di analizzare i principali modelli di responsabi-lità sociale esistenti, sia a livello nazionale che internazionale, in modo da fornire al lettore una panoramica d’insieme sulle forme di implementazione possibili. A tal fine si ritiene utile inquadrare sinteticamente il concetto di responsabilità sociale. «The only social responsibility of business is to make profits» . Con queste parole, il premio Nobel per l’economia Milton Fried-man negli anni ‘70 dello scorso secolo affrontava la questione della responsabilità sociale dell’impresa. Secondo l’autorevole economista, l’impegno sociale consisteva nel-l’ottenere profitti nella misura maggiore possibile, nel rispetto delle regole di un mercato aperto, corretto e competitivo, producendo così ricchezza per tutti (capitalisti e lavoratori) nel modo più efficiente. In altre parole, rispettate le regole del gioco, il profitto costituisce l’indicatore principe del miglior impiego di risorse, per definizione scarse, e il suo perseguimento implica realizzare benessere per la col-lettività. Come ci si pone, oltre 30 anni dopo, rispetto a tali tesi? Al di là del sostituire profitti con creazione di valore per gli azio-nisti, termine in voga nell’attuale linguaggio aziendale, si potrebbe pensare che questa affermazione abbia conservato appieno la propria validità . In un momento in cui le dinamiche competitive si sono fatte così elevate da erodere (azzerare) progressivamente i margini di redditività mettendo in discussione addirittura il raggiungimento dell’obiettivo dell’economicità, rimane poco spazio per l’attenzione al sociale. Al contrario, appare ormai consolidata una visione nettamente op-posta. Si ritiene che la generazione di profitto costituisca soltanto una condizione necessaria, ma certo non più sufficiente perché l’impresa possa ritenersi legittimata ad operare . Il business deve maturare un orientamento strategico di fondo ca-ratterizzato dalla creazione di valore per tutti gli interessati. Si parla di assunzione di responsabilità al di là di quanto le leggi prescrivono , di una «piena comprensione del mandato sociale che fa delle imprese capaci di soddisfare le attese economiche ed umanistiche che ad esse si rivolgono dei beni quanto mai preziosi per la società tutta e non per i soli azionisti […]» . In questo senso, la responsabilità sociale d’impresa (RSI), o cor-porate social responsibility (CSR), appare dunque come una caratte-ristica di fondo degli attori economici del terzo millennio . Le molteplici cause sono ben sintetizzate e ricondotte a tre da Za-magni : • responsabilità sociale del consumatore cittadino; • destrutturazione dell’attività produttiva e delocalizzazione del-le imprese; • «fidelizzazione» delle risorse umane. Sotto il primo aspetto, il cittadino ormai si caratterizza per un o-rientamento critico al consumo, secondo la massima «non si compra una cosa, si compra da qualcuno» . Esistono molteplici indagini che dimostrano la propensione dei consumatori, soprattutto italiani ed europei, a privilegiare le imprese socialmente responsabili. In altre parole, si fa strada l’opinione che le imprese dovrebbero andare oltre il loro tradizionale ruolo economico e, dunque, non limitarsi a fare profitti, creare occupazione, pagare le tasse e rispettare le leggi. Sotto il secondo aspetto, Zamagni sottolinea come una delle mag-giori conseguenze della globalizzazione sia il graduale venir meno della corrispondenza tra impresa e territorio. In passato, l’imprendi-tore che si «comportava male» si trovava costretto a rispondere alla sua gente che, spesso, rappresentava anche il mercato di sbocco dei propri prodotti . Attualmente, questo controllo sociale può avvenire soltanto attraverso una gestione attiva della responsabilità sociale e, soprattutto, mediante un’attenta comunicazione delle azioni intrapre-se in tal senso. Infine, l’impresa socialmente responsabile si crea una reputazione tale da persuadere e da essere approvata dalla persone che in essa o-perano. Ciò crea ambiente morale e semplifica i compiti di controllo del management e dei dipendenti. Come nasce l’odierna responsabilità sociale nel panorama nazio-nale ? Intorno agli anni ‘70 era vista nell’ambito del rapporto imprese-sistema politico. La politica, quale strumento di estensione dei diritti di cittadinanza e partecipazione, arriva a condizionare i comporta-menti delle imprese in vista di finalità di sviluppo dell’intero sistema sociale. La programmazione, coerentemente, definisce un ambiente «vincolato», fornendo direttive che alle unità produttive venivano in-dicate come strumentali al raggiungimento degli obiettivi economici e meta-economici di fondo. Tutto cambia con l’avvento di tre grandi eventi epocali: l’aumento del prezzo del petrolio, il rallentamento dei ritmi di crescita globale, la trasformazione tecnologica (elettronica ed informatica). Negli anni ’80, l’ambiente diventa quindi permanentemente turbo-lento e, soprattutto, viene meno la presunta separatezza neoclassica tra sistema economico e ambiente esterno (sistema sociale) all’im-presa . In questa ottica, la responsabilità sociale, prima imposta dal-lo Stato all’impresa, diventa ora vincolo per entrambi . Infine, con gli anni ’90, l’impresa autonomizza la propria visione di responsabilità sociale e quest’ultima diventa obiettivo finalizzante, trasformando le unità produttive in organismi multiobiettivo . Cosa significa concretamente responsabilità sociale d’impresa? Tale concetto è stato, senza dubbio, un argomento ampiamente di-battuto non solo tra gli studiosi di economia aziendale , ma anche tra quelli di numerosi altri ambiti disciplinari. Essa, come accennato, trae origine dal riconoscimento, accanto alla funzione economica, di una funzione sociale dell’impresa , dal momento che questa opera in un contesto in cui sono presenti varie categorie di soggetti detti stakeholder , ognuna delle quali portatri-ce di specifici interessi di carattere non solo economico. Nel medio-lungo periodo, il soddisfacimento delle attese di tali in-terlocutori, o quanto meno di quelli più influenti, si rivela spesso deci-sivo per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’impresa stessa e, pertanto, quest’ultima non può prescindere dalla loro considerazione nell’elabo-razione delle proprie politiche e strategie . Alla ricerca dell’equi-librio economico si affianca dunque la ricerca dell’equilibrio sociale . Circa i rapporti tra le finalità sottese alle due tipologie di equili-brio, possono insorgere, soprattutto nel breve-medio periodo, alcune divergenze, anche se nel lungo termine, di fatto, è possibile e, anzi, opportuna una convergenza . In altri termini, entrambi gli equilibri sono strumentali al conse-guimento di un fine ancora più generale di continuità e sviluppo dell’azienda, secondo ciò che viene comunemente definito come un «circolo virtuoso» lungo le dimensioni del finalismo aziendale . Sotto il profilo definitorio, due approcci appaiono particolarmente significativi . Da una parte, Eilbirt e Parker inquadrano la responsabilità sociale d’impresa come un «buon rapporto di vicinato». Tale concezione im-plica l’adozione di due comportamenti: • non agire in modo da rovinare tale rapporto; • essere disponibili a risolvere i problemi che insorgono all’in-terno del rapporto stesso . Dall’altra, secondo Matacena, la responsabilità sociale d’impresa rappresenta «[…] l’attitudine della stessa di rispondere alle iniziative poste in essere dall’ambiente come conseguenza alla sua attività, alla valutazione e compensazione interna dei costi sociali da essa generati e l’ampliamento dei suoi obiettivi per raggiungere una efficienza non solo economica ma anche sociale sì da ottenere una piena legittima-zione al suo operare dai gruppi che la compongono e dalla società che la circonda» . Ne discendono diverse considerazioni. Intanto, risulta evidente come l’assunzione di una responsabilità sociale è un atto volontario, anche se estremamente opportuno. In questo senso, la stessa Commissione Europea sottolinea come si tratti di una «[…] integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate» . Pertanto, anche all’interno di un medesimo contesto, imprese di- verse saranno portate a caratterizzarsi come differentemente respon-sabili in base al prescelto approccio verso gli stakeholder ritenuti si-gnificativi. Si sottolinea, inoltre, come il confine della responsabilità sociale, comprendendo valori morali di contesto, appaia inevitabilmente mobi-le. Di conseguenza, qualsiasi definizione di socialità d’impresa risente fatalmente sia del momento storico che dell’«ambiente» in cui l’impresa si colloca . Tutto ciò implica la necessità di elaborare dei modelli di riferi-mento, capaci di guidare: • da una parte, il mondo delle imprese nella scelta di forme di re-sponsabilità sociali condivise, comunicabili e, quindi, suscetti-bili di migliorarne l’immagine «pubblica» e la percezione presso i vari pubblici esterni ed interni; • dall’altra, l’insieme degli stakeholder verso i quali sono diretti gli sforzi di responsabilizzazione delle imprese. Fornire ai di-versi pubblici idonei modelli-benchmark crea un linguaggio comune, permette una più agevole lettura e comprensione del-l’immagine socialmente responsabile e, infine, dovrebbe aiutare a scoprire comportamenti opportunistici. I tentativi di standardizzazione dei modelli di responsabilità socia-le si sono moltiplicati negli ultimi anni. Essi, comunque, trovano un minimo comune denominatore in al-cuni ben definiti principi di fondo, tra i quali assumono particolare importanza gli assunti dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Si tratta di enunciati dalla valenza generale che vanno ad indivi-duare un livello minimo di responsabilità sociale nell’ottica, fonda-mentale, della salvaguardia dei diritti dell’uomo. Inoltre, si segnala il recente impegno della Commissione Europea, caratterizzato da un forte pragmatismo - si citano modelli esistenti, si invitano i singoli Stati membri ad intervenire, si pone in essere un ar-ticolato processo di audizioni - e dalla volontà di arrivare a dei risul-tati tangibili. A questi «modelli a valenza generale» è dedicata la prima parte del presente lavoro. Da qua, si passa alla successiva individuazione di una serie non esaustiva di modelli di comportamento e/o di rendicontazione, ricon-ducibili al concetto di responsabilità sociale, che, a nostro avviso, rap-presenta la base di partenza per l’elaborazione di uno standard mini-mo universalmente riconosciuto. Nello specifico, si analizzeranno: • uno standard di prodotto, SA8000, finalizzato all’ottenimento di un risultato ben inquadrabile e, come tale, certificabile dall’e-sterno; • uno standard di processo, AA1000, che si occupa di costruire un sistema di gestione della responsabilità sociale che possa essere implementato nel più ampio sistema di gestione d’impresa; • uno standard di rendicontazione, Global reporting initiative, che rappresenta un punto fermo internazionale in materia di bilancio sociale e di sostenibilità. Inoltre, sempre in tema di responsabilità sociale, l’accennata evo-luzione concettuale ha implicato rilevanti conseguenze anche per quanto riguarda il panorama nazionale. Ci troviamo di fronte a dei forti punti di riferimento ai quali merita dedicare opportuno rilievo: il Q-RES, per il processo, ed il Gruppo di studio per il Bilancio Sociale (GBS), per la rendicontazione. Nel contesto, si inserisce anche il tentativo governativo di costruire un livello «dimostrato» di responsabilità sociale secondo metodologie ben definite. Infine, alcune considerazioni vengono svolte in merito alla varia-bile ambientale, da sempre elemento trainante nella definizione di re-sponsabilità sociale d’impresa.

Quale responsabilità sociale per l’impresa? / L. BAGNOLI. - STAMPA. - (2004), pp. 1-200.

Quale responsabilità sociale per l’impresa?

BAGNOLI, LUCA
2004

Abstract

Il testo si propone di analizzare i principali modelli di responsabi-lità sociale esistenti, sia a livello nazionale che internazionale, in modo da fornire al lettore una panoramica d’insieme sulle forme di implementazione possibili. A tal fine si ritiene utile inquadrare sinteticamente il concetto di responsabilità sociale. «The only social responsibility of business is to make profits» . Con queste parole, il premio Nobel per l’economia Milton Fried-man negli anni ‘70 dello scorso secolo affrontava la questione della responsabilità sociale dell’impresa. Secondo l’autorevole economista, l’impegno sociale consisteva nel-l’ottenere profitti nella misura maggiore possibile, nel rispetto delle regole di un mercato aperto, corretto e competitivo, producendo così ricchezza per tutti (capitalisti e lavoratori) nel modo più efficiente. In altre parole, rispettate le regole del gioco, il profitto costituisce l’indicatore principe del miglior impiego di risorse, per definizione scarse, e il suo perseguimento implica realizzare benessere per la col-lettività. Come ci si pone, oltre 30 anni dopo, rispetto a tali tesi? Al di là del sostituire profitti con creazione di valore per gli azio-nisti, termine in voga nell’attuale linguaggio aziendale, si potrebbe pensare che questa affermazione abbia conservato appieno la propria validità . In un momento in cui le dinamiche competitive si sono fatte così elevate da erodere (azzerare) progressivamente i margini di redditività mettendo in discussione addirittura il raggiungimento dell’obiettivo dell’economicità, rimane poco spazio per l’attenzione al sociale. Al contrario, appare ormai consolidata una visione nettamente op-posta. Si ritiene che la generazione di profitto costituisca soltanto una condizione necessaria, ma certo non più sufficiente perché l’impresa possa ritenersi legittimata ad operare . Il business deve maturare un orientamento strategico di fondo ca-ratterizzato dalla creazione di valore per tutti gli interessati. Si parla di assunzione di responsabilità al di là di quanto le leggi prescrivono , di una «piena comprensione del mandato sociale che fa delle imprese capaci di soddisfare le attese economiche ed umanistiche che ad esse si rivolgono dei beni quanto mai preziosi per la società tutta e non per i soli azionisti […]» . In questo senso, la responsabilità sociale d’impresa (RSI), o cor-porate social responsibility (CSR), appare dunque come una caratte-ristica di fondo degli attori economici del terzo millennio . Le molteplici cause sono ben sintetizzate e ricondotte a tre da Za-magni : • responsabilità sociale del consumatore cittadino; • destrutturazione dell’attività produttiva e delocalizzazione del-le imprese; • «fidelizzazione» delle risorse umane. Sotto il primo aspetto, il cittadino ormai si caratterizza per un o-rientamento critico al consumo, secondo la massima «non si compra una cosa, si compra da qualcuno» . Esistono molteplici indagini che dimostrano la propensione dei consumatori, soprattutto italiani ed europei, a privilegiare le imprese socialmente responsabili. In altre parole, si fa strada l’opinione che le imprese dovrebbero andare oltre il loro tradizionale ruolo economico e, dunque, non limitarsi a fare profitti, creare occupazione, pagare le tasse e rispettare le leggi. Sotto il secondo aspetto, Zamagni sottolinea come una delle mag-giori conseguenze della globalizzazione sia il graduale venir meno della corrispondenza tra impresa e territorio. In passato, l’imprendi-tore che si «comportava male» si trovava costretto a rispondere alla sua gente che, spesso, rappresentava anche il mercato di sbocco dei propri prodotti . Attualmente, questo controllo sociale può avvenire soltanto attraverso una gestione attiva della responsabilità sociale e, soprattutto, mediante un’attenta comunicazione delle azioni intrapre-se in tal senso. Infine, l’impresa socialmente responsabile si crea una reputazione tale da persuadere e da essere approvata dalla persone che in essa o-perano. Ciò crea ambiente morale e semplifica i compiti di controllo del management e dei dipendenti. Come nasce l’odierna responsabilità sociale nel panorama nazio-nale ? Intorno agli anni ‘70 era vista nell’ambito del rapporto imprese-sistema politico. La politica, quale strumento di estensione dei diritti di cittadinanza e partecipazione, arriva a condizionare i comporta-menti delle imprese in vista di finalità di sviluppo dell’intero sistema sociale. La programmazione, coerentemente, definisce un ambiente «vincolato», fornendo direttive che alle unità produttive venivano in-dicate come strumentali al raggiungimento degli obiettivi economici e meta-economici di fondo. Tutto cambia con l’avvento di tre grandi eventi epocali: l’aumento del prezzo del petrolio, il rallentamento dei ritmi di crescita globale, la trasformazione tecnologica (elettronica ed informatica). Negli anni ’80, l’ambiente diventa quindi permanentemente turbo-lento e, soprattutto, viene meno la presunta separatezza neoclassica tra sistema economico e ambiente esterno (sistema sociale) all’im-presa . In questa ottica, la responsabilità sociale, prima imposta dal-lo Stato all’impresa, diventa ora vincolo per entrambi . Infine, con gli anni ’90, l’impresa autonomizza la propria visione di responsabilità sociale e quest’ultima diventa obiettivo finalizzante, trasformando le unità produttive in organismi multiobiettivo . Cosa significa concretamente responsabilità sociale d’impresa? Tale concetto è stato, senza dubbio, un argomento ampiamente di-battuto non solo tra gli studiosi di economia aziendale , ma anche tra quelli di numerosi altri ambiti disciplinari. Essa, come accennato, trae origine dal riconoscimento, accanto alla funzione economica, di una funzione sociale dell’impresa , dal momento che questa opera in un contesto in cui sono presenti varie categorie di soggetti detti stakeholder , ognuna delle quali portatri-ce di specifici interessi di carattere non solo economico. Nel medio-lungo periodo, il soddisfacimento delle attese di tali in-terlocutori, o quanto meno di quelli più influenti, si rivela spesso deci-sivo per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’impresa stessa e, pertanto, quest’ultima non può prescindere dalla loro considerazione nell’elabo-razione delle proprie politiche e strategie . Alla ricerca dell’equi-librio economico si affianca dunque la ricerca dell’equilibrio sociale . Circa i rapporti tra le finalità sottese alle due tipologie di equili-brio, possono insorgere, soprattutto nel breve-medio periodo, alcune divergenze, anche se nel lungo termine, di fatto, è possibile e, anzi, opportuna una convergenza . In altri termini, entrambi gli equilibri sono strumentali al conse-guimento di un fine ancora più generale di continuità e sviluppo dell’azienda, secondo ciò che viene comunemente definito come un «circolo virtuoso» lungo le dimensioni del finalismo aziendale . Sotto il profilo definitorio, due approcci appaiono particolarmente significativi . Da una parte, Eilbirt e Parker inquadrano la responsabilità sociale d’impresa come un «buon rapporto di vicinato». Tale concezione im-plica l’adozione di due comportamenti: • non agire in modo da rovinare tale rapporto; • essere disponibili a risolvere i problemi che insorgono all’in-terno del rapporto stesso . Dall’altra, secondo Matacena, la responsabilità sociale d’impresa rappresenta «[…] l’attitudine della stessa di rispondere alle iniziative poste in essere dall’ambiente come conseguenza alla sua attività, alla valutazione e compensazione interna dei costi sociali da essa generati e l’ampliamento dei suoi obiettivi per raggiungere una efficienza non solo economica ma anche sociale sì da ottenere una piena legittima-zione al suo operare dai gruppi che la compongono e dalla società che la circonda» . Ne discendono diverse considerazioni. Intanto, risulta evidente come l’assunzione di una responsabilità sociale è un atto volontario, anche se estremamente opportuno. In questo senso, la stessa Commissione Europea sottolinea come si tratti di una «[…] integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate» . Pertanto, anche all’interno di un medesimo contesto, imprese di- verse saranno portate a caratterizzarsi come differentemente respon-sabili in base al prescelto approccio verso gli stakeholder ritenuti si-gnificativi. Si sottolinea, inoltre, come il confine della responsabilità sociale, comprendendo valori morali di contesto, appaia inevitabilmente mobi-le. Di conseguenza, qualsiasi definizione di socialità d’impresa risente fatalmente sia del momento storico che dell’«ambiente» in cui l’impresa si colloca . Tutto ciò implica la necessità di elaborare dei modelli di riferi-mento, capaci di guidare: • da una parte, il mondo delle imprese nella scelta di forme di re-sponsabilità sociali condivise, comunicabili e, quindi, suscetti-bili di migliorarne l’immagine «pubblica» e la percezione presso i vari pubblici esterni ed interni; • dall’altra, l’insieme degli stakeholder verso i quali sono diretti gli sforzi di responsabilizzazione delle imprese. Fornire ai di-versi pubblici idonei modelli-benchmark crea un linguaggio comune, permette una più agevole lettura e comprensione del-l’immagine socialmente responsabile e, infine, dovrebbe aiutare a scoprire comportamenti opportunistici. I tentativi di standardizzazione dei modelli di responsabilità socia-le si sono moltiplicati negli ultimi anni. Essi, comunque, trovano un minimo comune denominatore in al-cuni ben definiti principi di fondo, tra i quali assumono particolare importanza gli assunti dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Si tratta di enunciati dalla valenza generale che vanno ad indivi-duare un livello minimo di responsabilità sociale nell’ottica, fonda-mentale, della salvaguardia dei diritti dell’uomo. Inoltre, si segnala il recente impegno della Commissione Europea, caratterizzato da un forte pragmatismo - si citano modelli esistenti, si invitano i singoli Stati membri ad intervenire, si pone in essere un ar-ticolato processo di audizioni - e dalla volontà di arrivare a dei risul-tati tangibili. A questi «modelli a valenza generale» è dedicata la prima parte del presente lavoro. Da qua, si passa alla successiva individuazione di una serie non esaustiva di modelli di comportamento e/o di rendicontazione, ricon-ducibili al concetto di responsabilità sociale, che, a nostro avviso, rap-presenta la base di partenza per l’elaborazione di uno standard mini-mo universalmente riconosciuto. Nello specifico, si analizzeranno: • uno standard di prodotto, SA8000, finalizzato all’ottenimento di un risultato ben inquadrabile e, come tale, certificabile dall’e-sterno; • uno standard di processo, AA1000, che si occupa di costruire un sistema di gestione della responsabilità sociale che possa essere implementato nel più ampio sistema di gestione d’impresa; • uno standard di rendicontazione, Global reporting initiative, che rappresenta un punto fermo internazionale in materia di bilancio sociale e di sostenibilità. Inoltre, sempre in tema di responsabilità sociale, l’accennata evo-luzione concettuale ha implicato rilevanti conseguenze anche per quanto riguarda il panorama nazionale. Ci troviamo di fronte a dei forti punti di riferimento ai quali merita dedicare opportuno rilievo: il Q-RES, per il processo, ed il Gruppo di studio per il Bilancio Sociale (GBS), per la rendicontazione. Nel contesto, si inserisce anche il tentativo governativo di costruire un livello «dimostrato» di responsabilità sociale secondo metodologie ben definite. Infine, alcune considerazioni vengono svolte in merito alla varia-bile ambientale, da sempre elemento trainante nella definizione di re-sponsabilità sociale d’impresa.
2004
9788846457097
1
200
L. BAGNOLI
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