La letteratura di commento all’editto domina, con i suoi caratteri e con la sua struttura, tutti i Digesta. I commentari di Paolo e di Ulpiano, ampiamente adoperati dai giustinianei, contribuirono infatti alla compilazione per gran parte della sua estensione. Ma le due opere di età severiana, protagoniste assolute di questo genere letterario, avevano alle loro spalle una tradizione già importante, che i giustinianei non conobbero, o comunque non vollero utilizzare direttamente, costituita principalmente dai commenti di Labeone, di Pedio e di Pomponio. A questo passato, noto a noi unicamente attaverso la mediazione dei due maestri severiani, si può riandare soltanto attraverso lo studio delle citazioni presenti nei commentari di Paolo e Ulpiano, che è poi, del resto, l’unico modo anche per comprendere come essi abbiano lavorato. Si colloca in questo contesto il lavoro sui libri ad edictum di Sesto Pedio, che rappresentano uno dei momenti fondamentali della storia di questo genere letterario. Mentre, però, di Labeone e di Pomponio conosciamo anche altre opere, giunte nella compilazione senza mediazioni ulteriori, Pedio non godé di questa molteplice tradizione, e di lui ci restano unicamente le citazioni severiane del commento all’editto. Solo una tradizione complessa, dunque, cui si accompagna l’incertezza delle cronologie, ha conservato fino a noi memoria del suo lavoro. Ed essa rende necessaria, per ricostruire e comprendere i caratteri e la natura del pensiero di questo autore, un’analisi approfondita della sua trasmissione. Per prima cosa viene liberato il campo dai dubbi sul tempo in cui il commento venne redatto, procedendo alla sua datazione (cap. I). Poi (cap. II), si affonta il problema della tradizione. Nel far questo, ci vengono in ausilio strumenti non nuovi alla ricerca romanistica, come i confronti testuali, che si rivelano utili per svelare le tecniche di redazione delle opere, di Ulpiano e di Paolo, che conservano le citazioni di Pedio, e in questo modo per gettar luce sia su queste ultime, sia sul modo in cui lavorarono i due giuristi severiani. Di fronte a Pedio c’era il testo dell’editto, protagonista, tra I e II secolo di una fase complessa della sua storia. Per questo (cap. III) si propone una ricostruzione della storia del testo normativo, a partire dalle notizie sulla sistematica edittale rivelate proprio dall’opera pediana. L’ordine in cui era redatta – e del quale è rimasto qualche segno nelle citazioni con l’indicazione del numero del libro di provenienza – riproduceva, infatti, sebbene con oscillazioni, le sequenze tra le clausole dell’editto del tempo, consentendo qualche deduzione su di esse. Ancora sulla traccia offerta dall’editto, si individuano (cap. IV) alcune tipologie interpretative adottate da Pedio nel suo commento. E' possibile, così, isolare commenti ai verba edicti – sia alle clausole edittali, sia alle formule – suggerimenti giurisdizionali, soluzioni di casi connessi con l’applicazione del testo normativo. Infine (cap. V), lasciato sullo sfondo il programma pretorio, si procede a illustrare qualche motivo, di carattere più generale, ispiratore dell’interpretatio di Pedio.

STUDI SU SESTO PEDIO.LA TRADIZIONE, L'EDITTO / C. GIACHI. - STAMPA. - (2005), pp. I-601.

STUDI SU SESTO PEDIO.LA TRADIZIONE, L'EDITTO

GIACHI, CRISTINA
2005

Abstract

La letteratura di commento all’editto domina, con i suoi caratteri e con la sua struttura, tutti i Digesta. I commentari di Paolo e di Ulpiano, ampiamente adoperati dai giustinianei, contribuirono infatti alla compilazione per gran parte della sua estensione. Ma le due opere di età severiana, protagoniste assolute di questo genere letterario, avevano alle loro spalle una tradizione già importante, che i giustinianei non conobbero, o comunque non vollero utilizzare direttamente, costituita principalmente dai commenti di Labeone, di Pedio e di Pomponio. A questo passato, noto a noi unicamente attaverso la mediazione dei due maestri severiani, si può riandare soltanto attraverso lo studio delle citazioni presenti nei commentari di Paolo e Ulpiano, che è poi, del resto, l’unico modo anche per comprendere come essi abbiano lavorato. Si colloca in questo contesto il lavoro sui libri ad edictum di Sesto Pedio, che rappresentano uno dei momenti fondamentali della storia di questo genere letterario. Mentre, però, di Labeone e di Pomponio conosciamo anche altre opere, giunte nella compilazione senza mediazioni ulteriori, Pedio non godé di questa molteplice tradizione, e di lui ci restano unicamente le citazioni severiane del commento all’editto. Solo una tradizione complessa, dunque, cui si accompagna l’incertezza delle cronologie, ha conservato fino a noi memoria del suo lavoro. Ed essa rende necessaria, per ricostruire e comprendere i caratteri e la natura del pensiero di questo autore, un’analisi approfondita della sua trasmissione. Per prima cosa viene liberato il campo dai dubbi sul tempo in cui il commento venne redatto, procedendo alla sua datazione (cap. I). Poi (cap. II), si affonta il problema della tradizione. Nel far questo, ci vengono in ausilio strumenti non nuovi alla ricerca romanistica, come i confronti testuali, che si rivelano utili per svelare le tecniche di redazione delle opere, di Ulpiano e di Paolo, che conservano le citazioni di Pedio, e in questo modo per gettar luce sia su queste ultime, sia sul modo in cui lavorarono i due giuristi severiani. Di fronte a Pedio c’era il testo dell’editto, protagonista, tra I e II secolo di una fase complessa della sua storia. Per questo (cap. III) si propone una ricostruzione della storia del testo normativo, a partire dalle notizie sulla sistematica edittale rivelate proprio dall’opera pediana. L’ordine in cui era redatta – e del quale è rimasto qualche segno nelle citazioni con l’indicazione del numero del libro di provenienza – riproduceva, infatti, sebbene con oscillazioni, le sequenze tra le clausole dell’editto del tempo, consentendo qualche deduzione su di esse. Ancora sulla traccia offerta dall’editto, si individuano (cap. IV) alcune tipologie interpretative adottate da Pedio nel suo commento. E' possibile, così, isolare commenti ai verba edicti – sia alle clausole edittali, sia alle formule – suggerimenti giurisdizionali, soluzioni di casi connessi con l’applicazione del testo normativo. Infine (cap. V), lasciato sullo sfondo il programma pretorio, si procede a illustrare qualche motivo, di carattere più generale, ispiratore dell’interpretatio di Pedio.
2005
8814119236
I
601
C. GIACHI
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/234013
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact