L’integrazione fra intervento pubblico e attività dei soggetti privati non profit è la cifra caratterizzante i servizi sociali e la loro disciplina, sia nella legge 328/2000 (legge quadro sul sistema integrato degli interventi e servizi sociali), che nelle leggi regionali che l’hanno preceduta e preannunciata. Tale connotazione organizzativa dei servizi sociali risulta ulteriormente potenziata dalla riforma del titolo V della II parte della Costituzione. In questa direzione spinge infatti l’introduzione nell’art. 118 u.c. Cost. del principio di sussidiarietà, secondo le interpretazioni prevalenti che vengono date alla norma. L’attività assistenziale dei soggetti privati, svolta in modo integrato con quella dei soggetti pubblici, pone una molteplicità di interrogativi e di problemi in relazione alle forme giuridiche e alle modalità del rapporto fra pubblico e privato. Tuttavia il primo aspetto su cui la presenza dei privati nel settore dei servizi sociali impone di riflettere è lo stesso fondamento costituzionale dell’intervento pubblico in materia socio-assistenziale, quindi la sua stessa necessità. Tale questione appare oggi ancora più rilevante perché la riforma costituzionale del 2001 ha attribuito alle regioni la competenza legislativa piena, ossia residuale, in materia di servizi sociali e ciò può preludere ad una differenziazione tendenzialmente marcata delle discipline che regoleranno il settore. Dato che i servizi socia-assistenziali sono finalizzati a dare garanzia al diritto all’assistenza, nonché ad altri diritti della persona che gli sono connessi, la differenziazione delle discipline regionali, per essere utilmente valorizzata, ha bisogno di riferirsi ad un quadro interpretativo certo e sistematico delle norme costituzionali che riguardano i diritti fondamentali su cui gli interventi sociali incidono. La ricerca si sofferma quindi innanzitutto sul rapporto fra diritto all’assistenza e principi fondamentali contenuti nella Carta costituzionale, in specie il principio di uguaglianza, il principio di solidarietà e quello pluralistico; in secondo luogo analizza il significato della disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 38 Cost., che garantisce la libertà dell’assistenza privata, e sul suo rapporto con il principio di sussidiarietà. La ricostruzione del contenuto del diritto all’assistenza, letto in connessione sistematica con le altre disposizioni costituzionali relative ai diritti sociali, conduce a riconoscere come necessario l’intervento pubblico nel settore assistenziale, in quanto volto a garantire il diritto all’assistenza nella sua valenza di diritto che tutela la dignità della persona, anche in relazione a profili che la presenza dell’attività privata non è sempre in grado di assicurare. Il diritto all’assistenza infatti non può essere pienamente garantito dall’intervento privato per fini di lucro, in quanto i soggetti destinatari degli interventi socio-assistenziali sono spesso poco attraenti per il mercato; ma non è detto che possa risultare pienamente soddisfatto neppure dall’attività privata di tipo solidaristico, poiché essa legittimamente risponde a logiche di libertà e spontaneità, soprattutto nella scelta della motivazione ideale che la ispira, e pertanto potrebbe non garantire la doverosità, né la neutralità nell’erogazione delle prestazioni, che caratterizzano i servizi pubblici. A partire da tali considerazioni, lo studio delinea una netta distinzione fra l’attività che può essere svolta dai soggetti privati in forza della libertà di assistenza, garantita dall’ultimo comma dell’art. 38 Cost. - che risponde ad una pienezza di modi e forme di svolgimento (salvi i limiti ovvi che incontra qualunque attività anche privata) - e l’attività di assistenza svolta invece dai soggetti privati quando decidano (altrettanto liberamente) di cooperare con il sistema pubblico di erogazione dei servizi sociali, accettandone conseguentemente le regole giuridiche e conformando a queste la propria azione. Ciò che infatti caratterizza l’attività di prestazione assistenziale quale servizio pubblico non è tanto la natura giuridica di chi la svolge, quanto la sua funzionalizzazione alla tutela dei diritti sociali e quindi il regime giuridico necessario ad assicurare tale tutela. In base alle premesse indicate, pertanto, il principio di sussidiarietà viene esaminato non in quanto criterio volto a definire le priorità fra l’attività pubblica e quella privata, quanto piuttosto come criterio che deve consentire di individuare le regole cui deve essere informato il rapporto fra intervento pubblico e attività privata nelle sue diverse e variabili manifestazioni. Il filo rosso dell’analisi del rapporto fra enti pubblici e soggetti privati così come delineato nel settore assistenziale si dipana quindi attraverso l’attenzione prestata alle implicazioni del principio pluralistico, nonché al complesso e articolato nesso che lega quest’ultimo al principio di sussidiarietà, nel quale si intrecciano tanto i diritti delle formazioni sociali, quanto quelli degli individui (destinatari dei servizi sociali e titolari del diritto all’assistenza), secondo dinamiche che possono essere di coincidenza ma anche di conflitto. Emerge in particolare da tale indagine come la molteplicità di operatori (privati) che erogano servizi assistenziali non consenta di ritenere automaticamente soddisfatte anche le esigenze costituzionali legate al rispetto del principio pluralistico, se essa non sia accompagnata anche dalla garanzia del rispetto della differenziazione culturale e ideale, e quindi dal rispetto delle diversità. I principi delineati forniscono la chiave di lettura un’analisi puntuale delle caratteristiche e della strutturazione giuridica dei servizi sociali, nonché del rapporto fra attività dei soggetti pubblici e di quelli privati, che ne costituisce il tratto più significativo. Il parametro normativo prevalentemente utilizzato resta la disciplina dettata dalla legge 328/2000, che pur avendo perso la funzione di legge quadro dopo la riforma del titolo V, resta ancora un punto di riferimento saldo anche per le leggi regionali emanate negli ultimi anni. Il lavoro esamina pertanto in primo luogo la disciplina della programmazione del sistema integrato dei servizi sociali; in secondo luogo affronta i molteplici problemi giuridici posti dall’accreditamento – strumento di accesso dei soggetti privati ad un sistema pubblico di erogazione delle prestazioni improntato ad una logica di concorrenza regolata; infine analizza la (scarna) disciplina relativa all’affidamento dei servizi sociali e alle modalità di scelta dei soggetti privati affidatari, per evidenziarne i profili peculiari e i possibili elementi di tensione con la normativa comunitaria, alla luce della attenzione mostrata nei tempi più recenti dall’Unione Europea al settore in questione.

Diritto all'assistenza e servizi sociali. Intervento pubblico e attività dei privati / A. ALBANESE. - STAMPA. - (2007), pp. 1-331.

Diritto all'assistenza e servizi sociali. Intervento pubblico e attività dei privati

ALBANESE, ALESSANDRA SERENELLA
2007

Abstract

L’integrazione fra intervento pubblico e attività dei soggetti privati non profit è la cifra caratterizzante i servizi sociali e la loro disciplina, sia nella legge 328/2000 (legge quadro sul sistema integrato degli interventi e servizi sociali), che nelle leggi regionali che l’hanno preceduta e preannunciata. Tale connotazione organizzativa dei servizi sociali risulta ulteriormente potenziata dalla riforma del titolo V della II parte della Costituzione. In questa direzione spinge infatti l’introduzione nell’art. 118 u.c. Cost. del principio di sussidiarietà, secondo le interpretazioni prevalenti che vengono date alla norma. L’attività assistenziale dei soggetti privati, svolta in modo integrato con quella dei soggetti pubblici, pone una molteplicità di interrogativi e di problemi in relazione alle forme giuridiche e alle modalità del rapporto fra pubblico e privato. Tuttavia il primo aspetto su cui la presenza dei privati nel settore dei servizi sociali impone di riflettere è lo stesso fondamento costituzionale dell’intervento pubblico in materia socio-assistenziale, quindi la sua stessa necessità. Tale questione appare oggi ancora più rilevante perché la riforma costituzionale del 2001 ha attribuito alle regioni la competenza legislativa piena, ossia residuale, in materia di servizi sociali e ciò può preludere ad una differenziazione tendenzialmente marcata delle discipline che regoleranno il settore. Dato che i servizi socia-assistenziali sono finalizzati a dare garanzia al diritto all’assistenza, nonché ad altri diritti della persona che gli sono connessi, la differenziazione delle discipline regionali, per essere utilmente valorizzata, ha bisogno di riferirsi ad un quadro interpretativo certo e sistematico delle norme costituzionali che riguardano i diritti fondamentali su cui gli interventi sociali incidono. La ricerca si sofferma quindi innanzitutto sul rapporto fra diritto all’assistenza e principi fondamentali contenuti nella Carta costituzionale, in specie il principio di uguaglianza, il principio di solidarietà e quello pluralistico; in secondo luogo analizza il significato della disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 38 Cost., che garantisce la libertà dell’assistenza privata, e sul suo rapporto con il principio di sussidiarietà. La ricostruzione del contenuto del diritto all’assistenza, letto in connessione sistematica con le altre disposizioni costituzionali relative ai diritti sociali, conduce a riconoscere come necessario l’intervento pubblico nel settore assistenziale, in quanto volto a garantire il diritto all’assistenza nella sua valenza di diritto che tutela la dignità della persona, anche in relazione a profili che la presenza dell’attività privata non è sempre in grado di assicurare. Il diritto all’assistenza infatti non può essere pienamente garantito dall’intervento privato per fini di lucro, in quanto i soggetti destinatari degli interventi socio-assistenziali sono spesso poco attraenti per il mercato; ma non è detto che possa risultare pienamente soddisfatto neppure dall’attività privata di tipo solidaristico, poiché essa legittimamente risponde a logiche di libertà e spontaneità, soprattutto nella scelta della motivazione ideale che la ispira, e pertanto potrebbe non garantire la doverosità, né la neutralità nell’erogazione delle prestazioni, che caratterizzano i servizi pubblici. A partire da tali considerazioni, lo studio delinea una netta distinzione fra l’attività che può essere svolta dai soggetti privati in forza della libertà di assistenza, garantita dall’ultimo comma dell’art. 38 Cost. - che risponde ad una pienezza di modi e forme di svolgimento (salvi i limiti ovvi che incontra qualunque attività anche privata) - e l’attività di assistenza svolta invece dai soggetti privati quando decidano (altrettanto liberamente) di cooperare con il sistema pubblico di erogazione dei servizi sociali, accettandone conseguentemente le regole giuridiche e conformando a queste la propria azione. Ciò che infatti caratterizza l’attività di prestazione assistenziale quale servizio pubblico non è tanto la natura giuridica di chi la svolge, quanto la sua funzionalizzazione alla tutela dei diritti sociali e quindi il regime giuridico necessario ad assicurare tale tutela. In base alle premesse indicate, pertanto, il principio di sussidiarietà viene esaminato non in quanto criterio volto a definire le priorità fra l’attività pubblica e quella privata, quanto piuttosto come criterio che deve consentire di individuare le regole cui deve essere informato il rapporto fra intervento pubblico e attività privata nelle sue diverse e variabili manifestazioni. Il filo rosso dell’analisi del rapporto fra enti pubblici e soggetti privati così come delineato nel settore assistenziale si dipana quindi attraverso l’attenzione prestata alle implicazioni del principio pluralistico, nonché al complesso e articolato nesso che lega quest’ultimo al principio di sussidiarietà, nel quale si intrecciano tanto i diritti delle formazioni sociali, quanto quelli degli individui (destinatari dei servizi sociali e titolari del diritto all’assistenza), secondo dinamiche che possono essere di coincidenza ma anche di conflitto. Emerge in particolare da tale indagine come la molteplicità di operatori (privati) che erogano servizi assistenziali non consenta di ritenere automaticamente soddisfatte anche le esigenze costituzionali legate al rispetto del principio pluralistico, se essa non sia accompagnata anche dalla garanzia del rispetto della differenziazione culturale e ideale, e quindi dal rispetto delle diversità. I principi delineati forniscono la chiave di lettura un’analisi puntuale delle caratteristiche e della strutturazione giuridica dei servizi sociali, nonché del rapporto fra attività dei soggetti pubblici e di quelli privati, che ne costituisce il tratto più significativo. Il parametro normativo prevalentemente utilizzato resta la disciplina dettata dalla legge 328/2000, che pur avendo perso la funzione di legge quadro dopo la riforma del titolo V, resta ancora un punto di riferimento saldo anche per le leggi regionali emanate negli ultimi anni. Il lavoro esamina pertanto in primo luogo la disciplina della programmazione del sistema integrato dei servizi sociali; in secondo luogo affronta i molteplici problemi giuridici posti dall’accreditamento – strumento di accesso dei soggetti privati ad un sistema pubblico di erogazione delle prestazioni improntato ad una logica di concorrenza regolata; infine analizza la (scarna) disciplina relativa all’affidamento dei servizi sociali e alle modalità di scelta dei soggetti privati affidatari, per evidenziarne i profili peculiari e i possibili elementi di tensione con la normativa comunitaria, alla luce della attenzione mostrata nei tempi più recenti dall’Unione Europea al settore in questione.
2007
9788814135170
1
331
A. ALBANESE
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