A partire dal secondo dopoguerra, il tema “famiglia” assume un significato del tutto straordinario nel linguaggio della politica italiana. È da questo assunto che prende le mosse il volume, che si propone in particolare di mettere a fuoco il processo di costruzione del modello comunista di famiglia, la cui contrapposizione a quello cattolico assume un valore centrale, a livello propagandistico, nello scontro politico in atto. In tal modo il progetto che ha sotteso la ricerca è stato quello di sperimentare un approccio alla storia del Pci attraverso una chiave di lettura inedita. Il taglio si prospetta essenzialmente di tipo culturalista e le fonti usate sono molteplici: a partire dai testi “canonici” della tradizione comunista come I giorni della nostra vita di Marina Sereni, o i Consigli ai genitori di Makarenko, per poi procedere con l’analisi dei documenti ufficiali del partito, dei diversi organi di stampa (da “L’Unità” a “Rinascita”, da il “Quaderno dell’attivista” a “Noi donne, “Vie nuove”, “Il giornale dei genitori”, “Realtà sovietica”, “Nuova generazione”) e della memorialistica. Insieme alle raccolte di testimonianze prodotte negli anni Cinquanta, la ricerca ha attinto inoltre alla documentazione archivistica relativa alle Autobiografie che i militanti erano tenuti a redigere dalle Scuole di partito (conservata presso l’Istituto Gramsci di Bologna), e ad una serie di interviste inedite. L’obiettivo, evidentemente, è stato quello di confrontare il modello con la realtà, l’ideologia con le pratiche della vita quotidiana. Su questo fronte, le contraddizioni sono apparse macroscopiche, e netto il contrasto tra i costanti riferimenti all’egualitarismo sovietico, a livello di relazioni di genere, e la realtà della vita vissuta nelle famiglie dei “compagni”. Nel complesso, d’altra parte, al di là delle differenze sul piano ideologico, a livello sia della precettistica che sul piano comportamentale, molte sono risultate le somiglianze tra il modello comunista e quello cattolico. Ma soprattutto, a differenza di quanto si è soliti pensare, il linguaggio comunista si è rivelato tutt’altro che monolitico. Diverse sono apparse le voci al suo interno, spesso dissonanti le prese di posizione ufficiali, e ancor più difficili da conciliare i principi teorici con le esigenze della realpolitik. Fondamentale, dal punto di vista della concezione del privato, è risultata inoltre la cesura del 1956. Ma non contemporaneamente a tutti i livelli. Anzi, la sensazione è che le trasformazioni dal punto di vista del costume e della morale familiare avvengano – quando avvengono - con tempi molto diversi e lungo il crinale di una netta spaccatura di genere. Su questo versante, a profilarsi all’orizzonte è stata, ad esempio, una campagna d’opinione sulla “modernizzazione dei costumi” in generale e sui diritti civili in particolare, portata avanti da un’organizzazione collaterale come l’Udi, con l’appoggio di voci autorevoli all’interno del partito, tanto poco in linea con l’autorappresentazione del Pci da essere sistematicamente espunta anche dalla sua storia. Così ad essere sfatato è un altro “mito”: quello del carattere pachidermico del partito e del suo endemico “ritardo” nei confronti non solo dei nuovi strumenti mediatici, ma degli umori della stessa società civile. Al contrario ho notato proprio uno straordinario tempismo, soprattutto da parte della stampa femminile, nell’adattamento agli scenari inediti che si sarebbero aperti nel paese con l’approssimarsi della fine del decennio. Per questa via il partito stesso, che si presenta da un lato come il primo garante di un perbenismo ossessivo, che rasenta il moralismo più bigotto di stampo cattolico, e con la cultura borghese mostra, nel sottofondo, di condividere la doppia morale, finisce col trasmettere, per vie trasversali, impulsi di “laicizzazione”.

FAMIGLIE COMUNISTE. IDEOLOGIA E VITA QUOTIDIANA NELL'ITALIA DEGLI ANNI CINQUANTA / M.CASALINI. - STAMPA. - (2010), pp. -333.

FAMIGLIE COMUNISTE. IDEOLOGIA E VITA QUOTIDIANA NELL'ITALIA DEGLI ANNI CINQUANTA

CASALINI, MARIA
2010

Abstract

A partire dal secondo dopoguerra, il tema “famiglia” assume un significato del tutto straordinario nel linguaggio della politica italiana. È da questo assunto che prende le mosse il volume, che si propone in particolare di mettere a fuoco il processo di costruzione del modello comunista di famiglia, la cui contrapposizione a quello cattolico assume un valore centrale, a livello propagandistico, nello scontro politico in atto. In tal modo il progetto che ha sotteso la ricerca è stato quello di sperimentare un approccio alla storia del Pci attraverso una chiave di lettura inedita. Il taglio si prospetta essenzialmente di tipo culturalista e le fonti usate sono molteplici: a partire dai testi “canonici” della tradizione comunista come I giorni della nostra vita di Marina Sereni, o i Consigli ai genitori di Makarenko, per poi procedere con l’analisi dei documenti ufficiali del partito, dei diversi organi di stampa (da “L’Unità” a “Rinascita”, da il “Quaderno dell’attivista” a “Noi donne, “Vie nuove”, “Il giornale dei genitori”, “Realtà sovietica”, “Nuova generazione”) e della memorialistica. Insieme alle raccolte di testimonianze prodotte negli anni Cinquanta, la ricerca ha attinto inoltre alla documentazione archivistica relativa alle Autobiografie che i militanti erano tenuti a redigere dalle Scuole di partito (conservata presso l’Istituto Gramsci di Bologna), e ad una serie di interviste inedite. L’obiettivo, evidentemente, è stato quello di confrontare il modello con la realtà, l’ideologia con le pratiche della vita quotidiana. Su questo fronte, le contraddizioni sono apparse macroscopiche, e netto il contrasto tra i costanti riferimenti all’egualitarismo sovietico, a livello di relazioni di genere, e la realtà della vita vissuta nelle famiglie dei “compagni”. Nel complesso, d’altra parte, al di là delle differenze sul piano ideologico, a livello sia della precettistica che sul piano comportamentale, molte sono risultate le somiglianze tra il modello comunista e quello cattolico. Ma soprattutto, a differenza di quanto si è soliti pensare, il linguaggio comunista si è rivelato tutt’altro che monolitico. Diverse sono apparse le voci al suo interno, spesso dissonanti le prese di posizione ufficiali, e ancor più difficili da conciliare i principi teorici con le esigenze della realpolitik. Fondamentale, dal punto di vista della concezione del privato, è risultata inoltre la cesura del 1956. Ma non contemporaneamente a tutti i livelli. Anzi, la sensazione è che le trasformazioni dal punto di vista del costume e della morale familiare avvengano – quando avvengono - con tempi molto diversi e lungo il crinale di una netta spaccatura di genere. Su questo versante, a profilarsi all’orizzonte è stata, ad esempio, una campagna d’opinione sulla “modernizzazione dei costumi” in generale e sui diritti civili in particolare, portata avanti da un’organizzazione collaterale come l’Udi, con l’appoggio di voci autorevoli all’interno del partito, tanto poco in linea con l’autorappresentazione del Pci da essere sistematicamente espunta anche dalla sua storia. Così ad essere sfatato è un altro “mito”: quello del carattere pachidermico del partito e del suo endemico “ritardo” nei confronti non solo dei nuovi strumenti mediatici, ma degli umori della stessa società civile. Al contrario ho notato proprio uno straordinario tempismo, soprattutto da parte della stampa femminile, nell’adattamento agli scenari inediti che si sarebbero aperti nel paese con l’approssimarsi della fine del decennio. Per questa via il partito stesso, che si presenta da un lato come il primo garante di un perbenismo ossessivo, che rasenta il moralismo più bigotto di stampo cattolico, e con la cultura borghese mostra, nel sottofondo, di condividere la doppia morale, finisce col trasmettere, per vie trasversali, impulsi di “laicizzazione”.
2010
9788815139450
333
M.CASALINI
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