Alcuni autorevoli contributi recenti e qualche restauro suggeriscono di ripensare un tema molto importante della scultura lignea preduecentesca – il crocifisso monumentale vivo e vittorioso sulla morte – specie dal punto di vista del rapporto con i suoi modelli, plastici e suntuari. Il ripensamento concerne alcuni esemplari paradigmatici dell’Italia settentrionale, tutti databili nella seconda metà del XII secolo o al principio del XIII: i crocifissi di Casale Monferrato, Forlì, Piacenza, Bologna, San Candido, Bolzano, e il crocifisso della Galleria Sabauda di Torino (che a differenza degli altri fonde le iconografie del Cristo “doloroso” e del cristo “trionfante”). Tutte queste sculture di grandi dimensioni si ispirano a modelli carolingi (come l’esemplare già in San Pietro a Roma, distrutto nel XVI secolo) e ottoniani (crocifissi di Pavia e Vercelli), che erano soprattutto oreficerie di proporzioni monumentali. I crocifissi “romanici” dialogano con i modelli della tradizione dichiarandosi essenzialmente come sculture ma mantenendo il confronto con l’oreficeria attraverso i rivestimenti in lamine e l’uso del colore. Questo rapporto viene gradualmente meno nel corso del XII secolo, allorché i crocifissi sono concepiti come sculture e non tanto come oggetti d’arte preziosa. In molti di questi casi la fedeltà al modello, pur temperata da moderate innovazioni linguistiche, contribuisce a esaltare la regalità di Cristo ma anche e soprattutto a legittimare la Chiesa romana, e in tale chiave sembra doversi leggere il riferimento all’effigie di San Pietro. La volontà di citare un prototipo illustre può concorrere a spiegare peculiarità di linguaggio e di stile altrimenti difficili da rintracciare nella pittura e nella scultura architettonica degli stessi periodi e delle stesse regioni. Anche per questo quei crocifissi sono finora apparsi isolati in un contesto geografico e culturale che non deve più apparirci come un vuoto deserto.

Di alcuni crocifissi 'trionfali' del secolo XII nell'Italia settentrionale / F. Cervini. - In: ARTE MEDIEVALE. - ISSN 0393-7267. - STAMPA. - VII, 1:(2008), pp. 9-32.

Di alcuni crocifissi 'trionfali' del secolo XII nell'Italia settentrionale

CERVINI, FULVIO
2008

Abstract

Alcuni autorevoli contributi recenti e qualche restauro suggeriscono di ripensare un tema molto importante della scultura lignea preduecentesca – il crocifisso monumentale vivo e vittorioso sulla morte – specie dal punto di vista del rapporto con i suoi modelli, plastici e suntuari. Il ripensamento concerne alcuni esemplari paradigmatici dell’Italia settentrionale, tutti databili nella seconda metà del XII secolo o al principio del XIII: i crocifissi di Casale Monferrato, Forlì, Piacenza, Bologna, San Candido, Bolzano, e il crocifisso della Galleria Sabauda di Torino (che a differenza degli altri fonde le iconografie del Cristo “doloroso” e del cristo “trionfante”). Tutte queste sculture di grandi dimensioni si ispirano a modelli carolingi (come l’esemplare già in San Pietro a Roma, distrutto nel XVI secolo) e ottoniani (crocifissi di Pavia e Vercelli), che erano soprattutto oreficerie di proporzioni monumentali. I crocifissi “romanici” dialogano con i modelli della tradizione dichiarandosi essenzialmente come sculture ma mantenendo il confronto con l’oreficeria attraverso i rivestimenti in lamine e l’uso del colore. Questo rapporto viene gradualmente meno nel corso del XII secolo, allorché i crocifissi sono concepiti come sculture e non tanto come oggetti d’arte preziosa. In molti di questi casi la fedeltà al modello, pur temperata da moderate innovazioni linguistiche, contribuisce a esaltare la regalità di Cristo ma anche e soprattutto a legittimare la Chiesa romana, e in tale chiave sembra doversi leggere il riferimento all’effigie di San Pietro. La volontà di citare un prototipo illustre può concorrere a spiegare peculiarità di linguaggio e di stile altrimenti difficili da rintracciare nella pittura e nella scultura architettonica degli stessi periodi e delle stesse regioni. Anche per questo quei crocifissi sono finora apparsi isolati in un contesto geografico e culturale che non deve più apparirci come un vuoto deserto.
2008
VII, 1
9
32
F. Cervini
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