Sul concetto di homo oeconomicus Pantaleoni e Pareto tentarono di rifondare la teoria economica. Ben al di là delle loro intenzioni e nonostante le critiche ad esso portate, questo concetto ha trovato una singolare diffusione: non solo fra gli economisti ma anche nell’uso corrente, fino ad assumere una confusa varietà di significati che spesso hanno a che fare più con l’ideologia che con la scienza. Il libro cerca di portare ordine entro questa nebulosa, ricostruendo una decina di significati principali ordinati in tre categorie (metodologico-formali, antropologico-deboli, antropologico-forti); passa quindi a esaminare le critiche – numerose e severe – che, sopra tutto nell’ambito filosofico e delle scienze sociali, sono state portate contro tale concetto, al fine di vedere quali “versioni” possano essere eventualmente salvate ai fini di una teoria descrittiva e/o normativa dell’agire economico. Nessuna delle versioni così com’è si salva, perché tutte sono fondate su una psicologia vecchia e non scientifica, talora del tutto immaginaria. Tuttavia: le versioni metodologico-formali possono forse essere salvate, se integrate e corrette sulla base della nuova psicologia economica. Le versioni antropologico-deboli, inutilizzabili come astrazioni indeterminate, possono forse essere ripensate come astrazioni determinate di carattere idealtipico deducibili da un modello generale (a condizione di specificare di volta in volta il valore di talune variabili: modo di produzione, carattere sociale, identità sociale). Viceversa, delle versioni antropologico-forti (quelle che pretendono di raggiungere l’essenza dell’umano) non è possibile nessuno recupero ed è lecita – anzi, doverosa – una critica radicale. L’antropologia filosofica mostra come queste versioni di homo oeconomicus presuppongano una immagine dell’uomo del tutto implausibile, che unilateralmente assolutizza questa o quella caratteristica. La filosofia politica ne mostra le valenze ideologiche, sia di destra che di sinistra: o come ingredienti di dottrine quanto mai discutibili e pericolose (del tipo: cowboy economy, mercatismo, turbo-capitalismo) o, paradossalmente, come giustificazione di un potere politico che si vuole sempre più forte, al fine dichiarato di proteggere la comunità dall’egoismo degli individui. Ad avviso dell’autore, la degenerazione dell’homo oeconomicus nella figura del predatore senza scrupoli è stata paradossalmente permessa e resa possibile, sul piano epistemologico, dalla preferenza che gli economisti hanno sempre manifestato per una “psicologia” puramente teoretica, che esclude ogni confronto con la psicologia vera (quella empirica degli psicologi) e ignora in particolare la psicologia sociale. Nelle forme vuote di questa improbabile “psicologia degli economisti” fa irruzione, quale immagine della “natura umana” e surrogato della psicologia sociale, un socialdarwinismo d’accatto che nulla ha a che fare col darwinismo vero. Per finire, l’Appendice discute due esempi del nuovo dialogo che è possibile instaurare fra psicologia ed economia: in teoria (con la rivisitazione del concetto keynesiano di “spiriti animali” da parte di Akerlof e Shiller) e in pratica (con la nudge strategy teorizzata da Thaler e Sunstein).
Homo oeconomicus: paradigma, critiche, revisioni / S. Caruso. - STAMPA. - (2012), pp. 1-176.
Homo oeconomicus: paradigma, critiche, revisioni
CARUSO, SERGIO
2012
Abstract
Sul concetto di homo oeconomicus Pantaleoni e Pareto tentarono di rifondare la teoria economica. Ben al di là delle loro intenzioni e nonostante le critiche ad esso portate, questo concetto ha trovato una singolare diffusione: non solo fra gli economisti ma anche nell’uso corrente, fino ad assumere una confusa varietà di significati che spesso hanno a che fare più con l’ideologia che con la scienza. Il libro cerca di portare ordine entro questa nebulosa, ricostruendo una decina di significati principali ordinati in tre categorie (metodologico-formali, antropologico-deboli, antropologico-forti); passa quindi a esaminare le critiche – numerose e severe – che, sopra tutto nell’ambito filosofico e delle scienze sociali, sono state portate contro tale concetto, al fine di vedere quali “versioni” possano essere eventualmente salvate ai fini di una teoria descrittiva e/o normativa dell’agire economico. Nessuna delle versioni così com’è si salva, perché tutte sono fondate su una psicologia vecchia e non scientifica, talora del tutto immaginaria. Tuttavia: le versioni metodologico-formali possono forse essere salvate, se integrate e corrette sulla base della nuova psicologia economica. Le versioni antropologico-deboli, inutilizzabili come astrazioni indeterminate, possono forse essere ripensate come astrazioni determinate di carattere idealtipico deducibili da un modello generale (a condizione di specificare di volta in volta il valore di talune variabili: modo di produzione, carattere sociale, identità sociale). Viceversa, delle versioni antropologico-forti (quelle che pretendono di raggiungere l’essenza dell’umano) non è possibile nessuno recupero ed è lecita – anzi, doverosa – una critica radicale. L’antropologia filosofica mostra come queste versioni di homo oeconomicus presuppongano una immagine dell’uomo del tutto implausibile, che unilateralmente assolutizza questa o quella caratteristica. La filosofia politica ne mostra le valenze ideologiche, sia di destra che di sinistra: o come ingredienti di dottrine quanto mai discutibili e pericolose (del tipo: cowboy economy, mercatismo, turbo-capitalismo) o, paradossalmente, come giustificazione di un potere politico che si vuole sempre più forte, al fine dichiarato di proteggere la comunità dall’egoismo degli individui. Ad avviso dell’autore, la degenerazione dell’homo oeconomicus nella figura del predatore senza scrupoli è stata paradossalmente permessa e resa possibile, sul piano epistemologico, dalla preferenza che gli economisti hanno sempre manifestato per una “psicologia” puramente teoretica, che esclude ogni confronto con la psicologia vera (quella empirica degli psicologi) e ignora in particolare la psicologia sociale. Nelle forme vuote di questa improbabile “psicologia degli economisti” fa irruzione, quale immagine della “natura umana” e surrogato della psicologia sociale, un socialdarwinismo d’accatto che nulla ha a che fare col darwinismo vero. Per finire, l’Appendice discute due esempi del nuovo dialogo che è possibile instaurare fra psicologia ed economia: in teoria (con la rivisitazione del concetto keynesiano di “spiriti animali” da parte di Akerlof e Shiller) e in pratica (con la nudge strategy teorizzata da Thaler e Sunstein).File | Dimensione | Formato | |
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