Le ricerche farmacologiche e la manipolazione chimica delle molecole sono state negli anni sempre più orientate a sintetizzare farmaci dotati di maggior efficacia terapeutica ed alta tollerabilità. In psicofarmacologia, gli antidepressivi triciclici (TCA), in grado di determinare effetti collaterali che possono condizionare la possibilità del trattamento (Faravelli et al. 1992), sono oggi considerati farmaci di vecchia generazione rispetto ai più recenti Inibitori Selettivi del Reuptake della Serotonina (SSRI). Queste nuove molecole presentano maggior specificità recettoriale e presumibilmente maggior tollerabilità, e perciò stanno diventando la terapia di prima scelta dei disturbi dell'umore e di ansia (Clinical Practice Guideline Number 5, 1993). A fronte di questo fenomeno e dell’opinione comune che gli SSRI hanno una maggiore tollerabilità, molti studi non mostrano vantaggi significativi degli SSRI rispetto ai TCA né in termini di efficacia né in termini di tollerabilità (Mitchell et al. 1997; Steffens et al. 1997; Rosholm et al. 1997; Isacsson et al. 1999, Anderson 2000). La differenza sostanziale è più che altro legata ad una maggior sicurezza degli SSRI in caso di overdose, soprattutto in termini di cardiotossicità. Per quanto riguarda gli antidepressivi triciclici, hanno un’azione recettoriale ad ampio spettro per cui bloccando la ricaptazione di serotonina e noradrenalina determinano l’effetto terapeutico mentre bloccando i recettori colinergici muscarinici, H1 per l'istamina, 1-adrenergici, sono responsabili dei caratteristici effetti collaterali. Oltre agli effetti collaterali oggettivamente rilevabili, gli antidepressivi triciclici determinano effetti soggettivi sgradevoli, per cui alcuni pazienti non riescono a tollerare la terapia (Faravelli et al. 1992). La reale dipendenza dal farmaco di questi effetti è stata più volte messa in dubbio; si è osservato che parte degli effetti collaterali durante il trattamento con TCA sono sintomi depressivi preesistenti, non iatrogeni. Valutando il profilo di tollerabilità, è inoltre necessario considerare che lo stesso placebo non è scevro da effetti collaterali. In uno studio di confronto triciclico versus placebo è stato osservato che sintomi generali quali facile affaticabilità, allergia, dolore, brividi ed edema localizzato si verificavano nel 25% della popolazione trattata con placebo (Physicians' desk reference 1997). Per quanto riguarda gli Inibitori Selettivi del Re-uptake della Serotonina, si tratta di molecole dotate di elevata affinità per i trasportatori della serotonina, scarsa affinità per i trasportatori di noradrenalina e dopamina, per i recettori adrenergici ( e ), istaminergici, muscarinici. L’alta selettività lascia supporre una maggior tollerabilità, non confermata però né dalla pratica clinica né dalla letteratura. Gli effetti collaterali più comuni sono: nausea (25%-65% dei casi trattati), nervosismo (15%-33%) ed insonnia (11%-24%). Non tutti gli effetti collaterali sembrano realmente iatrogeni dato che studi di confronto SSRI versus placebo hanno mostrato che lo stesso placebo dà luogo ad effetti indesiderati. La nausea ad esempio si verifica nel 9% dei soggetti trattati con placebo e nel 26% dei soggetti trattati con paroxetina; l'astenia nel 6% dei soggetti che ricevono placebo e nel 15% dei soggetti in terapia con il farmaco attivo (Psysicians' Desk Reference 1997). A fronte di un accordo generale sulla minor cardiotossicità degli SSRI rispetto ai TCA in caso di sovradosaggio (Hollister 1981; Nurnberg 1999), i risultati inerenti gli effetti collaterali sono complessi e contrastanti. La maggior parte degli studi comparativi suggerisce un vantaggio degli SSRI rispetto ai TCA (Mitchell et al. 1997) mentre in una meta-analisi (Anderson, 2000) gli SSRI hanno mostrato un profilo di effetti collaterali solo debolmente più accettabile rispetto a quello dei TCA ed alcuni studi non mostrano una differenza significativa fra le due classi di farmaci in termini di drop-out da effetti collaterali (Trindade et al. 1998). Poiché i risultati sono contrastanti e derivano principalmente da studi clinici di fase III, è interessante considerare se il metodo dei trial condotti possa in qualche modo introdurre dei bias capaci di modificare i risultati. E’ infatti evidente che gli studi di fase III presentano limiti importanti ed imprescindibili. I trial clinici hanno spesso un bias dovuto all’utilizzo di criteri di inclusione troppo selettivi. Ad esempio, in genere non valutano campioni di soggetti affetti da sottotipi diversi di depressione (bipolare, psicotica, distimia); non danno informazioni sulla tollerabilità nell’anziano, soprattutto qualora ci sia una significativa patologia cardiovascolare concomitante; non chiariscono il profilo di efficacia in caso di comorbilità di due o più disturbi psichiatrici; raramente valutano pazienti non responsivi al trattamento. Inoltre troppo spesso hanno una durata molto limitata per cui non considerano gli effetti collaterali a lungo termine, a fronte di un’ampia casistica di pazienti che necessita di trattamenti prolungati. In più, il confronto TCA versus SSRI per quanto riguarda gli effetti collaterali è in genere realizzato utilizzando come farmaci di riferimento imipramina ed amitriptilina che sono notoriamente i farmaci meno tollerabili della classe dei triciclici. Non dobbiamo infine dimenticare che esiste un sostanziale interesse da parte delle case farmaceutiche a dare fondi alla ricerca in modo da supportare l’uso dei nuovi prodotti. Tali forme di finanziamento possono influenzare le scelte metodologiche ed i risultati. Ad esempio, è interessante notare che i trial clinici mostrano in genere che il nuovo farmaco è migliore/pari in efficacia e meglio tollerabile del vecchio. Il dubbio è che i risultati negativi non vengano pubblicati. Appare quindi importante considerare se i dati ottenuti da studi clinici di fase III permettano effettivamente un’estrapolazione riferibile alla più vasta popolazione di pazienti che si intende trattare, e se siano sempre in grado di offrire informazioni utili e trasponibili all’attività clinica quotidiana. E’ opinione degli autori che sia sempre necessario effettuare un’attenta analisi dei metodi e dei risultati dei trial clinici e, in base ad una critica rivalutazione di essi, acquisire le informazioni ed effettuare le scelte terapeutiche opportune.

Reazioni avverse ai nuovi e vecchi antidepressivi / C. Faravelli; F. Cosci. - STAMPA. - Abstract Book:(2002), pp. 88-91. (Intervento presentato al convegno XIII Congresso della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia tenutosi a Milano nel 9-12 luglio 2002).

Reazioni avverse ai nuovi e vecchi antidepressivi

FARAVELLI, CARLO;COSCI, FIAMMETTA
2002

Abstract

Le ricerche farmacologiche e la manipolazione chimica delle molecole sono state negli anni sempre più orientate a sintetizzare farmaci dotati di maggior efficacia terapeutica ed alta tollerabilità. In psicofarmacologia, gli antidepressivi triciclici (TCA), in grado di determinare effetti collaterali che possono condizionare la possibilità del trattamento (Faravelli et al. 1992), sono oggi considerati farmaci di vecchia generazione rispetto ai più recenti Inibitori Selettivi del Reuptake della Serotonina (SSRI). Queste nuove molecole presentano maggior specificità recettoriale e presumibilmente maggior tollerabilità, e perciò stanno diventando la terapia di prima scelta dei disturbi dell'umore e di ansia (Clinical Practice Guideline Number 5, 1993). A fronte di questo fenomeno e dell’opinione comune che gli SSRI hanno una maggiore tollerabilità, molti studi non mostrano vantaggi significativi degli SSRI rispetto ai TCA né in termini di efficacia né in termini di tollerabilità (Mitchell et al. 1997; Steffens et al. 1997; Rosholm et al. 1997; Isacsson et al. 1999, Anderson 2000). La differenza sostanziale è più che altro legata ad una maggior sicurezza degli SSRI in caso di overdose, soprattutto in termini di cardiotossicità. Per quanto riguarda gli antidepressivi triciclici, hanno un’azione recettoriale ad ampio spettro per cui bloccando la ricaptazione di serotonina e noradrenalina determinano l’effetto terapeutico mentre bloccando i recettori colinergici muscarinici, H1 per l'istamina, 1-adrenergici, sono responsabili dei caratteristici effetti collaterali. Oltre agli effetti collaterali oggettivamente rilevabili, gli antidepressivi triciclici determinano effetti soggettivi sgradevoli, per cui alcuni pazienti non riescono a tollerare la terapia (Faravelli et al. 1992). La reale dipendenza dal farmaco di questi effetti è stata più volte messa in dubbio; si è osservato che parte degli effetti collaterali durante il trattamento con TCA sono sintomi depressivi preesistenti, non iatrogeni. Valutando il profilo di tollerabilità, è inoltre necessario considerare che lo stesso placebo non è scevro da effetti collaterali. In uno studio di confronto triciclico versus placebo è stato osservato che sintomi generali quali facile affaticabilità, allergia, dolore, brividi ed edema localizzato si verificavano nel 25% della popolazione trattata con placebo (Physicians' desk reference 1997). Per quanto riguarda gli Inibitori Selettivi del Re-uptake della Serotonina, si tratta di molecole dotate di elevata affinità per i trasportatori della serotonina, scarsa affinità per i trasportatori di noradrenalina e dopamina, per i recettori adrenergici ( e ), istaminergici, muscarinici. L’alta selettività lascia supporre una maggior tollerabilità, non confermata però né dalla pratica clinica né dalla letteratura. Gli effetti collaterali più comuni sono: nausea (25%-65% dei casi trattati), nervosismo (15%-33%) ed insonnia (11%-24%). Non tutti gli effetti collaterali sembrano realmente iatrogeni dato che studi di confronto SSRI versus placebo hanno mostrato che lo stesso placebo dà luogo ad effetti indesiderati. La nausea ad esempio si verifica nel 9% dei soggetti trattati con placebo e nel 26% dei soggetti trattati con paroxetina; l'astenia nel 6% dei soggetti che ricevono placebo e nel 15% dei soggetti in terapia con il farmaco attivo (Psysicians' Desk Reference 1997). A fronte di un accordo generale sulla minor cardiotossicità degli SSRI rispetto ai TCA in caso di sovradosaggio (Hollister 1981; Nurnberg 1999), i risultati inerenti gli effetti collaterali sono complessi e contrastanti. La maggior parte degli studi comparativi suggerisce un vantaggio degli SSRI rispetto ai TCA (Mitchell et al. 1997) mentre in una meta-analisi (Anderson, 2000) gli SSRI hanno mostrato un profilo di effetti collaterali solo debolmente più accettabile rispetto a quello dei TCA ed alcuni studi non mostrano una differenza significativa fra le due classi di farmaci in termini di drop-out da effetti collaterali (Trindade et al. 1998). Poiché i risultati sono contrastanti e derivano principalmente da studi clinici di fase III, è interessante considerare se il metodo dei trial condotti possa in qualche modo introdurre dei bias capaci di modificare i risultati. E’ infatti evidente che gli studi di fase III presentano limiti importanti ed imprescindibili. I trial clinici hanno spesso un bias dovuto all’utilizzo di criteri di inclusione troppo selettivi. Ad esempio, in genere non valutano campioni di soggetti affetti da sottotipi diversi di depressione (bipolare, psicotica, distimia); non danno informazioni sulla tollerabilità nell’anziano, soprattutto qualora ci sia una significativa patologia cardiovascolare concomitante; non chiariscono il profilo di efficacia in caso di comorbilità di due o più disturbi psichiatrici; raramente valutano pazienti non responsivi al trattamento. Inoltre troppo spesso hanno una durata molto limitata per cui non considerano gli effetti collaterali a lungo termine, a fronte di un’ampia casistica di pazienti che necessita di trattamenti prolungati. In più, il confronto TCA versus SSRI per quanto riguarda gli effetti collaterali è in genere realizzato utilizzando come farmaci di riferimento imipramina ed amitriptilina che sono notoriamente i farmaci meno tollerabili della classe dei triciclici. Non dobbiamo infine dimenticare che esiste un sostanziale interesse da parte delle case farmaceutiche a dare fondi alla ricerca in modo da supportare l’uso dei nuovi prodotti. Tali forme di finanziamento possono influenzare le scelte metodologiche ed i risultati. Ad esempio, è interessante notare che i trial clinici mostrano in genere che il nuovo farmaco è migliore/pari in efficacia e meglio tollerabile del vecchio. Il dubbio è che i risultati negativi non vengano pubblicati. Appare quindi importante considerare se i dati ottenuti da studi clinici di fase III permettano effettivamente un’estrapolazione riferibile alla più vasta popolazione di pazienti che si intende trattare, e se siano sempre in grado di offrire informazioni utili e trasponibili all’attività clinica quotidiana. E’ opinione degli autori che sia sempre necessario effettuare un’attenta analisi dei metodi e dei risultati dei trial clinici e, in base ad una critica rivalutazione di essi, acquisire le informazioni ed effettuare le scelte terapeutiche opportune.
2002
Abstract Book
XIII Congresso della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia
Milano
9-12 luglio 2002
C. Faravelli; F. Cosci
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