Sullo sfondo dell’atavica questione relativa al rapporto tra processo penale e verità si staglia la ricostruzione dei limiti probatori nell’attuale processo penale. La prima parte del lavoro affronta in maniera sistematica la disciplina della inutilizzabilità nel codice di procedura penale del 1988. Vengono tracciate con sicurezza le linee direttrici lungo le quali si muovono le ipotesi fisiologiche e patologiche e ci si sofferma a lungo sul concetto di divieto probatorio e sul tema spinoso della prova illecita, esplorato alla luce della recente riforma delle intercettazioni illegali, che impone di riconsiderare funditus l’intera questione. La novella del 2006, infatti, ha innestato nel codice una disciplina complessa, che impone un coordinamento con il sistema penale, nonché con la disciplina del testo unico sulla privacy. I concetti di “intercettazione illegale” e di “raccolta illegale di informazioni”, inediti nel codice di rito, sono stati oggetto di una indagine finalizzata a determinarne il contenuto. Particolarmente pregevole è, poi, l’esame della prova incostituzionale. Per un verso, la trattazione di teoria generale offre una ricostruzione che, percorrendo una trama ermeneutica originale, giunge a considerare inutilizzabili le prove lesive dei diritti fondamentali. Per un altro verso, il volume presenta un esame organico delle prove in relazione alle quali la categoria in oggetto è stata invocata (tabulati telefonici, video-riprese ecc.), corredato da ricchi riferimenti giurisprudenziali. Avvicinandosi gradualmente alla questione centrale del lavoro – la possibilità di superare, in alcuni casi, i limiti probatori presenti nel codice – il volume esamina, con un approccio innovativo, quelle pronunce giurisprudenziali che, spesso mosse dalla necessità di recuperare dati probatori determinanti per l’esito del processo, hanno prospettato escamotages interpretativi finalizzati al superamento della inutilizzabilità. L’analisi, condotta in chiave critica, affronta, in particolare, il tema della inutilizzabilità derivata e quello che viene denominata “principio di non sostituibilità” tra prove. In base a tale canone, non è possibile impiegare una prova al fine di introdurre nel processo risultati che sarebbero vietati in base alla disciplina di altre prove. Accanto al tema classico della ricognizione informale in dibattimento, viene esaminato sotto questo denominatore comune un catalogo di ipotesi, tra le quali spicca la questione delle prove raccolte dall’infiltrato. I risultati raggiunti nei primi tre capitoli si completano con un approfondito excursus di diritto comparato, che scandaglia origini storiche, rationes e sviluppi giurisprudenziali dei limiti probatori nei principali ordinamenti stranieri. Si passa, così, dalla exclusionary rule del sistema nordamericano, alla illegally obtained evidence dell’ordinamento inglese, ai Beweisverbote del processo penale tedesco, alla prueba ilícita spagnola, fino ad arrivare al sistema francese, dove, a prima vista, la prova illegale incorre soltanto nella sanzione della nullità. Questa ardua comparazione conduce ad un risultato prezioso: tutti gli ordinamenti esaminati recano un formante giurisprudenziale comune, costituito dalla possibilità di superare la inutilizzabilità allorché l’utilità euristica del dato probatorio sopravanza la gravità della lesione al bene giuridico tutelato dalla sanzione processuale. Non senza inevitabili differenze, dovute alle origini storiche ed alla architettura giuridica dei vari sistemi, è possibile delineare, dunque, uno strumento che li accomuna: il cd. principio del bilanciamento tra gli interessi contrapposti. In particolare, viene dato risalto ad un orientamento dottrinale sorto in Germania nella seconda metà degli anni Novanta dello scorso secolo e sostenuto da Klaus Rogall. L’indirizzo in oggetto giunge a prospettare una codificazione del principio del bilanciamento attraverso una disciplina di diritto positivo che cristallizza i termini da tenere in considerazione (rilevanza dell’interesse tutelato dal divieto probatorio, gravità della violazione, eventuale consenso del titolare dell’interesse leso, valore probatorio del dato ecc.). Il bilanciamento viene reso “normativo” al fine di rispondere a quella obiezione, sovente mossa a tale istituto, che stigmatizza l’eccessivo spazio concesso alla discrezionalità giudiziale. Nell’ultimo capitolo, il volume affronta, in prospettiva de iure condendo, la possibilità di applicare alla inutilizzabilità alcune ipotesi di sanatoria. Si tratta di un tema delicato sul quale si sta discutendo anche nella Commissione Riccio, incaricata di predisporre un progetto di legge-delega per un nuovo codice di procedura penale. Inizia così una trattazione di teoria generale che, dopo aver scandagliato il funzionamento e la ratio delle sanatorie attualmente previste per la nullità, nonché l’operatività del cd. difetto di offensività e della conversione dell’atto imperfetto, si interroga sulla compatibilità delle medesime con la variegata categoria sanzionatoria della inutilizzabilità, così come emersa dall’analisi effettuata nei capitoli precedenti. Soltanto alcuni tra gli istituti esaminati risultano compatibili con la inutilizzabilità; l’Autrice ne prospetta la codificazione, che garantirebbe un duplice vantaggio. Per un verso, darebbe sfogo alle istanze di conservazione del dato, che oggi vengono tutelate da soluzioni giurisprudenziali non sempre ortodosse rispetto ai princìpi ricavabili dal codice. Per un altro verso, non creerebbe strappi soverchi all’interno del sistema, giacché consentirebbe di incardinare le istanze di superamento in una disciplina di diritto positivo rispettosa del principio di tassatività.
Accertamento del fatto e inutilizzabilità nel processo penale / C. Conti. - STAMPA. - (2007), pp. 1-539.
Accertamento del fatto e inutilizzabilità nel processo penale
CONTI, CARLOTTA
2007
Abstract
Sullo sfondo dell’atavica questione relativa al rapporto tra processo penale e verità si staglia la ricostruzione dei limiti probatori nell’attuale processo penale. La prima parte del lavoro affronta in maniera sistematica la disciplina della inutilizzabilità nel codice di procedura penale del 1988. Vengono tracciate con sicurezza le linee direttrici lungo le quali si muovono le ipotesi fisiologiche e patologiche e ci si sofferma a lungo sul concetto di divieto probatorio e sul tema spinoso della prova illecita, esplorato alla luce della recente riforma delle intercettazioni illegali, che impone di riconsiderare funditus l’intera questione. La novella del 2006, infatti, ha innestato nel codice una disciplina complessa, che impone un coordinamento con il sistema penale, nonché con la disciplina del testo unico sulla privacy. I concetti di “intercettazione illegale” e di “raccolta illegale di informazioni”, inediti nel codice di rito, sono stati oggetto di una indagine finalizzata a determinarne il contenuto. Particolarmente pregevole è, poi, l’esame della prova incostituzionale. Per un verso, la trattazione di teoria generale offre una ricostruzione che, percorrendo una trama ermeneutica originale, giunge a considerare inutilizzabili le prove lesive dei diritti fondamentali. Per un altro verso, il volume presenta un esame organico delle prove in relazione alle quali la categoria in oggetto è stata invocata (tabulati telefonici, video-riprese ecc.), corredato da ricchi riferimenti giurisprudenziali. Avvicinandosi gradualmente alla questione centrale del lavoro – la possibilità di superare, in alcuni casi, i limiti probatori presenti nel codice – il volume esamina, con un approccio innovativo, quelle pronunce giurisprudenziali che, spesso mosse dalla necessità di recuperare dati probatori determinanti per l’esito del processo, hanno prospettato escamotages interpretativi finalizzati al superamento della inutilizzabilità. L’analisi, condotta in chiave critica, affronta, in particolare, il tema della inutilizzabilità derivata e quello che viene denominata “principio di non sostituibilità” tra prove. In base a tale canone, non è possibile impiegare una prova al fine di introdurre nel processo risultati che sarebbero vietati in base alla disciplina di altre prove. Accanto al tema classico della ricognizione informale in dibattimento, viene esaminato sotto questo denominatore comune un catalogo di ipotesi, tra le quali spicca la questione delle prove raccolte dall’infiltrato. I risultati raggiunti nei primi tre capitoli si completano con un approfondito excursus di diritto comparato, che scandaglia origini storiche, rationes e sviluppi giurisprudenziali dei limiti probatori nei principali ordinamenti stranieri. Si passa, così, dalla exclusionary rule del sistema nordamericano, alla illegally obtained evidence dell’ordinamento inglese, ai Beweisverbote del processo penale tedesco, alla prueba ilícita spagnola, fino ad arrivare al sistema francese, dove, a prima vista, la prova illegale incorre soltanto nella sanzione della nullità. Questa ardua comparazione conduce ad un risultato prezioso: tutti gli ordinamenti esaminati recano un formante giurisprudenziale comune, costituito dalla possibilità di superare la inutilizzabilità allorché l’utilità euristica del dato probatorio sopravanza la gravità della lesione al bene giuridico tutelato dalla sanzione processuale. Non senza inevitabili differenze, dovute alle origini storiche ed alla architettura giuridica dei vari sistemi, è possibile delineare, dunque, uno strumento che li accomuna: il cd. principio del bilanciamento tra gli interessi contrapposti. In particolare, viene dato risalto ad un orientamento dottrinale sorto in Germania nella seconda metà degli anni Novanta dello scorso secolo e sostenuto da Klaus Rogall. L’indirizzo in oggetto giunge a prospettare una codificazione del principio del bilanciamento attraverso una disciplina di diritto positivo che cristallizza i termini da tenere in considerazione (rilevanza dell’interesse tutelato dal divieto probatorio, gravità della violazione, eventuale consenso del titolare dell’interesse leso, valore probatorio del dato ecc.). Il bilanciamento viene reso “normativo” al fine di rispondere a quella obiezione, sovente mossa a tale istituto, che stigmatizza l’eccessivo spazio concesso alla discrezionalità giudiziale. Nell’ultimo capitolo, il volume affronta, in prospettiva de iure condendo, la possibilità di applicare alla inutilizzabilità alcune ipotesi di sanatoria. Si tratta di un tema delicato sul quale si sta discutendo anche nella Commissione Riccio, incaricata di predisporre un progetto di legge-delega per un nuovo codice di procedura penale. Inizia così una trattazione di teoria generale che, dopo aver scandagliato il funzionamento e la ratio delle sanatorie attualmente previste per la nullità, nonché l’operatività del cd. difetto di offensività e della conversione dell’atto imperfetto, si interroga sulla compatibilità delle medesime con la variegata categoria sanzionatoria della inutilizzabilità, così come emersa dall’analisi effettuata nei capitoli precedenti. Soltanto alcuni tra gli istituti esaminati risultano compatibili con la inutilizzabilità; l’Autrice ne prospetta la codificazione, che garantirebbe un duplice vantaggio. Per un verso, darebbe sfogo alle istanze di conservazione del dato, che oggi vengono tutelate da soluzioni giurisprudenziali non sempre ortodosse rispetto ai princìpi ricavabili dal codice. Per un altro verso, non creerebbe strappi soverchi all’interno del sistema, giacché consentirebbe di incardinare le istanze di superamento in una disciplina di diritto positivo rispettosa del principio di tassatività.I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.