Il lavoro è stato suddiviso sostanzialmente in due parti: nella prima parte ho proceduto, innanzitutto, a descrivere l’istituto del principio di determinatezza, evidenziando la funzione che sta alla base del principio medesimo e la problematica delle fonti e della sua costituzionalizzazione, con particolare attenzione dedicata ad alcune importanti pronunce della Corte Costituzionale diretta a verificare in che modo il giudice delle leggi abbia inteso accogliere o meno le eccezioni di incostituzionalità di diverse disposizioni normative, ritenute in contrasto con il principio in commento; diversi sono i criteri utilizzati dalla Corte prudentemente diretti, nella maggior parte dei casi, a negarne la violazione (criterio del significato linguistico, criterio del diritto vivente, e criterio tipologico). Sono poi passato a verificare gli strumenti in grado di garantire la determinatezza della norma penale, nonché i diversi fattori in grado di incidere sul principio di determinatezza, evidenziando la necessità di utilizzazione di un corretto canone di tecnica legislativa da adottare al momento della redazione della fattispecie, al fine di evitare una tecnica legislativa per clausole generali, soffermandomi, in particolare, sulla tecnica “casistica” e sulla tecnica della “normazione sintetica”. La descrizione degli strumenti di tecnica legislativa, diretti a garantire la determinatezza della fattispecie, pone in auge un problema di linguaggio, ed in particolare, di rapporti tra il diritto ed il linguaggio. In tal senso si spiega l’ulteriore approfondimento diretto alla distinzione tra elementi “normativi” e “descrittivi” della fattispecie, durante il quale ho evidenziato in quali casi le problematiche della determinatezza della norma penale assumano una maggiore criticità. Tale approfondimento mi ha portato a delimitare il mio campo di indagine all’elemento sul quale, più di ogni altro, si pongono le esigenze di determinatezza, ovvero l’“enunciato normativo”, nonché il rapporto di integrazione con gli atti amministrativi, avendo l’accortezza di determinare, a priori, i casi in cui possa dirsi effettivamente sussistente una simile integrazione da quelli nei quali l’integrazione sia solo apparente. Necessario, quindi, dedicare un apposito Capitolo alle diverse ipotesi di integrazione del precetto penale da parte di norme diverse da quella incriminatrice, con particolare attenzione alla individuazione della tipologia di richiamo in virtù del quale la norma richiamata viene ad integrare il precetto, costituendo proprio questo il caso nel quale si pone un delicato problema di determinatezza. Le diverse tesi, da me evidenziate, sulla distinzione tra elemento normativo e norma penale in bianco, sono ripercorse in quanto corrispondenti all’interrogativo di fondo se la valutazione di determinatezza possa essere un valido criterio per distinguere la norma penale in bianco dall’elemento normativo. Una volta definito il criterio per distinguere le norme che integrano il precetto, mi sono posto il problema della determinatezza di queste norme, ovvero se anche in relazione ad esse valga o meno il principio di determinatezza ed in quale misura. In chiusura ho proposto, con una sorta di inversione di prospettiva, se non sia proprio la determinatezza, o la non determinatezza, della norma richiamata ad incidere sulla natura integratrice del precetto, esplorando un territorio poco o per nulla approfondito dalla manualistica. Nella seconda parte della ricerca mi sono voluto soffermare su alcune fattispecie incriminatrici nelle quali l’esigenza di determinatezza si propone in maniera particolarmente problematica. Un primo Capitolo è dedicato alla fattispecie di “esercizio abusivo della professione” (art. 348 c.p.), approfondimento particolarmente interessante se si considera come, rispetto al momento in cui venne introdotta, laddove assumevano rilievo le sole professioni liberali, che non presentavano grossi problemi di inquadramento, la norma abbia subito una vera e propria “dilatazione”, a causa della incessante espansione delle professioni il cui accesso richiede una speciale abilitazione e l’iscrizione in appositi albi tenuti dai rispettivi Consigli dell’Ordine, innescata da meccanismi di eterointegrazione con disposizioni extrapenali alle quali è necessario fare riferimento per definire i profili di abusività dell’esercizio della professione. All’interno del secondo Capitolo ho approfondito il rapporto tra la fattispecie di “abuso di ufficio” (art. 323 c.p.) e principio di determinatezza, soffermandomi, in particolare, su alcuni elementi costitutivi del reato direttamente interessati dal principio, ovvero: a) lo svolgimento delle funzioni o del servizio; b) la violazione di norme di legge o di regolamento. Viene, poi, dedicato un accenno agli ulteriori problemi di determinatezza relativi alle qualifiche soggettive di pubblico ufficiale ed incaricato di un pubblico servizio. Il terzo Capitolo analizza le problematiche di determinatezza sottese alla fattispecie di inosservanza del provvedimenti dell’autorità (art. 650 c.p.) all’interno del quale specifica attenzione viene dedicata alle scelte operate dal legislatore capaci di fornire, a livello di fattispecie legale, un’immagine sufficientemente compiuta dell’oggetto del divieto, specificando, già all’interno del precetto, che il provvedimento debba essere “legalmente dato” e dettato da specifiche ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o igiene, tutte singolarmente analizzate. Un cenno conclusivo, al quale è dedicato il quarto Capitolo, attiene al rapporto tra determinatezza e regola cautelare nella colpa penale, posto che, proprio con riferimento al grado di determinatezza della fattispecie colposa, siamo in presenza, anche in questo caso, di situazioni che necessitano di una eterointegrazione, mediante il rinvio a regole di comportamento esterne, che prendono il nome di regole cautelari. La parte conclusiva evidenzia brevi considerazioni in tema di responsabilità colposa da prodotto, concludendo una ricerca che non costituisce un punto di arrivo ma che ritengo rappresentare un punto di partenza verso ulteriori, quanto mai, opportuni, approfondimenti.

Principio di determinatezza e norma integratrice del precetto penale / S. Marani. - STAMPA. - (2013).

Principio di determinatezza e norma integratrice del precetto penale

MARANI, SIMONE
2013

Abstract

Il lavoro è stato suddiviso sostanzialmente in due parti: nella prima parte ho proceduto, innanzitutto, a descrivere l’istituto del principio di determinatezza, evidenziando la funzione che sta alla base del principio medesimo e la problematica delle fonti e della sua costituzionalizzazione, con particolare attenzione dedicata ad alcune importanti pronunce della Corte Costituzionale diretta a verificare in che modo il giudice delle leggi abbia inteso accogliere o meno le eccezioni di incostituzionalità di diverse disposizioni normative, ritenute in contrasto con il principio in commento; diversi sono i criteri utilizzati dalla Corte prudentemente diretti, nella maggior parte dei casi, a negarne la violazione (criterio del significato linguistico, criterio del diritto vivente, e criterio tipologico). Sono poi passato a verificare gli strumenti in grado di garantire la determinatezza della norma penale, nonché i diversi fattori in grado di incidere sul principio di determinatezza, evidenziando la necessità di utilizzazione di un corretto canone di tecnica legislativa da adottare al momento della redazione della fattispecie, al fine di evitare una tecnica legislativa per clausole generali, soffermandomi, in particolare, sulla tecnica “casistica” e sulla tecnica della “normazione sintetica”. La descrizione degli strumenti di tecnica legislativa, diretti a garantire la determinatezza della fattispecie, pone in auge un problema di linguaggio, ed in particolare, di rapporti tra il diritto ed il linguaggio. In tal senso si spiega l’ulteriore approfondimento diretto alla distinzione tra elementi “normativi” e “descrittivi” della fattispecie, durante il quale ho evidenziato in quali casi le problematiche della determinatezza della norma penale assumano una maggiore criticità. Tale approfondimento mi ha portato a delimitare il mio campo di indagine all’elemento sul quale, più di ogni altro, si pongono le esigenze di determinatezza, ovvero l’“enunciato normativo”, nonché il rapporto di integrazione con gli atti amministrativi, avendo l’accortezza di determinare, a priori, i casi in cui possa dirsi effettivamente sussistente una simile integrazione da quelli nei quali l’integrazione sia solo apparente. Necessario, quindi, dedicare un apposito Capitolo alle diverse ipotesi di integrazione del precetto penale da parte di norme diverse da quella incriminatrice, con particolare attenzione alla individuazione della tipologia di richiamo in virtù del quale la norma richiamata viene ad integrare il precetto, costituendo proprio questo il caso nel quale si pone un delicato problema di determinatezza. Le diverse tesi, da me evidenziate, sulla distinzione tra elemento normativo e norma penale in bianco, sono ripercorse in quanto corrispondenti all’interrogativo di fondo se la valutazione di determinatezza possa essere un valido criterio per distinguere la norma penale in bianco dall’elemento normativo. Una volta definito il criterio per distinguere le norme che integrano il precetto, mi sono posto il problema della determinatezza di queste norme, ovvero se anche in relazione ad esse valga o meno il principio di determinatezza ed in quale misura. In chiusura ho proposto, con una sorta di inversione di prospettiva, se non sia proprio la determinatezza, o la non determinatezza, della norma richiamata ad incidere sulla natura integratrice del precetto, esplorando un territorio poco o per nulla approfondito dalla manualistica. Nella seconda parte della ricerca mi sono voluto soffermare su alcune fattispecie incriminatrici nelle quali l’esigenza di determinatezza si propone in maniera particolarmente problematica. Un primo Capitolo è dedicato alla fattispecie di “esercizio abusivo della professione” (art. 348 c.p.), approfondimento particolarmente interessante se si considera come, rispetto al momento in cui venne introdotta, laddove assumevano rilievo le sole professioni liberali, che non presentavano grossi problemi di inquadramento, la norma abbia subito una vera e propria “dilatazione”, a causa della incessante espansione delle professioni il cui accesso richiede una speciale abilitazione e l’iscrizione in appositi albi tenuti dai rispettivi Consigli dell’Ordine, innescata da meccanismi di eterointegrazione con disposizioni extrapenali alle quali è necessario fare riferimento per definire i profili di abusività dell’esercizio della professione. All’interno del secondo Capitolo ho approfondito il rapporto tra la fattispecie di “abuso di ufficio” (art. 323 c.p.) e principio di determinatezza, soffermandomi, in particolare, su alcuni elementi costitutivi del reato direttamente interessati dal principio, ovvero: a) lo svolgimento delle funzioni o del servizio; b) la violazione di norme di legge o di regolamento. Viene, poi, dedicato un accenno agli ulteriori problemi di determinatezza relativi alle qualifiche soggettive di pubblico ufficiale ed incaricato di un pubblico servizio. Il terzo Capitolo analizza le problematiche di determinatezza sottese alla fattispecie di inosservanza del provvedimenti dell’autorità (art. 650 c.p.) all’interno del quale specifica attenzione viene dedicata alle scelte operate dal legislatore capaci di fornire, a livello di fattispecie legale, un’immagine sufficientemente compiuta dell’oggetto del divieto, specificando, già all’interno del precetto, che il provvedimento debba essere “legalmente dato” e dettato da specifiche ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o igiene, tutte singolarmente analizzate. Un cenno conclusivo, al quale è dedicato il quarto Capitolo, attiene al rapporto tra determinatezza e regola cautelare nella colpa penale, posto che, proprio con riferimento al grado di determinatezza della fattispecie colposa, siamo in presenza, anche in questo caso, di situazioni che necessitano di una eterointegrazione, mediante il rinvio a regole di comportamento esterne, che prendono il nome di regole cautelari. La parte conclusiva evidenzia brevi considerazioni in tema di responsabilità colposa da prodotto, concludendo una ricerca che non costituisce un punto di arrivo ma che ritengo rappresentare un punto di partenza verso ulteriori, quanto mai, opportuni, approfondimenti.
2013
A. Vallini
ITALIA
S. Marani
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Tipologia: Tesi di dottorato
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