L’invecchiamento della popolazione si accompagna ad un aumento delle malattie di natura degenerativa. Tra queste il decadimento cognitivo legato all’età è una delle condizioni che più minacciano l’integrità psicofisica della persona e la sua capacità di autonomia. Lo scopo di questa tesi di dottorato è stato quello di individuare alcuni fattori di natura biologica e comportamentale in grado di contribuire alla velocizzazione o al rallentamento dell’invecchiamento cerebrale in un campione di 199 persone con più di 60 anni, appartenenti alle comunità della Val Cenischia, piccola valle delle Alpi Occidentali piemontesi. Il lavoro ha previsto: 1) la valutazione dello stato cognitivo di ogni partecipante allo studio; 2) la determinazione della presenza o meno di fattori di rischio cardiovascolare noti per essere collegati ad un aumento del rischio di demenza senile (obesità, diabete mellito, sindrome metabolica, ipertensione, dislipidemia); 3) l’analisi dei polimorfismi di tre geni coinvolti nel metabolismo lipidico (APOE) e nella genesi di obesità (FTO) e di insulinoresistenza (PARL), sospettati di avere un ruolo nell’accelerazione del declino cognitivo legato all’invecchiamento; 4) La valutazione di alcuni aspetti comportamentali che sembrano giocare una parte importante nell’aumentare la riserva cognitiva, cioè la resilienza del cervello ai danni neuronali (alimentazione, attività fisica, relazioni sociali, scolarizzazione e altre attività cognitivamente impegnative). A questo fine ogni partecipante è stato sottoposto a: prelievo venoso, misurazione della pressione arteriosa, rilevazione di peso, altezza e circonferenza addominale, intervista strutturata per indagare i fattori comportamentali e test cognitivo Mini Mental State Examination (MMSE). I dati raccolti sono stati elaborati mediante tecniche di analisi statistica univariata (test t di Student, test χ2 con correzione di Yates, ANOVA ad una via, test di Pearson per la correlazione tra variabili) e multivariata (analisi multifattoriale, MFA). Dai risultati è emerso che: 1) Esiste una relazione tra sindrome metabolica e stato cognitivo. In particolare la sindrome metabolica risulta associata a punteggi MMSE<26,0 (O.R.= 2,469 [IC95%: 1,201-5,075]; p=0,013) e si assiste a un progressivo incremento del numero medio di criteri diagnostici di sindrome metabolica (NCEP-ATPIII) passando dallo stato cognitivo normale (2,3) al borderline (2,6) e quindi al deficit cognitivo franco (3,1) (F(2,152)=3,229; p<0,05). Sembra che sia la sindrome metabolica nel suo complesso ad essere associata alle alterazioni cognitive, più che una sua specifica componente. 2) le frequenze alleliche del polimorfismo APOE sono risultate: E2=0,033; E3=0,839; E4=0,128. È emersa una associazione tra allele E4 e deficit cognitivo (O.R.=2,832 [IC95%: 1,228-6,531]). Nel caso del gene PARL (frequenze alleliche: C=0,510 e G=0,490) l’allele G è risultato significativamente associato a diabete mellito di tipo 2 (O.R.=1,894 [IC95%: 1,094-3,282]), soprattutto nel sesso femminile (O.R.= 2,190 [IC95%: 1,051-4,557]). Nel caso del gene FTO (frequenze alleliche: A=0,485 e T=0,515) non è stata rilevata alcuna associazione tra allele A e obesità, diabete o sindrome metabolica. Per quanto riguarda gli aspetti comportamentali, il punteggio del test cognitivo MMSE, anche dopo aggiustamento con i coefficienti di correzione per età e scolarizzazione elaborati da Magni e collaboratori (Magni et al., 1996), si dimostra ancora correlato al grado di scolarizzazione sia all’analisi multifattoriale, sia all’analisi univariata (nel sesso maschile: R di Pearson= 0,256; p=0,018). All’analisi multifattoriale il punteggio MMSE si dimostra inoltre correlato con l’abitudine alla lettura, all’uso delle nuove tecnologie (telefono cellulare e internet), all’ampiezza dell’entourage relazionale e all’assunzione con la dieta di acidi grassi polinsaturi omega 3. Un ruolo particolarmente importante è giocato dall’attività fisica. Infatti la sedentarietà è fortemente associata, in entrambi i sessi, a sindrome metabolica (uomini: O.R.=4,643 [IC95%= 1,297-16,618], p<0,01; donne: O.R.=3,004 [IC95%= 1,218-7,407], p<0,05), a obesità addominale (uomini: O.R.=4,500 [IC95%= 1,278-15,839], p<0,05; donne: O.R.=2,755 [IC95%= 1,111-6,831], p<0,05), a un maggiore riscontro di glicemia alterata a digiuno (IFG, soprattutto nel sesso maschile: O.R.= 6,875 [IC95%= 1,421-33,262], p<0,01) e a una colesterolemia HDL tendenzialmente più bassa (soprattutto nel sesso femminile: F(2,104)=3,076; p=0,05). Abbiamo osservato anche un chiaro collegamento tra attività fisica e stato cognitivo: il 50,0% degli uomini inattivi dal punto di vista fisico ha riportato un punteggio borderline al test MMSE (χ2=6,303; DF=2; p<0,05). Nel sesso femminile questo legame è invece più evidente all’analisi multifattoriale dove emerge una correlazione tra attività fisica e punteggio MMSE (entrambe le variabili risultano significativamente correlate alla prima dimensione). Sempre all’analisi multifattoriale si è potuto osservare che, in entrambi i sessi, coloro che conducono una vita attiva tendono a presentare anche buone performance cognitive. L’attività fisica contribuisce a preservare un buon livello cognitivo in tarda età attraverso meccanismi d’azione indiretti (contrastando l’obesità e l’insulinoresistenza che conducono a sindrome metabolica) e meccanismid’azione diretti sul sistema nervoso centrale (miglioramento della vascolarizzazione del cervello e stimolazione della produzione di neurotrofine come il BDNF). L’aumento della riserva cognitiva e l’attività fisica possono essere in grado di controbilanciare un background genetico sfavorevole, come ad esempio la presenza di un allele APOE_E4, e rappresentano quindi importanti strumenti che permettono di prevenire il decadimento cognitivo legato all’invecchiamento o per lo meno di rallentarne il decorso.
Identificazione di fattori di rischio genetici, alimentari e comportamentali nell’invecchiamento cerebrale in Val Cenischia (Piemonte) / Marianna Rinaldi. - (2014).
Identificazione di fattori di rischio genetici, alimentari e comportamentali nell’invecchiamento cerebrale in Val Cenischia (Piemonte)
RINALDI, MARIANNA
2014
Abstract
L’invecchiamento della popolazione si accompagna ad un aumento delle malattie di natura degenerativa. Tra queste il decadimento cognitivo legato all’età è una delle condizioni che più minacciano l’integrità psicofisica della persona e la sua capacità di autonomia. Lo scopo di questa tesi di dottorato è stato quello di individuare alcuni fattori di natura biologica e comportamentale in grado di contribuire alla velocizzazione o al rallentamento dell’invecchiamento cerebrale in un campione di 199 persone con più di 60 anni, appartenenti alle comunità della Val Cenischia, piccola valle delle Alpi Occidentali piemontesi. Il lavoro ha previsto: 1) la valutazione dello stato cognitivo di ogni partecipante allo studio; 2) la determinazione della presenza o meno di fattori di rischio cardiovascolare noti per essere collegati ad un aumento del rischio di demenza senile (obesità, diabete mellito, sindrome metabolica, ipertensione, dislipidemia); 3) l’analisi dei polimorfismi di tre geni coinvolti nel metabolismo lipidico (APOE) e nella genesi di obesità (FTO) e di insulinoresistenza (PARL), sospettati di avere un ruolo nell’accelerazione del declino cognitivo legato all’invecchiamento; 4) La valutazione di alcuni aspetti comportamentali che sembrano giocare una parte importante nell’aumentare la riserva cognitiva, cioè la resilienza del cervello ai danni neuronali (alimentazione, attività fisica, relazioni sociali, scolarizzazione e altre attività cognitivamente impegnative). A questo fine ogni partecipante è stato sottoposto a: prelievo venoso, misurazione della pressione arteriosa, rilevazione di peso, altezza e circonferenza addominale, intervista strutturata per indagare i fattori comportamentali e test cognitivo Mini Mental State Examination (MMSE). I dati raccolti sono stati elaborati mediante tecniche di analisi statistica univariata (test t di Student, test χ2 con correzione di Yates, ANOVA ad una via, test di Pearson per la correlazione tra variabili) e multivariata (analisi multifattoriale, MFA). Dai risultati è emerso che: 1) Esiste una relazione tra sindrome metabolica e stato cognitivo. In particolare la sindrome metabolica risulta associata a punteggi MMSE<26,0 (O.R.= 2,469 [IC95%: 1,201-5,075]; p=0,013) e si assiste a un progressivo incremento del numero medio di criteri diagnostici di sindrome metabolica (NCEP-ATPIII) passando dallo stato cognitivo normale (2,3) al borderline (2,6) e quindi al deficit cognitivo franco (3,1) (F(2,152)=3,229; p<0,05). Sembra che sia la sindrome metabolica nel suo complesso ad essere associata alle alterazioni cognitive, più che una sua specifica componente. 2) le frequenze alleliche del polimorfismo APOE sono risultate: E2=0,033; E3=0,839; E4=0,128. È emersa una associazione tra allele E4 e deficit cognitivo (O.R.=2,832 [IC95%: 1,228-6,531]). Nel caso del gene PARL (frequenze alleliche: C=0,510 e G=0,490) l’allele G è risultato significativamente associato a diabete mellito di tipo 2 (O.R.=1,894 [IC95%: 1,094-3,282]), soprattutto nel sesso femminile (O.R.= 2,190 [IC95%: 1,051-4,557]). Nel caso del gene FTO (frequenze alleliche: A=0,485 e T=0,515) non è stata rilevata alcuna associazione tra allele A e obesità, diabete o sindrome metabolica. Per quanto riguarda gli aspetti comportamentali, il punteggio del test cognitivo MMSE, anche dopo aggiustamento con i coefficienti di correzione per età e scolarizzazione elaborati da Magni e collaboratori (Magni et al., 1996), si dimostra ancora correlato al grado di scolarizzazione sia all’analisi multifattoriale, sia all’analisi univariata (nel sesso maschile: R di Pearson= 0,256; p=0,018). All’analisi multifattoriale il punteggio MMSE si dimostra inoltre correlato con l’abitudine alla lettura, all’uso delle nuove tecnologie (telefono cellulare e internet), all’ampiezza dell’entourage relazionale e all’assunzione con la dieta di acidi grassi polinsaturi omega 3. Un ruolo particolarmente importante è giocato dall’attività fisica. Infatti la sedentarietà è fortemente associata, in entrambi i sessi, a sindrome metabolica (uomini: O.R.=4,643 [IC95%= 1,297-16,618], p<0,01; donne: O.R.=3,004 [IC95%= 1,218-7,407], p<0,05), a obesità addominale (uomini: O.R.=4,500 [IC95%= 1,278-15,839], p<0,05; donne: O.R.=2,755 [IC95%= 1,111-6,831], p<0,05), a un maggiore riscontro di glicemia alterata a digiuno (IFG, soprattutto nel sesso maschile: O.R.= 6,875 [IC95%= 1,421-33,262], p<0,01) e a una colesterolemia HDL tendenzialmente più bassa (soprattutto nel sesso femminile: F(2,104)=3,076; p=0,05). Abbiamo osservato anche un chiaro collegamento tra attività fisica e stato cognitivo: il 50,0% degli uomini inattivi dal punto di vista fisico ha riportato un punteggio borderline al test MMSE (χ2=6,303; DF=2; p<0,05). Nel sesso femminile questo legame è invece più evidente all’analisi multifattoriale dove emerge una correlazione tra attività fisica e punteggio MMSE (entrambe le variabili risultano significativamente correlate alla prima dimensione). Sempre all’analisi multifattoriale si è potuto osservare che, in entrambi i sessi, coloro che conducono una vita attiva tendono a presentare anche buone performance cognitive. L’attività fisica contribuisce a preservare un buon livello cognitivo in tarda età attraverso meccanismi d’azione indiretti (contrastando l’obesità e l’insulinoresistenza che conducono a sindrome metabolica) e meccanismid’azione diretti sul sistema nervoso centrale (miglioramento della vascolarizzazione del cervello e stimolazione della produzione di neurotrofine come il BDNF). L’aumento della riserva cognitiva e l’attività fisica possono essere in grado di controbilanciare un background genetico sfavorevole, come ad esempio la presenza di un allele APOE_E4, e rappresentano quindi importanti strumenti che permettono di prevenire il decadimento cognitivo legato all’invecchiamento o per lo meno di rallentarne il decorso.I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.