Nella densa notte di tenebre “ond’è coverta la prima da noi lontanissima antichità”, appare “un lume eterno, che non tramonta”, una verità “che non si può a patto alcuno chiamar in dubbio: che questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini”. La certezza del filosofo napoletano Gian Battista Vico pare illuminare questo libro di Francesco Venezia, che si apre con la citazione di un bellissimo passo delle Confessioni sul tema della memoria. I “campi” e i “vasti quartieri” evocati da Sant’Agostino sono il luogo dell’affermazione e ri-affermazione dell’uomo attraverso la storia, il terreno fertile di ogni futura rinascita. Per questo Venezia riconosce un’importanza fondamentale alle rovine, alla natura poetica della loro universalità, ricordando la capacità che esse hanno sempre avuto di conseguire una “nuova o diversa bellezza”, prima che si consumasse la “separazione fatale” tra l’architettura e la recente disciplina dell’archeologia. Attraverso una sequenza di brevi lezioni e conferenze, l’autore ci accompagna in un “viaggio della mente verso l’antico, verso un tempo dai vaghi confini”, alla scoperta dei “tesori” dell’architettura che hanno ispirato il suo lavoro e il suo pensiero: il mondo degli antichi egizi o degli etruschi, i templi greci, le grandi architetture dei romani, l’opera di Palladio, Schinkel, Le Corbusier, Mies van der Rohe. Questo viaggio è anche l’occasione per tentare di recuperare alcuni principi fondamentali su cui dovrebbe fondarsi il lavoro dell’architetto e che paiono oggi dimenticati o perduti: il controllo dell’orizzonte (l’infinito leopardiano) attraverso l’estetica delle “menome cose” e la sua capacità di suscitare “vaste e profonde risonanze”; il controllo della luce e delle ombre nel continuo oscillare dell’architettura tra la fissità di precisi rapporti geometrici e matematici e l’imprevedibile “evolversi dei mutevoli equilibri dell’aria”; il rapporto dell’edificio con il suolo, che significa intendere la progettazione come “connaturata al mondo della stratigrafia”, costruire su una solida base, concettuale prima ancora che fisica. O per conoscere alcune delle opere più interessanti di Francesco Venezia, progetti realizzati o architetture assenti, il suo non finito.

Recensione al libro di Francesco Venezia “Che cosa è l’architettura. Lezioni, conferenze, un intervento” / Alberto Pireddu. - In: FIRENZE ARCHITETTURA. - ISSN 1826-0772. - STAMPA. - (2012), pp. 142-142.

Recensione al libro di Francesco Venezia “Che cosa è l’architettura. Lezioni, conferenze, un intervento”

PIREDDU, ALBERTO
2012

Abstract

Nella densa notte di tenebre “ond’è coverta la prima da noi lontanissima antichità”, appare “un lume eterno, che non tramonta”, una verità “che non si può a patto alcuno chiamar in dubbio: che questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini”. La certezza del filosofo napoletano Gian Battista Vico pare illuminare questo libro di Francesco Venezia, che si apre con la citazione di un bellissimo passo delle Confessioni sul tema della memoria. I “campi” e i “vasti quartieri” evocati da Sant’Agostino sono il luogo dell’affermazione e ri-affermazione dell’uomo attraverso la storia, il terreno fertile di ogni futura rinascita. Per questo Venezia riconosce un’importanza fondamentale alle rovine, alla natura poetica della loro universalità, ricordando la capacità che esse hanno sempre avuto di conseguire una “nuova o diversa bellezza”, prima che si consumasse la “separazione fatale” tra l’architettura e la recente disciplina dell’archeologia. Attraverso una sequenza di brevi lezioni e conferenze, l’autore ci accompagna in un “viaggio della mente verso l’antico, verso un tempo dai vaghi confini”, alla scoperta dei “tesori” dell’architettura che hanno ispirato il suo lavoro e il suo pensiero: il mondo degli antichi egizi o degli etruschi, i templi greci, le grandi architetture dei romani, l’opera di Palladio, Schinkel, Le Corbusier, Mies van der Rohe. Questo viaggio è anche l’occasione per tentare di recuperare alcuni principi fondamentali su cui dovrebbe fondarsi il lavoro dell’architetto e che paiono oggi dimenticati o perduti: il controllo dell’orizzonte (l’infinito leopardiano) attraverso l’estetica delle “menome cose” e la sua capacità di suscitare “vaste e profonde risonanze”; il controllo della luce e delle ombre nel continuo oscillare dell’architettura tra la fissità di precisi rapporti geometrici e matematici e l’imprevedibile “evolversi dei mutevoli equilibri dell’aria”; il rapporto dell’edificio con il suolo, che significa intendere la progettazione come “connaturata al mondo della stratigrafia”, costruire su una solida base, concettuale prima ancora che fisica. O per conoscere alcune delle opere più interessanti di Francesco Venezia, progetti realizzati o architetture assenti, il suo non finito.
2012
Alberto Pireddu
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