Le riviste d'arte del Novecento continuano a riscuotere grande interesse presso gli studiosi, come dimostrano i numerosi ed ambiziosi progetti di ricerca confluiti in una vasta gamma di iniziative editoriali che vanno dalle riproduzioni in facsimile agli studi monografici, dai cataloghi di mostra ai volumi miscellanei. In questo variegato contesto, la presente raccolta di articoli, nata all'interno di un progetto di tesi di dottorato e tesi di laurea magistrale in Storia dell'arte dell'Ateneo fiorentino, intende analizzare il contributo di alcuni periodici di punta alla diffusione degli ideali costruttivisti e modernisti negli anni Venti e Trenta del secolo scorso. La Berlino dei primi anni Venti, con il suo ruolo pionieristico nella ripresa dei contatti fra Unione Sovietica ed Occidente, diventa lo scenario privilegiato per esperimenti editoriali di seminale importanza per la diffusione delle nuove idee progressiste. La breve stagione della rivista trilingue «Vešč’/Objet/Gegenstand», pubblicata nel 1922 da El Lisickij e I’lija Ehrenburg, e quella immediatamente successiva di «G. Material zur elementaren Gestaltung» (1923-1926), a cura di Hans Richter, si presentano quindi storicamente ben più importanti della loro effettiva durata e documentano una radicale volontà di cambiamento che si catalizza intorno a temi comuni e ricorrenti, quali, ad esempio, l'ideale di un progresso tecnologico esteso a tutti i livelli della società, la dimensione collettiva dell'attività creativa e la trasformazione del linguaggio tipografico. Eva Francioli, nel suo contributo dedicato a «Vešč’/Objet/Gegenstand», affronta, tra gli altri, proprio quest'ultimo aspetto di fondamentale importanza e propone nuove e convincenti ipotesi di lettura della complessità strutturale e concettuale della copertina della rivista, di cui si documenta il graduale affrancamento dalle teorie suprematiste a favore delle istanze moderniste di Ozenfant e Le Corbusier, confermato anche dalla presenza di repertori iconografici provenienti dall'«Esprit Nouveau». Il rinnovamento dell'arte tipografica, uno dei cavalli di battaglia della cultura modernista, svolge un ruolo di primo piano anche nel periodico di Hans Richter, dove si sposa con il tema più generale di una rifondazione dei linguaggi finalizzata ad una “totale” riconfigurazione del mondo: ma è proprio l’insistenza sul principio della Gestaltung ̶ come precisa Carlotta Castellani, che aveva già analizzato in altra sede le componenti costruttiviste di «G» ̶ ad evidenziare nella rivista anche la presenza di concezioni vitalistiche che sono indizio di un interesse per la definizione di principi elementari di validità universale nelle arti. Dall'iniziale impiego, anche iconografico, di argomenti legati all'architettura e alla tecnologia, «G» approda così, nell'ultimo numero, ad una decisa apertura verso il cinema: in questo contesto, i primi film astratti di Hans Richter, incentrati sul funzionamento della percezione visiva, esemplificano, meglio delle strutture architettoniche, la natura universale delle ricerche promosse dalla pubblicazione e permettono di coglierne alcune affinità con i coevi studi della scuola della Gestalt. Un caso a sé è rappresentato da «Broom» (1921-1924), rivista americana di arte e letteratura pubblicata tra Roma, Berlino e New York e nota soprattutto per le sue interessanti copertine ideate da artisti del calibro di Enrico Prampolini, Fernand Léger ed El Lisickij. Grazie ad un esame di fonti documentarie inedite, Serena Trinchero ha potuto puntualizzare nel suo contributo la complessa vicenda editoriale del periodico, evidenziando rapporti finora non emersi, come ad esempio quello con Carl Einstein in merito ad un progettato numero monografico sull'arte africana poi non realizzato, e mettendo a fuoco la complessa rete di scambi con il modernismo europeo che fa da sfondo agli articoli dedicati al tema della macchina e della società industriale. In ambito francofono, la rivista «7ARTS», pubblicata settimanalmente a Bruxelles tra il 1922 e il 1928 in un formato “gazzetta” che aveva addirittura preceduto quello più noto della berlinese «G», costituisce la prova evidente della presenza in Europa di contributi costruttivisti originali e indipendenti dai modelli sovietici: l’attenta analisi dei contenuti e della veste grafica della rivista, unita al rinvenimento di documenti inediti, ha permesso ad Eva Francioli di ridefinirne il profilo culturale e rivalutarne l'autonomo ruolo nel contesto dell’avanguardia internazionale. I contributi di Giulia Bucci e Luisa Giacobbe, infine, spostano l'attenzione sull'Inghilterra degli anni Trenta, dove il proliferare di eventi espositivi e progetti editoriali all'insegna di un non sempre ben precisato rinnovamento artistico si mescola, in un equilibrio precario, con tendenze surrealiste veicolate non solo da figure influenti quali Roland Penrose, Paul Nash e l'“incerto” Herbert Read, ma anche dall'impatto di un evento d'eccezione come la 'International Surrealist Exhibition' (Londra, 1936). Benché i titoli delle pubblicazioni qui esaminate siano attinti dall'ambito della matematica e della geometria e il lettering delle copertine, raffinato e stilizzato, si riallacci ad una tradizione tipografica che era stata uno dei punti di forza del modernismo europeo, un confronto ravvicinato fa in realtà emergere un panorama assai più incerto e variegato. Nonostante il titolo, la rivista “AXIS” (1935-1937) ̶ come precisa Luisa Giacobbe ̶ tradisce una matrice culturale composita che rispecchia fondamentalmente il modello francese di «Abstraction-Création» e le permette non solo di riassorbire precedenti esperienze autoctone (l'astrazione vorticista di «BLAST»), ma anche di volgere verso un sostanziale compromesso tra forma astratta oggettiva e rappresentazione evocativa: un dato, questo, che sembra annunciato sin dall'articolo di Paul Nash pubblicato nel primo numero della serie, significativamente intitolato For, but not with. I due volumi UNIT 1 (1934) e CIRCLE (1937), forse embrioni (soprattutto il secondo) di pubblicazioni periodiche rimaste allo stadio di progetto, ripropongono il progetto modernista di un rinnovamento delle arti in chiave universale e multidisciplinare, ma lo declinano a diversi livelli di compiutezza. I presupposti teorici delle undici dichiarazioni di poetica presentate in UNIT 1, ad esempio, appaiono piuttosto incerti ed eterogenei e sono testimonianza di un gruppo fondamentalmente eclettico: come sottolinea Giulia Bucci, lo Zeitgeist dell'arte moderna programmaticamente evocato da Paul Nash per esorcizzare il pluralismo linguistico dei partecipanti non rappresentava in realtà un collante sufficiente a tenerli uniti sulla lunga distanza. La metafora che Herbert Read utilizzerà retrospettivamente per ricordare la temperie artistica inglese negli anni Trenta ̶ il critico si era paragonato ad un acrobata circense in piedi su due cavalli in corsa ̶ ben esprime quindi quel peculiare compromesso tra forma astratta oggettiva e rappresentazione evocativa che caratterizza l’estetica modernista inglese negli anni Trenta. Circle appare più risolutamente ispirata ad un modernismo internazionale di marca costruttivista, certo stimolato dalla presenza dei numerosi artisti e architetti stranieri che avevano trovato rifugio in Inghilterra dalle dittature del continente. L'utopia di una lingua universale rinnovata nel segno del progresso e della tecnica, che aveva già contraddistinto le principali riviste moderniste degli anni Venti, si tinge tuttavia, in alcune sezioni di Circle, di accenti più idealistici: il compiacimento estetizzante, da cui non era rimasto indenne neanche l'apparato iconografico di UNIT 1, si fa qui talvolta gioco di consonanze formali che sembra ricercare una sostanziale legittimazione del progresso sia nella natura che nella storia, non diversamente da come era accaduto in una pubblicazione quale Art (1928) di Amédée Ozenfant, la cui edizione inglese ed americana (Foundations of Modern Art, 1931) può forse costituire un precedente per alcuni abbinamenti di Circle opportunamente evidenziati dalla Bucci, come ad esempio quello del Lingotto di Torino accostato alla foglia di una ninfea o quello del rilievo di Ben Nicholson messo a confronto con un reperto della Bolivia precolombiana. Anche là dove il discorso di Circle si fa più specificamente tecnologico in senso modernista, come ad esempio nel capitolo in cui si celebrano i successi dell'ingegneria, la scelta iconografica si ammanta di un velo di utopia: la straordinaria sequenza fotografica degli avveniristici ponti nella parte conclusiva del volume non celebra solo gli incredibili progressi della tecnica delle costruzioni ma ribadisce metaforicamente, nella scelta della tipologia architettonica, un messaggio di speranza e ideale fratellanza fra i popoli che era purtroppo destinato ad infrangersi, solo pochi mesi dopo la pubblicazione, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

Sfogliare il modernismo. Progresso e utopia nelle riviste d'arte degli anni Venti e Trenta / A. Nigro. - STAMPA. - (2014), pp. 1-96.

Sfogliare il modernismo. Progresso e utopia nelle riviste d'arte degli anni Venti e Trenta

NIGRO, ALESSANDRO
2014

Abstract

Le riviste d'arte del Novecento continuano a riscuotere grande interesse presso gli studiosi, come dimostrano i numerosi ed ambiziosi progetti di ricerca confluiti in una vasta gamma di iniziative editoriali che vanno dalle riproduzioni in facsimile agli studi monografici, dai cataloghi di mostra ai volumi miscellanei. In questo variegato contesto, la presente raccolta di articoli, nata all'interno di un progetto di tesi di dottorato e tesi di laurea magistrale in Storia dell'arte dell'Ateneo fiorentino, intende analizzare il contributo di alcuni periodici di punta alla diffusione degli ideali costruttivisti e modernisti negli anni Venti e Trenta del secolo scorso. La Berlino dei primi anni Venti, con il suo ruolo pionieristico nella ripresa dei contatti fra Unione Sovietica ed Occidente, diventa lo scenario privilegiato per esperimenti editoriali di seminale importanza per la diffusione delle nuove idee progressiste. La breve stagione della rivista trilingue «Vešč’/Objet/Gegenstand», pubblicata nel 1922 da El Lisickij e I’lija Ehrenburg, e quella immediatamente successiva di «G. Material zur elementaren Gestaltung» (1923-1926), a cura di Hans Richter, si presentano quindi storicamente ben più importanti della loro effettiva durata e documentano una radicale volontà di cambiamento che si catalizza intorno a temi comuni e ricorrenti, quali, ad esempio, l'ideale di un progresso tecnologico esteso a tutti i livelli della società, la dimensione collettiva dell'attività creativa e la trasformazione del linguaggio tipografico. Eva Francioli, nel suo contributo dedicato a «Vešč’/Objet/Gegenstand», affronta, tra gli altri, proprio quest'ultimo aspetto di fondamentale importanza e propone nuove e convincenti ipotesi di lettura della complessità strutturale e concettuale della copertina della rivista, di cui si documenta il graduale affrancamento dalle teorie suprematiste a favore delle istanze moderniste di Ozenfant e Le Corbusier, confermato anche dalla presenza di repertori iconografici provenienti dall'«Esprit Nouveau». Il rinnovamento dell'arte tipografica, uno dei cavalli di battaglia della cultura modernista, svolge un ruolo di primo piano anche nel periodico di Hans Richter, dove si sposa con il tema più generale di una rifondazione dei linguaggi finalizzata ad una “totale” riconfigurazione del mondo: ma è proprio l’insistenza sul principio della Gestaltung ̶ come precisa Carlotta Castellani, che aveva già analizzato in altra sede le componenti costruttiviste di «G» ̶ ad evidenziare nella rivista anche la presenza di concezioni vitalistiche che sono indizio di un interesse per la definizione di principi elementari di validità universale nelle arti. Dall'iniziale impiego, anche iconografico, di argomenti legati all'architettura e alla tecnologia, «G» approda così, nell'ultimo numero, ad una decisa apertura verso il cinema: in questo contesto, i primi film astratti di Hans Richter, incentrati sul funzionamento della percezione visiva, esemplificano, meglio delle strutture architettoniche, la natura universale delle ricerche promosse dalla pubblicazione e permettono di coglierne alcune affinità con i coevi studi della scuola della Gestalt. Un caso a sé è rappresentato da «Broom» (1921-1924), rivista americana di arte e letteratura pubblicata tra Roma, Berlino e New York e nota soprattutto per le sue interessanti copertine ideate da artisti del calibro di Enrico Prampolini, Fernand Léger ed El Lisickij. Grazie ad un esame di fonti documentarie inedite, Serena Trinchero ha potuto puntualizzare nel suo contributo la complessa vicenda editoriale del periodico, evidenziando rapporti finora non emersi, come ad esempio quello con Carl Einstein in merito ad un progettato numero monografico sull'arte africana poi non realizzato, e mettendo a fuoco la complessa rete di scambi con il modernismo europeo che fa da sfondo agli articoli dedicati al tema della macchina e della società industriale. In ambito francofono, la rivista «7ARTS», pubblicata settimanalmente a Bruxelles tra il 1922 e il 1928 in un formato “gazzetta” che aveva addirittura preceduto quello più noto della berlinese «G», costituisce la prova evidente della presenza in Europa di contributi costruttivisti originali e indipendenti dai modelli sovietici: l’attenta analisi dei contenuti e della veste grafica della rivista, unita al rinvenimento di documenti inediti, ha permesso ad Eva Francioli di ridefinirne il profilo culturale e rivalutarne l'autonomo ruolo nel contesto dell’avanguardia internazionale. I contributi di Giulia Bucci e Luisa Giacobbe, infine, spostano l'attenzione sull'Inghilterra degli anni Trenta, dove il proliferare di eventi espositivi e progetti editoriali all'insegna di un non sempre ben precisato rinnovamento artistico si mescola, in un equilibrio precario, con tendenze surrealiste veicolate non solo da figure influenti quali Roland Penrose, Paul Nash e l'“incerto” Herbert Read, ma anche dall'impatto di un evento d'eccezione come la 'International Surrealist Exhibition' (Londra, 1936). Benché i titoli delle pubblicazioni qui esaminate siano attinti dall'ambito della matematica e della geometria e il lettering delle copertine, raffinato e stilizzato, si riallacci ad una tradizione tipografica che era stata uno dei punti di forza del modernismo europeo, un confronto ravvicinato fa in realtà emergere un panorama assai più incerto e variegato. Nonostante il titolo, la rivista “AXIS” (1935-1937) ̶ come precisa Luisa Giacobbe ̶ tradisce una matrice culturale composita che rispecchia fondamentalmente il modello francese di «Abstraction-Création» e le permette non solo di riassorbire precedenti esperienze autoctone (l'astrazione vorticista di «BLAST»), ma anche di volgere verso un sostanziale compromesso tra forma astratta oggettiva e rappresentazione evocativa: un dato, questo, che sembra annunciato sin dall'articolo di Paul Nash pubblicato nel primo numero della serie, significativamente intitolato For, but not with. I due volumi UNIT 1 (1934) e CIRCLE (1937), forse embrioni (soprattutto il secondo) di pubblicazioni periodiche rimaste allo stadio di progetto, ripropongono il progetto modernista di un rinnovamento delle arti in chiave universale e multidisciplinare, ma lo declinano a diversi livelli di compiutezza. I presupposti teorici delle undici dichiarazioni di poetica presentate in UNIT 1, ad esempio, appaiono piuttosto incerti ed eterogenei e sono testimonianza di un gruppo fondamentalmente eclettico: come sottolinea Giulia Bucci, lo Zeitgeist dell'arte moderna programmaticamente evocato da Paul Nash per esorcizzare il pluralismo linguistico dei partecipanti non rappresentava in realtà un collante sufficiente a tenerli uniti sulla lunga distanza. La metafora che Herbert Read utilizzerà retrospettivamente per ricordare la temperie artistica inglese negli anni Trenta ̶ il critico si era paragonato ad un acrobata circense in piedi su due cavalli in corsa ̶ ben esprime quindi quel peculiare compromesso tra forma astratta oggettiva e rappresentazione evocativa che caratterizza l’estetica modernista inglese negli anni Trenta. Circle appare più risolutamente ispirata ad un modernismo internazionale di marca costruttivista, certo stimolato dalla presenza dei numerosi artisti e architetti stranieri che avevano trovato rifugio in Inghilterra dalle dittature del continente. L'utopia di una lingua universale rinnovata nel segno del progresso e della tecnica, che aveva già contraddistinto le principali riviste moderniste degli anni Venti, si tinge tuttavia, in alcune sezioni di Circle, di accenti più idealistici: il compiacimento estetizzante, da cui non era rimasto indenne neanche l'apparato iconografico di UNIT 1, si fa qui talvolta gioco di consonanze formali che sembra ricercare una sostanziale legittimazione del progresso sia nella natura che nella storia, non diversamente da come era accaduto in una pubblicazione quale Art (1928) di Amédée Ozenfant, la cui edizione inglese ed americana (Foundations of Modern Art, 1931) può forse costituire un precedente per alcuni abbinamenti di Circle opportunamente evidenziati dalla Bucci, come ad esempio quello del Lingotto di Torino accostato alla foglia di una ninfea o quello del rilievo di Ben Nicholson messo a confronto con un reperto della Bolivia precolombiana. Anche là dove il discorso di Circle si fa più specificamente tecnologico in senso modernista, come ad esempio nel capitolo in cui si celebrano i successi dell'ingegneria, la scelta iconografica si ammanta di un velo di utopia: la straordinaria sequenza fotografica degli avveniristici ponti nella parte conclusiva del volume non celebra solo gli incredibili progressi della tecnica delle costruzioni ma ribadisce metaforicamente, nella scelta della tipologia architettonica, un messaggio di speranza e ideale fratellanza fra i popoli che era purtroppo destinato ad infrangersi, solo pochi mesi dopo la pubblicazione, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
2014
9788843072538
A. Nigro
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