La fotografia occupa senza dubbio un posto d'onore nell'orizzonte concettuale del surrealismo. Fin dal 1921, anno del suo testo di presentazione per la prima personale parigina di Max Ernst presso la libreria “Au sans pareil”, André Breton aveva evidenziato, nel commento ai collage dell'artista tedesco, come l’automatismo, uno dei punti di riferimento della poetica presurrealista e surrealista, fosse strettamente collegato alla fotografia, aggiungendo in questo contesto anche un riferimento al cinema, altra sua grande passione, per alludere al tema del montaggio delle immagini che in quella mostra svolgeva un ruolo importante e pionieristico. Se la problematica del montaggio, inteso sia in senso concreto che ideale, è senz'altro un filo rosso che lega fra di loro molti dei ritratti ed autoritratti esaminati nel presente volume, un altro aspetto che li accomuna è la modalità esecutiva declinata al plurale. Non stupisce, in un movimento che aveva fatto della poetica di gruppo uno dei suoi cardini programmatici, la presenza di opere scritte a due mani, a cominciare dalla seminale esperienza della stesura dei Campi magnetici da parte di Breton e Soupalt alla data precoce del 1919; lo stesso principio, come si cercherà di dimostrare nel corso del testo, può estendersi anche all'ambito della fotografia, spesso praticata dai surrealisti nel nome di una poetica intesa non come prassi individuale ma collettiva. Le pratiche artistiche collegiali che tendono ad appropriarsi in modo ludico e creativo dei nuovi media tecnologici (fotografia, fotomontaggio, cinema) diventano quindi uno dei tratti distintivi del movimento: fotografarsi e manipolare fotograficamente la propria immagine sembra diventare un’imprescindibile esigenza espressiva, una frenesia collettiva, una sorta di cemento che ricompatta il gruppo surrealista intorno ad impossibili sfide creative. Le opere esaminate in questo libro ci mettono dunque a confronto con due temi fondamentali del surrealismo: da un lato, il montaggio delle immagini ripropone quell’accostamento di realtà eterogenee, o meglio ancora di opposte polarità, che era considerato funzionale al rilascio di nuova energia, come André Breton, avvalendosi dell’ormai celebre similitudine proposta dal Conte di Lautréamont nel sesto dei Canti di Maldoror («bello come l'incontro fortuito … »), non si era mai stancato di raccomandare, e che certo costituisce una delle ragioni del grande impatto visivo e del forte contrasto dinamico dell’imagerie surrealista (si pensi, a questo proposito, alla celebre chiusa di Nadja che esalta la bellezza «convulsiva»); l’idea di collettività, d’altro canto, contraddistingue tutta la storia del movimento, non solo al livello ludico delle sperimentazioni di gruppo ma anche a quello alto dell’impegno politico, anche se nel surrealismo non ha molto senso operare tale distinzione tra pubblico e privato. Negli esempi qui raccolti fotografia e fotomontaggio nascono dunque in un clima di collaborazione a più mani: il ritratto giovanile di Breton che apre il volume (1922) è, come si è cercato di dimostrare, il frutto di una stretta intesa fra il futuro capofila del surrealismo e Man Ray all’insegna dell’ombra e del mistero, con la complicità involontaria di Giorgio de Chirico; il dittico di collage fotografici Il bicchiere d’acqua nella tempesta e La nutrice delle stelle (1930), ancorché materialmente eseguito da André Breton, suggella l’affinità elettiva che lo legava a Paul Éluard in un momento, per entrambi, di particolare crisi (personale, politica e artistica), e trova riscontro in una comune esperienza di scrittura automatica strettamente connessa alla manipolazione delle loro immagini; il fotomontaggio di Salvador Dalí Il fenomeno dell'estasi – caso qui un po’ eccezionale in quanto costituito da una collezione di volti anonimi – è anche il frutto di una collaborazione tra l’artista e la redazione della rivista «Minotaure», su cui era apparso nel 1933, in un momento in cui Breton ed Éluard cercano di fatto di riportare il lussuoso periodico edito da Skira sotto la sfera della loro influenza; le fotografie e i fotomontaggi di Claude Cahun e Marcel Moore, infine, estendono alla sfera creativa quello stretto ed intenso legame che aveva simbioticamente unito le esistenze delle due artiste. Un altro elemento che ritorna frequentemente, in modo più o meno esplicito, nelle opere in questione è il riferimento al cinema, a sua volta connesso al tema del montaggio. Sin dagli albori del movimento, i film, e in particolare quelli cosiddetti d’épouvante (storie di vampiri et similia), avevano svolto la funzione di schiudere la dimensione del “meraviglioso” surrealista: è noto infatti come il giovane Breton, in compagnia di Jacques Vaché, uno dei numi tutelari del futuro movimento, entrasse ed uscisse dalle sale cinematografiche, surrealisticamente intese come luoghi di accesso ad una realtà altra, più attento alla folgorazione di una scena estrapolata dal contesto che al senso generale di una pellicola. Ammirati quindi per il loro pouvoir de dépaysement, tali film avevano contribuito a rinnovare e affinare il repertorio iconografico e le modalità espressive delle fotografie e dei fotomontaggi di Breton e compagni, contribuendo a conferire un carattere particolare agli apparati illustrativi delle loro riviste.

Ritratti e autoritratti surrealisti. Fotografia e fotomontaggio nella Parigi di André Breton / Nigro, Alessandro. - STAMPA. - (2015), pp. 1-240.

Ritratti e autoritratti surrealisti. Fotografia e fotomontaggio nella Parigi di André Breton

NIGRO, ALESSANDRO
2015

Abstract

La fotografia occupa senza dubbio un posto d'onore nell'orizzonte concettuale del surrealismo. Fin dal 1921, anno del suo testo di presentazione per la prima personale parigina di Max Ernst presso la libreria “Au sans pareil”, André Breton aveva evidenziato, nel commento ai collage dell'artista tedesco, come l’automatismo, uno dei punti di riferimento della poetica presurrealista e surrealista, fosse strettamente collegato alla fotografia, aggiungendo in questo contesto anche un riferimento al cinema, altra sua grande passione, per alludere al tema del montaggio delle immagini che in quella mostra svolgeva un ruolo importante e pionieristico. Se la problematica del montaggio, inteso sia in senso concreto che ideale, è senz'altro un filo rosso che lega fra di loro molti dei ritratti ed autoritratti esaminati nel presente volume, un altro aspetto che li accomuna è la modalità esecutiva declinata al plurale. Non stupisce, in un movimento che aveva fatto della poetica di gruppo uno dei suoi cardini programmatici, la presenza di opere scritte a due mani, a cominciare dalla seminale esperienza della stesura dei Campi magnetici da parte di Breton e Soupalt alla data precoce del 1919; lo stesso principio, come si cercherà di dimostrare nel corso del testo, può estendersi anche all'ambito della fotografia, spesso praticata dai surrealisti nel nome di una poetica intesa non come prassi individuale ma collettiva. Le pratiche artistiche collegiali che tendono ad appropriarsi in modo ludico e creativo dei nuovi media tecnologici (fotografia, fotomontaggio, cinema) diventano quindi uno dei tratti distintivi del movimento: fotografarsi e manipolare fotograficamente la propria immagine sembra diventare un’imprescindibile esigenza espressiva, una frenesia collettiva, una sorta di cemento che ricompatta il gruppo surrealista intorno ad impossibili sfide creative. Le opere esaminate in questo libro ci mettono dunque a confronto con due temi fondamentali del surrealismo: da un lato, il montaggio delle immagini ripropone quell’accostamento di realtà eterogenee, o meglio ancora di opposte polarità, che era considerato funzionale al rilascio di nuova energia, come André Breton, avvalendosi dell’ormai celebre similitudine proposta dal Conte di Lautréamont nel sesto dei Canti di Maldoror («bello come l'incontro fortuito … »), non si era mai stancato di raccomandare, e che certo costituisce una delle ragioni del grande impatto visivo e del forte contrasto dinamico dell’imagerie surrealista (si pensi, a questo proposito, alla celebre chiusa di Nadja che esalta la bellezza «convulsiva»); l’idea di collettività, d’altro canto, contraddistingue tutta la storia del movimento, non solo al livello ludico delle sperimentazioni di gruppo ma anche a quello alto dell’impegno politico, anche se nel surrealismo non ha molto senso operare tale distinzione tra pubblico e privato. Negli esempi qui raccolti fotografia e fotomontaggio nascono dunque in un clima di collaborazione a più mani: il ritratto giovanile di Breton che apre il volume (1922) è, come si è cercato di dimostrare, il frutto di una stretta intesa fra il futuro capofila del surrealismo e Man Ray all’insegna dell’ombra e del mistero, con la complicità involontaria di Giorgio de Chirico; il dittico di collage fotografici Il bicchiere d’acqua nella tempesta e La nutrice delle stelle (1930), ancorché materialmente eseguito da André Breton, suggella l’affinità elettiva che lo legava a Paul Éluard in un momento, per entrambi, di particolare crisi (personale, politica e artistica), e trova riscontro in una comune esperienza di scrittura automatica strettamente connessa alla manipolazione delle loro immagini; il fotomontaggio di Salvador Dalí Il fenomeno dell'estasi – caso qui un po’ eccezionale in quanto costituito da una collezione di volti anonimi – è anche il frutto di una collaborazione tra l’artista e la redazione della rivista «Minotaure», su cui era apparso nel 1933, in un momento in cui Breton ed Éluard cercano di fatto di riportare il lussuoso periodico edito da Skira sotto la sfera della loro influenza; le fotografie e i fotomontaggi di Claude Cahun e Marcel Moore, infine, estendono alla sfera creativa quello stretto ed intenso legame che aveva simbioticamente unito le esistenze delle due artiste. Un altro elemento che ritorna frequentemente, in modo più o meno esplicito, nelle opere in questione è il riferimento al cinema, a sua volta connesso al tema del montaggio. Sin dagli albori del movimento, i film, e in particolare quelli cosiddetti d’épouvante (storie di vampiri et similia), avevano svolto la funzione di schiudere la dimensione del “meraviglioso” surrealista: è noto infatti come il giovane Breton, in compagnia di Jacques Vaché, uno dei numi tutelari del futuro movimento, entrasse ed uscisse dalle sale cinematografiche, surrealisticamente intese come luoghi di accesso ad una realtà altra, più attento alla folgorazione di una scena estrapolata dal contesto che al senso generale di una pellicola. Ammirati quindi per il loro pouvoir de dépaysement, tali film avevano contribuito a rinnovare e affinare il repertorio iconografico e le modalità espressive delle fotografie e dei fotomontaggi di Breton e compagni, contribuendo a conferire un carattere particolare agli apparati illustrativi delle loro riviste.
2015
9788867872497
1
240
Nigro, Alessandro
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