Il lavoro ricostruisce l’evoluzione della trama dei rapporti tra Commissioni e Assemblea nella prima esperienza repubblicana, con particolare riferimento all'utilizzazione della sede deliberante per l'approvazione delle proposte di legge. Si tratta di un tema complesso nella misura in cui incrocia numerose problematiche che finiscono per abbracciare il cuore stesso del diritto parlamentare quale parte integrante del diritto costituzionale. Infatti, lo studio delle Commissioni e delle loro prerogative nel procedimento legislativo finisce per coinvolgere le dinamiche della forma di governo e gli elementi stessi di identificazione del sistema politico; proprio il ruolo significativo delle Commissioni parlamentari, in generale, e nel procedimento legislativo in particolare, fino al 1992 è stato studiato come uno dei fattori istituzionali più rilevanti sul piano dei rapporti tra Parlamento e Governo anche ai fini dell’attuazione dell’indirizzo politico: l’espansione della procedura decentrata di approvazione delle leggi, in un contesto di massiccia scissione tra “maggioranze legislative” e “maggioranze di governo” e in presenza di esecutivi fragili, ha finito per esaltare quel modello di Governo a “direzione plurima dissociata” su cui la dottrina ha insistito a lungo, in un rapporto spesso opaco tra Ministro di settore e Commissione. Il lavoro presceglie un approccio al tema di taglio storico, a partire dalla ricostruzione del “precedente inconfessabile” (per usare un’espressione di Livio Paladin) costituito dalla legge istitutiva della Camera dei fasci e delle corporazioni (l. 129/1939) e dai lavori della Costituente: a tale proposito, autorevoli esponenti come Perassi e Clerici (ma non Tosato), si dichiararono favorevoli alla sede decentrata, sia quale strumento di deflazione del carico di lavoro delle Assemblee, sia quale modalità idonea ad arginare l’abuso della decretazione d’urgenza che in epoca statutaria era stato evidente. Il lavoro dimostra altresì come la dottrina maggioritaria nell’epoca immediatamente successiva all’entrata in vigore della Costituzione non avesse assunto posizioni ostili all’utilizzazione della sede deliberante, ritenendo al contrario che essa avesse dato ottimi risultati. Solo a partire dalla metà degli anni cinquanta le posizioni della dottrina divennero più articolate. In particolare gli studi di Leopoldo Elia ricostruirono il ruolo delle Commissioni legislative seguendo un approccio realistico, nel quadro della forma di governo e dell'assetto del sistema politico quali si venivano definendo in quegli anni. Una svolta si è avuta con gli studi di Mortati e soprattutto di Predieri che costituiscono un punto di riferimento essenziale nell’esame del procedimento legislativo. A distanza di tempo dalla fine della prima esperienza repubblicana, il lavoro condivide un approccio problematico al fenomeno del procedimento legislativo decentrato, che talvolta è stato inquadrato soltanto in termini critici. In realtà, proprio il contesto politico-istituzionale fino al 1992 consente di riconoscere che esso ha contribuito a derogare alle rigidità della conventio ad excludendum, rendendo meno conflittuali i rapporti tra maggioranza e opposizioni, oltre a consentire nuove aree di policy capaci di condizionare il funzionamento reale e la dislocazione operativa della forma di governo.

Le leggi in Commissione nella prima esperienza repubblicana: la sede deliberante tra quadro costituzionale e prassi applicativa / Tarli Barbieri, Giovanni. - STAMPA. - (2016), pp. 155-205.

Le leggi in Commissione nella prima esperienza repubblicana: la sede deliberante tra quadro costituzionale e prassi applicativa

TARLI BARBIERI, GIOVANNI
2016

Abstract

Il lavoro ricostruisce l’evoluzione della trama dei rapporti tra Commissioni e Assemblea nella prima esperienza repubblicana, con particolare riferimento all'utilizzazione della sede deliberante per l'approvazione delle proposte di legge. Si tratta di un tema complesso nella misura in cui incrocia numerose problematiche che finiscono per abbracciare il cuore stesso del diritto parlamentare quale parte integrante del diritto costituzionale. Infatti, lo studio delle Commissioni e delle loro prerogative nel procedimento legislativo finisce per coinvolgere le dinamiche della forma di governo e gli elementi stessi di identificazione del sistema politico; proprio il ruolo significativo delle Commissioni parlamentari, in generale, e nel procedimento legislativo in particolare, fino al 1992 è stato studiato come uno dei fattori istituzionali più rilevanti sul piano dei rapporti tra Parlamento e Governo anche ai fini dell’attuazione dell’indirizzo politico: l’espansione della procedura decentrata di approvazione delle leggi, in un contesto di massiccia scissione tra “maggioranze legislative” e “maggioranze di governo” e in presenza di esecutivi fragili, ha finito per esaltare quel modello di Governo a “direzione plurima dissociata” su cui la dottrina ha insistito a lungo, in un rapporto spesso opaco tra Ministro di settore e Commissione. Il lavoro presceglie un approccio al tema di taglio storico, a partire dalla ricostruzione del “precedente inconfessabile” (per usare un’espressione di Livio Paladin) costituito dalla legge istitutiva della Camera dei fasci e delle corporazioni (l. 129/1939) e dai lavori della Costituente: a tale proposito, autorevoli esponenti come Perassi e Clerici (ma non Tosato), si dichiararono favorevoli alla sede decentrata, sia quale strumento di deflazione del carico di lavoro delle Assemblee, sia quale modalità idonea ad arginare l’abuso della decretazione d’urgenza che in epoca statutaria era stato evidente. Il lavoro dimostra altresì come la dottrina maggioritaria nell’epoca immediatamente successiva all’entrata in vigore della Costituzione non avesse assunto posizioni ostili all’utilizzazione della sede deliberante, ritenendo al contrario che essa avesse dato ottimi risultati. Solo a partire dalla metà degli anni cinquanta le posizioni della dottrina divennero più articolate. In particolare gli studi di Leopoldo Elia ricostruirono il ruolo delle Commissioni legislative seguendo un approccio realistico, nel quadro della forma di governo e dell'assetto del sistema politico quali si venivano definendo in quegli anni. Una svolta si è avuta con gli studi di Mortati e soprattutto di Predieri che costituiscono un punto di riferimento essenziale nell’esame del procedimento legislativo. A distanza di tempo dalla fine della prima esperienza repubblicana, il lavoro condivide un approccio problematico al fenomeno del procedimento legislativo decentrato, che talvolta è stato inquadrato soltanto in termini critici. In realtà, proprio il contesto politico-istituzionale fino al 1992 consente di riconoscere che esso ha contribuito a derogare alle rigidità della conventio ad excludendum, rendendo meno conflittuali i rapporti tra maggioranza e opposizioni, oltre a consentire nuove aree di policy capaci di condizionare il funzionamento reale e la dislocazione operativa della forma di governo.
2016
978-88-7642-568-4
Parlamento e storia d'Italia. Procedure e politiche
155
205
Goal 16: Peace, justice and strong institutions
Tarli Barbieri, Giovanni
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