La politica al servizio della vita è un fenomeno esclusivamente moderno ed è anche il luogo in cui la modernità mostra, meglio che altrove, le sue caratteristiche costitutive e la sua traiettoria evolutiva. La modernità debutta con la trasformazione del cosmo in mondo, con l’avvento dell’immagine nominalistica del mondo come totalità priva di senso fatta di enti singolari e con l’individuazione della conservazione della vita come unico terreno possibile – comune in quanto neutro e indifferente ai fini – per la costruzione della convivenza pacifica in società. Fino a tutto il Novecento, questa immagine del mondo (Wetlbild) ha convissuto in un rapporto dissonante e contraddittorio con immagini che continuavano ad attribuire al mondo o all’accadere storico-mondano un senso oggettivo. La modernità è anche l’epoca in cui le immagini del mondo non soltanto si pluralizzano, ma perdono coerenza interna e tendono a strutturarsi sempre di più come assemblaggi di immagini della società, della storia, dell’uomo, dell’io fra loro incoerenti e dissonanti. Nel caso dei razzismi otto-novecenteschi l’individuazione di un senso oggettivo del mondo è avvenuta attraverso una specifica declinazione dell’idea di vita in termini di entità collettive discontinue. La vita è stata così, al tempo stesso, il luogo definitorio della moderna politica dell’immanenza e il dispositivo di senso di una politica tutta moderna del senso e della trascendenza. La tesi che intendo sostenere è che la frammentazione dissonante delle immagini del mondo tipica della modernità si è in qualche modo esaurita e che la fisionomia della politica contemporanea costituisce uno degli esiti più significativi di questa semplificazione.

Che vita è? Politica, immagini del mondo e razionalità neoliberale / D'Andrea, Dimitri. - STAMPA. - (2016), pp. 119-138.

Che vita è? Politica, immagini del mondo e razionalità neoliberale

D'ANDREA, DIMITRI
2016

Abstract

La politica al servizio della vita è un fenomeno esclusivamente moderno ed è anche il luogo in cui la modernità mostra, meglio che altrove, le sue caratteristiche costitutive e la sua traiettoria evolutiva. La modernità debutta con la trasformazione del cosmo in mondo, con l’avvento dell’immagine nominalistica del mondo come totalità priva di senso fatta di enti singolari e con l’individuazione della conservazione della vita come unico terreno possibile – comune in quanto neutro e indifferente ai fini – per la costruzione della convivenza pacifica in società. Fino a tutto il Novecento, questa immagine del mondo (Wetlbild) ha convissuto in un rapporto dissonante e contraddittorio con immagini che continuavano ad attribuire al mondo o all’accadere storico-mondano un senso oggettivo. La modernità è anche l’epoca in cui le immagini del mondo non soltanto si pluralizzano, ma perdono coerenza interna e tendono a strutturarsi sempre di più come assemblaggi di immagini della società, della storia, dell’uomo, dell’io fra loro incoerenti e dissonanti. Nel caso dei razzismi otto-novecenteschi l’individuazione di un senso oggettivo del mondo è avvenuta attraverso una specifica declinazione dell’idea di vita in termini di entità collettive discontinue. La vita è stata così, al tempo stesso, il luogo definitorio della moderna politica dell’immanenza e il dispositivo di senso di una politica tutta moderna del senso e della trascendenza. La tesi che intendo sostenere è che la frammentazione dissonante delle immagini del mondo tipica della modernità si è in qualche modo esaurita e che la fisionomia della politica contemporanea costituisce uno degli esiti più significativi di questa semplificazione.
2016
9788874628193
Vita, politica, contingenza
119
138
D'Andrea, Dimitri
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