Presentare il volume dei contributi ai convegni tenuti in occasione della Festa dell’Architettura tra il 2014 e il 2017, promossi dall’Ordine degli Architetti di Forlì-Cesena, potrebbe indurre a ripercorrere “luoghi comuni”. Nel progetto contemporaneo pare non esistere più un’idea di “valore” o, peggio, l’unica idea di “valore” possibile pare essere il cambiamento a ogni costo, un po’ come nelle mode. Sembra che tutta l’architettura riconosciuta come importante, quanto a successo mediatico, si basi sulla capacità di stupire, sulla novità e sulla differenza, come se soltanto novità e differenza costituissero un “valore”1 . In questo testo, che immagino rivolto a quei giovani di oggi che si accingono a essere gli architetti di domani, trovo utile, invece di ribadire i miei convincimenti alla base del processo progettuale, parafrasare una riflessione di Toni Servillo sul teatro e sul ruolo dell’attore nella società odierna, per riproporla a proposito dell’architettura e del ruolo dell’architetto2. «Ogni volta che vi risulta facile, mi riferisco a un progetto ottenuto senza sforzo, questo non va bene». Il processo progettuale richiede sempre un grande sforzo. La tecnica che non viene dal sentimento crea banalità. L’architettura è un’occasione straordinaria che aiuta a orientarci nella vita. La realizzazione del progetto è la nostra immagine: entrambi al servizio della società. Il mestiere dell’architetto è da considerarsi “prostituito” se affidato solo all’effimero talento di natura funambolica anziché alla messa in discussione di se stessi. Il talento ci vuole ma non basta. È condizione necessaria ma non sufficiente. L’architetto è delegato dalla società civile a testimoniare i valori del testo per relazionarli al contesto. I giovani architetti devono essere consci di come ci debba essere perfetta identità tra ciò che essi sono e ciò che essi rappresentano. La propria architettura dà il senso della propria vita. Come il teatro, considerato l’arte del travestimento, è ciò in cui attraverso il massimo della finzione si cerca di “mettere in scena” il massimo dell’autenticità, così l’architettura è ciò in cui, attraverso la necessità del segno, si cerca di “mettere in opera” il “valore” di una società civile. Questa richiesta di aderenza tra ciò che si è e ciò che si fa è, prima di tutto, regola morale. Per raggiungere questo risultato ci vuole il tempo necessario. Non come oggi, dove il risultato deve arrivare immediatamente, altrimenti il fallimento è dietro l’angolo. Perché pure il fallimento è un “valore”, un momento di crescita, un’ulteriore offerta di ripartenza. Il teatro si oppone alle distorsioni della contemporaneità ponendo al “centro” la qualità della parola, che è tale perché è necessaria. L’architettura pone la questione della “centralità” del progetto, che per essere tale deve essere “semplice”, un progetto in cui ogni segno è necessario. Il teatro è l’opposto delle parole pronunciate con “rumore”. La parola recitata a teatro nasce da una necessità che presuppone il “silenzio”. L’architettura condanna il “rumore” indistinto dell’uniformità prodotto dalla “diversità” per trovare nel “silenzio” il senso più alto della propria autentica necessità. È importante sottolineare, nel momento attuale caratterizzato dall’ipertrofia dell’io, come nel teatro l’io sia sempre declinato nel noi. L’architettura autentica abbandona l’io per cercare il dialogo con quel contesto della società civile da cui è stata delegata a operare. È anche questo il compito più significativo, se non lo scopo, di questa variegata raccolta di contributi al dibattito sul “valore” attuale dell’architettura.

Il senso del "valore" / Manfredini, Alberto. - STAMPA. - (2017), pp. 5-5.

Il senso del "valore"

MANFREDINI, ALBERTO
2017

Abstract

Presentare il volume dei contributi ai convegni tenuti in occasione della Festa dell’Architettura tra il 2014 e il 2017, promossi dall’Ordine degli Architetti di Forlì-Cesena, potrebbe indurre a ripercorrere “luoghi comuni”. Nel progetto contemporaneo pare non esistere più un’idea di “valore” o, peggio, l’unica idea di “valore” possibile pare essere il cambiamento a ogni costo, un po’ come nelle mode. Sembra che tutta l’architettura riconosciuta come importante, quanto a successo mediatico, si basi sulla capacità di stupire, sulla novità e sulla differenza, come se soltanto novità e differenza costituissero un “valore”1 . In questo testo, che immagino rivolto a quei giovani di oggi che si accingono a essere gli architetti di domani, trovo utile, invece di ribadire i miei convincimenti alla base del processo progettuale, parafrasare una riflessione di Toni Servillo sul teatro e sul ruolo dell’attore nella società odierna, per riproporla a proposito dell’architettura e del ruolo dell’architetto2. «Ogni volta che vi risulta facile, mi riferisco a un progetto ottenuto senza sforzo, questo non va bene». Il processo progettuale richiede sempre un grande sforzo. La tecnica che non viene dal sentimento crea banalità. L’architettura è un’occasione straordinaria che aiuta a orientarci nella vita. La realizzazione del progetto è la nostra immagine: entrambi al servizio della società. Il mestiere dell’architetto è da considerarsi “prostituito” se affidato solo all’effimero talento di natura funambolica anziché alla messa in discussione di se stessi. Il talento ci vuole ma non basta. È condizione necessaria ma non sufficiente. L’architetto è delegato dalla società civile a testimoniare i valori del testo per relazionarli al contesto. I giovani architetti devono essere consci di come ci debba essere perfetta identità tra ciò che essi sono e ciò che essi rappresentano. La propria architettura dà il senso della propria vita. Come il teatro, considerato l’arte del travestimento, è ciò in cui attraverso il massimo della finzione si cerca di “mettere in scena” il massimo dell’autenticità, così l’architettura è ciò in cui, attraverso la necessità del segno, si cerca di “mettere in opera” il “valore” di una società civile. Questa richiesta di aderenza tra ciò che si è e ciò che si fa è, prima di tutto, regola morale. Per raggiungere questo risultato ci vuole il tempo necessario. Non come oggi, dove il risultato deve arrivare immediatamente, altrimenti il fallimento è dietro l’angolo. Perché pure il fallimento è un “valore”, un momento di crescita, un’ulteriore offerta di ripartenza. Il teatro si oppone alle distorsioni della contemporaneità ponendo al “centro” la qualità della parola, che è tale perché è necessaria. L’architettura pone la questione della “centralità” del progetto, che per essere tale deve essere “semplice”, un progetto in cui ogni segno è necessario. Il teatro è l’opposto delle parole pronunciate con “rumore”. La parola recitata a teatro nasce da una necessità che presuppone il “silenzio”. L’architettura condanna il “rumore” indistinto dell’uniformità prodotto dalla “diversità” per trovare nel “silenzio” il senso più alto della propria autentica necessità. È importante sottolineare, nel momento attuale caratterizzato dall’ipertrofia dell’io, come nel teatro l’io sia sempre declinato nel noi. L’architettura autentica abbandona l’io per cercare il dialogo con quel contesto della società civile da cui è stata delegata a operare. È anche questo il compito più significativo, se non lo scopo, di questa variegata raccolta di contributi al dibattito sul “valore” attuale dell’architettura.
2017
9788894869064
Progettare e costruire la città contemporanea
5
5
Manfredini, Alberto
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Utilizza questo identificatore per citare o creare un link a questa risorsa: https://hdl.handle.net/2158/1091687
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