Nel contributo l’A. riflette su «proporzionalità e regole minime» del processo, cercando di individuare, se esiste, il modello di processo che meglio risponda all’obiettivo di garantire “un impiego proporzionato delle risorse giudiziali rispetto allo scopo della giusta composizione della controversia entro un termine ragionevole, tenendo conto della necessità di riservare risorse agli altri processi”, e provando ad avanzare una proposta. Anziché continuare a domandarsi, come sarebbe poi accaduto anche col disegno di legge all’esame del Senato di “Delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie”, se estendere a tutte le controversie il rito sommario di cognizione o il rito del lavoro, l’A. ragiona, riprendendo l’idea carneluttiana della struttura elastica del giudizio, sul modo in cui sarebbe possibile innestare un certo grado di flessibilità nel processo di oggi, utilizzando i modelli a disposizione dell’operatore, per coniugare le prospettive dell’effettività della tutela e dell’efficienza del processo civile. Il saggio tenta di contemperare la necessità del rispetto delle garanzie di un processo che si vuole predeterminato dalla legge con la possibilità di rimettere al giudice la scelta dell’articolazione più confacente alle peculiarità della singola controversia, individuando perciò la soglia minima oltre la quale non si può andare nel restringere lo spazio della previsione normativa e cercando nel contempo un equilibrio tra poteri discrezionali dell’organo decidente e simmetrici poteri delle parti. L’A. declina con esempi questa prospettiva, che al momento conosce solo la scelta obbligata tra più riti possibili e “passerelle” senza ritorno che incanalano in modo non troppo flessibile lo scambio da un binario all’altro, come negli artt. 183-bis e 702-ter c.p.c., e immagina la possibilità di rendere flessibile un unico “rito base”, o “complicato” da “semplificare” a seconda dei casi, o “semplificato” da “complicare”, fermo quel tanto di predeterminazione di forme e termini che consente di considerarlo un giusto processo regolato dalla legge: possibilità, questa, che rientra a pieno titolo nella nostra tradizione culturale, di una struttura “per dir così, accorciata o allungata, ristretta o allargata, secondo le esigenze della lite”. Il contributo affronta anche una serie di argomenti correlati: gli spazi non rinunciabili di tutela sommaria in una prospettiva di effettività o di efficienza (la tutela cautelare, la pretesa non contestata, l’evidenza della prova); i rapporti tra giudicato e tutela sommaria; e svolge altre considerazioni (non troppo) divaganti: l’osmosi possibile tra mediazione e processo, il rapporto tra oralità e scrittura, la continenza espositiva di atti e pronunce, l’opzione per modi sequenziali o paralleli di lavoro, l’incidenza delle forme di decisione della lite su un processo più rapido e al tempo stesso rispettoso delle garanzie. Il contributo rappresenta la versione scritta della relazione tenuta dall’A. al XXXI Convegno Nazionale, organizzato presso l’Università degli studi di Padova nelle giornate 29-30 settembre 2017, dall’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile – occasione di sicuro prestigio per gli studiosi del processo civile – avente ad oggetto «La tutela dei diritti e le regole del processo».
Principio di proporzionalità e regole minime: tra rito ordinario, rito del lavoro e tutela sommaria / ilaria pagni. - STAMPA. - (2019), pp. 113-227.
Principio di proporzionalità e regole minime: tra rito ordinario, rito del lavoro e tutela sommaria
ilaria pagni
2019
Abstract
Nel contributo l’A. riflette su «proporzionalità e regole minime» del processo, cercando di individuare, se esiste, il modello di processo che meglio risponda all’obiettivo di garantire “un impiego proporzionato delle risorse giudiziali rispetto allo scopo della giusta composizione della controversia entro un termine ragionevole, tenendo conto della necessità di riservare risorse agli altri processi”, e provando ad avanzare una proposta. Anziché continuare a domandarsi, come sarebbe poi accaduto anche col disegno di legge all’esame del Senato di “Delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie”, se estendere a tutte le controversie il rito sommario di cognizione o il rito del lavoro, l’A. ragiona, riprendendo l’idea carneluttiana della struttura elastica del giudizio, sul modo in cui sarebbe possibile innestare un certo grado di flessibilità nel processo di oggi, utilizzando i modelli a disposizione dell’operatore, per coniugare le prospettive dell’effettività della tutela e dell’efficienza del processo civile. Il saggio tenta di contemperare la necessità del rispetto delle garanzie di un processo che si vuole predeterminato dalla legge con la possibilità di rimettere al giudice la scelta dell’articolazione più confacente alle peculiarità della singola controversia, individuando perciò la soglia minima oltre la quale non si può andare nel restringere lo spazio della previsione normativa e cercando nel contempo un equilibrio tra poteri discrezionali dell’organo decidente e simmetrici poteri delle parti. L’A. declina con esempi questa prospettiva, che al momento conosce solo la scelta obbligata tra più riti possibili e “passerelle” senza ritorno che incanalano in modo non troppo flessibile lo scambio da un binario all’altro, come negli artt. 183-bis e 702-ter c.p.c., e immagina la possibilità di rendere flessibile un unico “rito base”, o “complicato” da “semplificare” a seconda dei casi, o “semplificato” da “complicare”, fermo quel tanto di predeterminazione di forme e termini che consente di considerarlo un giusto processo regolato dalla legge: possibilità, questa, che rientra a pieno titolo nella nostra tradizione culturale, di una struttura “per dir così, accorciata o allungata, ristretta o allargata, secondo le esigenze della lite”. Il contributo affronta anche una serie di argomenti correlati: gli spazi non rinunciabili di tutela sommaria in una prospettiva di effettività o di efficienza (la tutela cautelare, la pretesa non contestata, l’evidenza della prova); i rapporti tra giudicato e tutela sommaria; e svolge altre considerazioni (non troppo) divaganti: l’osmosi possibile tra mediazione e processo, il rapporto tra oralità e scrittura, la continenza espositiva di atti e pronunce, l’opzione per modi sequenziali o paralleli di lavoro, l’incidenza delle forme di decisione della lite su un processo più rapido e al tempo stesso rispettoso delle garanzie. Il contributo rappresenta la versione scritta della relazione tenuta dall’A. al XXXI Convegno Nazionale, organizzato presso l’Università degli studi di Padova nelle giornate 29-30 settembre 2017, dall’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile – occasione di sicuro prestigio per gli studiosi del processo civile – avente ad oggetto «La tutela dei diritti e le regole del processo».File | Dimensione | Formato | |
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