Nel Leviatano sono molteplici gli elementi che contribuiscono a definire la differenza antropologica. L’assenza di un summum bonum, la religione, il linguaggio, la ragione, l’ansia per il futuro, il desiderio illimitato di potere vengono convocati di volta in volta come altrettanti elementi della distanza che separa gli uomini dagli altri animali. La prima tesi che intendo argomentare in questo contributo è che la differenza antropologica venga concepita nel Leviatano nei termini di una libertà come assenza di limiti – come mancanza di un ordine naturale – la cui più compiuta manifestazione è costituita dal piacere della mente. Nell’opera del 1651 la nozione di “pleasure of the mind” assume un profilo radicalmente diverso da quello che aveva nelle opere degli anni Quaranta e questo consente a Hobbes di conferirle il ruolo di principale invariante antropologica capace di sostenere una spiegazione unitaria e sistematica della conflittualità umana. La Prima parte del Leviatano dedicata a L’uomo rappresenta sicuramente il testo in cui Hobbes compie lo sforzo più consapevole e coerente per conferire alla propria riflessione antropologica la capacità di rendere ragione della pluralità delle forme di soggettività con cui la costruzione politica dell’ordine sociale si deve confrontare. E tuttavia questo tentativo non può dirsi pienamente riuscito: la descrizione della natura umana del Leviatano rimane prigioniera della mancata distinzione fra invarianti antropologiche e forme di soggettività. La soggettività definita dalla ricerca dell’utile, della gloria e della sicurezza non è l’esito unico e necessario della differenza antropologica e neppure l’elemento comune di tutte le differenti soggettività con cui la riflessione politica di Hobbes si trova a fare i conti. Con il Cristianesimo entra, infatti, in scena, nella terza e nella quarta parte del Leviatano, una soggettività orientata al bene trascendente e assoluto (summum bonum) della vita eterna nel Regno dei Cieli, e per questo capace di “prestazioni” inconcepibili per quella soggettività dell’immanenza, di matrice tucididea, che domina le prime due parti del capolavoro del 1651.
Dal piacere della mente alla religione. La questione della differenza antropologica nel Leviatano di Hobbes / Dimitri D'Andrea. - STAMPA. - (2020), pp. 69-87.
Dal piacere della mente alla religione. La questione della differenza antropologica nel Leviatano di Hobbes
Dimitri D'Andrea
2020
Abstract
Nel Leviatano sono molteplici gli elementi che contribuiscono a definire la differenza antropologica. L’assenza di un summum bonum, la religione, il linguaggio, la ragione, l’ansia per il futuro, il desiderio illimitato di potere vengono convocati di volta in volta come altrettanti elementi della distanza che separa gli uomini dagli altri animali. La prima tesi che intendo argomentare in questo contributo è che la differenza antropologica venga concepita nel Leviatano nei termini di una libertà come assenza di limiti – come mancanza di un ordine naturale – la cui più compiuta manifestazione è costituita dal piacere della mente. Nell’opera del 1651 la nozione di “pleasure of the mind” assume un profilo radicalmente diverso da quello che aveva nelle opere degli anni Quaranta e questo consente a Hobbes di conferirle il ruolo di principale invariante antropologica capace di sostenere una spiegazione unitaria e sistematica della conflittualità umana. La Prima parte del Leviatano dedicata a L’uomo rappresenta sicuramente il testo in cui Hobbes compie lo sforzo più consapevole e coerente per conferire alla propria riflessione antropologica la capacità di rendere ragione della pluralità delle forme di soggettività con cui la costruzione politica dell’ordine sociale si deve confrontare. E tuttavia questo tentativo non può dirsi pienamente riuscito: la descrizione della natura umana del Leviatano rimane prigioniera della mancata distinzione fra invarianti antropologiche e forme di soggettività. La soggettività definita dalla ricerca dell’utile, della gloria e della sicurezza non è l’esito unico e necessario della differenza antropologica e neppure l’elemento comune di tutte le differenti soggettività con cui la riflessione politica di Hobbes si trova a fare i conti. Con il Cristianesimo entra, infatti, in scena, nella terza e nella quarta parte del Leviatano, una soggettività orientata al bene trascendente e assoluto (summum bonum) della vita eterna nel Regno dei Cieli, e per questo capace di “prestazioni” inconcepibili per quella soggettività dell’immanenza, di matrice tucididea, che domina le prime due parti del capolavoro del 1651.I documenti in FLORE sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.