La lunga storia dell’italiano è stata influenzata, per secoli, dal fatto di non essere stata la lingua realmente parlata dalle persone. Caratterizzato sin dall’inizio da un costante richiamo al passato come sua epoca d’oro, l’italiano, codificato per la prima volta dal Bembo nel Cinquecento basandosi sul fiorentino parlato dalle classi colte nel Trecento, è rimasto per quasi settecento anni dominio della scrittura colta e del registro letterario, mentre tutto il resto della popolazione usava, nelle sue interazioni, i vari dialetti sparsi per la penisola. Bembo scelse specificamente la varietà di una zona e di un tempo definiti, elevandola a standard nazionale; possiamo dire che in questo momento i cosiddetti dialetti dell’italiano sono in realtà sue varietà sorelle, non figlie. Nel momento dell’unificazione politica, nel 1861, solo il 2,5% della popolazione era italofono (ci dice Tullio De Mauro); da allora, ci sono voluti cent’anni per far sì che la gente italica diventasse anche “una di lingua”, come prefigura Manzoni nel suo componimento Marzo 1821: bisogna arrivare al 1960, qualche anno dopo l’inizio delle trasmissioni della televisione in Italia, perché il processo si possa dire completato. Non erano bastati i giornali, non era bastata la radio; ci volle la tv per far davvero diventare italofoni gli italiani... E come dimenticare Non è mai troppo tardi, il programma condotto dal mitico maestro Alberto Manzi e rivolto a chi, per questioni anagrafiche, non aveva potuto frequentare la scuola e imparare a leggere e scrivere?

Esprimerci: dall’italiano all’e-taliano, dai manoscritti al digitale / Vera Gheno. - STAMPA. - (2019), pp. 27-30.

Esprimerci: dall’italiano all’e-taliano, dai manoscritti al digitale

Vera Gheno
2019

Abstract

La lunga storia dell’italiano è stata influenzata, per secoli, dal fatto di non essere stata la lingua realmente parlata dalle persone. Caratterizzato sin dall’inizio da un costante richiamo al passato come sua epoca d’oro, l’italiano, codificato per la prima volta dal Bembo nel Cinquecento basandosi sul fiorentino parlato dalle classi colte nel Trecento, è rimasto per quasi settecento anni dominio della scrittura colta e del registro letterario, mentre tutto il resto della popolazione usava, nelle sue interazioni, i vari dialetti sparsi per la penisola. Bembo scelse specificamente la varietà di una zona e di un tempo definiti, elevandola a standard nazionale; possiamo dire che in questo momento i cosiddetti dialetti dell’italiano sono in realtà sue varietà sorelle, non figlie. Nel momento dell’unificazione politica, nel 1861, solo il 2,5% della popolazione era italofono (ci dice Tullio De Mauro); da allora, ci sono voluti cent’anni per far sì che la gente italica diventasse anche “una di lingua”, come prefigura Manzoni nel suo componimento Marzo 1821: bisogna arrivare al 1960, qualche anno dopo l’inizio delle trasmissioni della televisione in Italia, perché il processo si possa dire completato. Non erano bastati i giornali, non era bastata la radio; ci volle la tv per far davvero diventare italofoni gli italiani... E come dimenticare Non è mai troppo tardi, il programma condotto dal mitico maestro Alberto Manzi e rivolto a chi, per questioni anagrafiche, non aveva potuto frequentare la scuola e imparare a leggere e scrivere?
2019
Digitaliano. Pratiche di scrittura quotidiana e professionale
27
30
Vera Gheno
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